La rivoluzione di Bergoglio contro la “globalizzazione dell’indifferenza”

GIACOMO GALEAZZI
CITTA’ DEL VATICANo – vaticaninsider

Il pensiero economico di Francesco: oltre Marx contro la “globalizzazione dell’indifferenza”. Dopo la scelta di campo di Wojtyla a favore dell’Occidente capistalista rispetto all’Oriente comunista e il modello ratzingeriano delle “elite creative”, la “svolta a sinistra” e il Vangelo sociale di Bergoglio richiamano alla memoria l’apertura modernizzatrice vissuta dalla Chiesa con il passaggio da Pio XII a Roncalli. “La sua è una teologia della liberazione che mette la misericordia cristiana al posto del marxismo- spiega a “Vatican Insider” il portavoce della comunità di Sant’Egidio, Mario Marazziti-. Bergoglio mette al centro il cambiamento e i diritti degli ultimi senza i quali non c’è dignità umana, richiamando la buona politica a correggere le storture del capitalismo globalizzato e a riprendersi il primato nella scena pubblica per non lasciare campo libero all’economia, alla religione dell’individualità e agli interessi corporativi”.

Insomma un Papa che punta l’indice contro gli “gnomi  della finanza”.  Nel primo viaggio del suo pontificato, a Lampedusa, Bergoglio ha denunciato “la crudeltà di coloro che, nell’anonimato, prendono decisioni socio-economiche che aprono la strada alle tragedie delle migrazioni”. Un approccio da riformatore che trova attuazione anche nella sua azione di risanamento finanziario e organizzativo della struttura ecclesiastica. Francesco, infatti, ha istituito commissioni di sperti per consigliarlo sul modo più efficace per tagliare la burocrazia vaticana e rendere trasparente l’attività dei dicasteri economici (Apsa, Prefettura degli affari economici, governatorato)  travolti dagli scandali Scarano e Vatileaks. Una vera e propria “perestrojka” in Curia che ha avuto la propria incubazione nel “laboratorio- Buenos Aires” in cui si è formato il primo pontefice gesuita e sudamericano della storia.

In America Latina la sua battaglia gli ha guadagnato la stima dei leader del movimento per i diritti umani, come Alicia de Oli veira, e il rispetto delle madri di Plaza de Mayo, durissime nei confronti della gerarchia cattolica. Bergoglio non si è mai piegato ai caudillos , militari o politici, che si sono alternati alla guida dell’Argentin. Condivide l’impostazione politica del suo predecessore, l’arcivescovo emerito di Buenos Aires Antonio Quarracino, non lontano dall’ala popolare dei peronisti.  La sua biografia offre spunti di comprensione per la “rivoluzione” che sta realizzando sul Soglio di Pietro. Bergoglio ha studiato e si è diplomato come tecnico chimico, ma poi ha scelto il sacerdozio ed è entrato nel seminario di Villa Devoto. Da arcivescovo della capitale ha vissuto l’esperienza traumatica del default del 2001, con le strade invase dal rumore assordante delle “cacerolas”. Fu accanto agli argentini che protestano contro le politiche neoliberiste e che scesero in piazza a milioni battendo sulle pentole. Erano gli anni del fallimento dell’Argentina e l’arcivescovo di Buonos Aires criticò apertamente le scelte di Nestor Kirchner, ritenendole incapaci di risolvere la crisi, anzi, colpevoli di aggravare la povertà nel quale erano confinati troppi argentini. Non appena il cardinale protodiacono Jean-Louis Touran ha annunciato al mondo il nome del nuovo Pontefice, i media argentini hanno rievocato i rapporti complicati con la famiglia Kirchner. E cioè con l’attuale presidente argentino, Cristina Fernández de Kirchner e con il suo predecessore, il marito Nestor Carlos nel 2010. In particolare il Clarin e la Nacion hanno ricordato che Nestor Kirchner definì Bergoglio il “vero rappresentante dell’opposizione.”

Severo gesuita dalle sobrie abitudini, amava girare per la sua città in autobus, vestito da semplice prete. A 35 anni era già il Provinciale, cioè il capo dei gesuiti d’Argentina. Nella prova terribile della dittatura militare, Bergoglio si mosse per salvare preti e laici dai torturatori. Di lui si diceva prima del conclave: «Gli basterebbero quattro anni per cambiare le cose». Pessimi i rapporti con Menem e Duhalde, gelidi con de la Rua (Bergoglio andò a trovarlo il 12 dicembre 2000 per avvertirlo del rischio di una rivolta popolare, scoppiata un anno dopo), freddi appunto con Kirchner, che non ha seguito tra la folla sulla piazza della Casa Rosada (la cattedrale era stracolma) la messa celebrata da Bergoglio in morte di Wojtyla. Buone invece le relazioni con Luis D’Elia e il movimento dei piqueteros: un giorno Bergoglio chiamò il ministro dell’Interno per lamentarsi della polizia che manganellava una donna inerme.