La pastorale dell'intelligenza

di Joaquìn Navarro-Valls in “la Repubblica” del 5 luglio 2010

Molti commentatori, per ovvie ragioni, hanno concentrato la loro attenzione sulla discontinuità che si è creata tra il lungo periodo di governo della Chiesa di Giovanni Paolo II e la nuova stagione aperta da Papa Ratzinger. È chiaro che nessun Pontificato è eguale al precedente, benché tutta l’eredità del passato ricada ogni volta proprio su quell’uomo che è incaricato da duemila anni di portare sulle spalle per un certo tempo il peso di tutta la Chiesa. Da ciò deriva la difficoltà, per non dire l’impossibilità, a stabilire delle interpretazioni comparative adeguate. Mentre, invece, la biografia personale può aiutare a capire un singolo Papa. E di Benedetto XVI non si può dimenticare la lunga carriera accademica e il percorso intellettuale e teologico straordinario compiuto prima da cardinale e vescovo di Monaco, e poi, con il ruolo ricoperto alla Congregazione per la Dottrina della Fede, come prefetto, collaboratore stretto e intimo amico di Giovanni Paolo II. Ripensando a questo primo intenso periodo, si devono annoverare le difficoltà che Benedetto XVI ha trovato sul suo cammino, dovendo affrontare nodi che ancora non erano emersi in modo così palese: la crisi dell’Occidente, che ha assunto sempre più i connotati di un devastante relativismo culturale, cui si è aggiunta la difficile gestione dei rapporti ecumenici in un contesto internazionale in repentino cambiamento, nonché i rilevanti problemi interni alla Chiesa, vilipesa dagli attacchi al sacerdozio, dagli scandali della pedofilia e dalla crisi delle vocazioni. Malgrado tutto, Benedetto XVI si è mostrato perfettamente all’altezza di comprendere ed interpretare con lungimirante lucidità i rischi e le sfide della Chiesa di oggi, mai abbassando la guardia e assicurando una guida sicura al popolo cristiano. E il suo magistero si può riassumere essenzialmente in tre aspetti. Il primo è l’interpretazione sapiente e dotta che, fin dai primi interventi inaugurali del 2005, il nuovo Papa ha voluto dare all’ufficio apostolico. Nell’omelia tenuta nella Basilica di San Giovanni in Laterano per l’Intronizzazione, ad esempio, il neoeletto si è soffermato a spiegare in modo inusuale il significato degli antichi simboli religiosi che aveva innanzi, così lontani dalla mentalità di oggi ma anche così essenziali per capire la fede di sempre. Benedetto XVI stava facendo in quel modo una duplice operazione ideale. Da un lato, evitava di seguire Giovanni Paolo II in ciò che egli aveva d’inimitabile, ossia lo stile del suo rapporto sensibile e immediato con la gente. Dall’altro, metteva al servizio della Chiesa universale la sua intelligenza, la sua dottrina e la sua saggezza teologica straordinaria. Se Giovanni Paolo II aveva fatto tornare in primo piano la presenza pubblica della religione come pratica di vita moderna e adatta ai tempi, adesso Benedetto XVI era in grado di riproporre brillantemente i significati permanenti e solidi della verità religiosa. Il fine del pensiero di Ratzinger è aprire una riflessione sulla religiosità umana, portandola a livello di consapevolezza matura e razionale. Il bello è che questi due lati sono tra loro perfettamente complementari, così come lo sono gli stessi due pontificati. Benedetto XVI ha dato una forma sempre più netta a questo suo stile apostolico, il quale si è presentato come una vera e propria pastorale dell’intelligenza. L’espressione, d’altronde, è stata utilizzata dal Papa stesso per spiegare il tipo di criterio che stava seguendo per proporre al mondo intero la fede cristiana. Un modo molto incisivo per capirne lo sviluppo è quella sorta di grande catechesi universale affidata alle Udienze generali del mercoledì, nelle quali Benedetto XVI ha dipinto a parole le personalità più rilevanti della storia della teologia, dalla prima epoca apostolica. Un esempio poco appariscente forse, ma non meno emblematico del valore importantissimo assunto dalla ratio fidei, cioè dal ruolo della ragione nella religione, nella sua visione intellettuale. D’altra parte, nell’ormai classico Discorso di Ratisbona egli aveva fatto risaltare già lo strettissimo legame che esiste tra un’articolata lettura del cristianesimo e le radici profonde del dialogo interreligioso ed ecumenico. Uno sforzo che si è ripetuto di continuo, non da ultimo anche nel recentissimo viaggio a Cipro. Parafrasando il teologo medievale Bonaventura da Bagnoregio, per altro molto amato dal Papa, si può dire che, secondo Benedetto XVI, la fede possiede un primato assoluto nel definire l’essenza del cristianesimo. Solo mediante il credere, infatti, è possibile entrare nel mistero ultimo e inesauribile della verità. Il dialogo tra le diverse confessioni, unito al confronto culturale con i non credenti, è reso possibile invece dall’esistenza di un unico orizzonte razionale comune tra le persone. Perciò la fede ha bisogno sempre della ragione, per comprendere la sua verità e per rendere effettiva l’intesa di chi crede con chi non crede e con chi crede solo in parte o diversamente. L’aspetto più suggestivo di questa direzione personale è l’esigente ragionamento sui diritti umani. Come già aveva fatto da cardinale, discutendo con Jürgen Habermas oppure in contesti così peculiari come Oxford e New York, il Papa sostiene che la ragione permette ad ognuno di cogliere la dignità superiore della persona, a prescindere da quale sia la cultura e la tradizione d’appartenenza di ciascuno. Si può dire, in fondo, che l’etica costituisce l’approdo finale di un dialogo razionale tra le civiltà. Negli ultimi mesi a questi due aspetti dello stile di Ratzinger, vale a dire all’intelligenza e all’ecumenismo, si è aggiunta una nuova linea del suo magistero: la grande riflessione sul male morale. In effetti, di fronte all’espandersi mediatico degli scandali relativi alla pedofilia, l’atteggiamento di Benedetto XVI non è stato né difensivo, né evasivo. Anzi, la presenza incontestabile del male, anche nella Chiesa oltre che nella società, ha dato occasione al Papa di riportare al centro del dibattito contemporaneo la questione teologica del peccato. E, pure da questo punto di vista, il suo magistero intellettuale e la sua percezione saggia dei problemi si sono rivelati una risorsa ineguagliabile, capace di amministrare con grande risolutezza pratica e con matura sapienza la vergogna e l’umiliazione arrecate alla Chiesa dagli scandali. D’altronde, questi crimini commessi non esigono soltanto misericordia e pentimento per essere affrontati, ma anche responsabilità precise, pene severe e rigore inflessibile. "Il perdono non si sostituisce alla giustizia", è stato uno dei suoi pensieri guida. Non è difficile riconoscere il grande equilibrio che Benedetto XVI ha tenuto tra le opposte e sbagliate tendenze a perdonare o a punire. La fede cristiana, infatti, nella sua lunga e collaudata esperienza esorta ad una valutazione integrale ed accurata del mistero inesauribile del male, considerato, al pari del bene, come una tendenza insopprimibile della persona, perché radicata nel cuore stesso del genere umano.