La parrocchia ortodossa russa di Amsterdam segnata con la Z dei carri armati che invadono l’Ucraina. Dopo le intimidazioni i chierici chiedono di staccarsi da Kirill

Non era loro intenzione lasciare il patriarcato di Mosca, ma adesso questo si mostra come un passo necessario. La Chiesa ortodossa di San Nicola, ad Amsterdam, dopo le «pressioni sia del vescovo che dello stato russo» prende ancora di più le distanze da Kirill e si dice «costretta a cercare l’affiliazione con il Patriarcato ecumenico» di Costantinopoli. Per motivi di sicurezza, viste le minacce ai fedeli e ai sacerdoti, la chiesa resta chiusa fino a nuovo avviso. Nei giorni precedenti la decisione di separarsi da Mosca, come riporta il quotidiano nazionale cristiano Nederlands Dagblad, la comunità ortodossa di Amsterdam aveva espresso il suo «shock per l’invasione dell’Ucraina da parte delle forze armate della Federazione Russa» e «vedendo l’estrema violenza, distruzione e sofferenza della popolazione ucraina» aveva «lanciato una campagna umanitaria in assistenza ai rifugiati». Non solo aveva anche firmato un appello a Kirill perché «rompesse il suo silenzio sul conflitto» e si facesse «avanti con le autorità per la pace». Dopo le parole del patriarca russo, però, che ha di fatto giustificato la guerra, i sacerdoti della Chiesa ortodossa di Amsterdam avevano preso «le distanze dalla narrazione del patriarca. Alla luce di quanto sopra non menzioneremo più il nome del Patriarca Kirill nelle messe. In tal modo, ci allineiamo al clero ortodosso dell’Ucraina, che in numero sempre maggiore cessa di commemorare il patriarca». Nello stesso comunicato, però, precisavano di voler rimanere fedeli al patriarcato di Mosca e di continuare perciò a ricordare nella Divina liturgia il vescovo Elisey.

I chierici ricordavano anche che un simile provvedimento (la non menzione del patriarca nella Divina Liturgia) era già stato preso nella storia della Chiesa ortodossa russa. In particolare in diversi si rifiutarono di menzionare il nome del patriarca quando questi «si dichiarò fedele allo Stato bolscevico nel 1927». E, aggiungevano, «nessuno di loro ha interpetato questo gesto come un voler lasciare la chiesa russa».

Dopo questa presa di posizione, però, diverse cose sono rapidamente cambiate. Domenica sei marzo il vescovo Elisey, che vive all’Aia, si è presentato, scortato da una macchina diplomatica che i fedeli attribuiscono all’ambasciata russa, durante la celebrazione appena cominciata. Per la liturgia ortodossa quando il vescovo è presente è lui che presiede e, se non viene pronunciato il nome del patriarca, si consuma uno scisma immediato. È stato lo stesso vescovo, con i chierici contrari, a fare memoria di Kirill e ad avvisarli che «l’atteggiamento della parrocchia è di grande preoccupazione non solo per il patriarcato, ma anche per il ministero degli Affari esteri russo» e che «c’è un grande interesse per la vostra chiesa». Parole che i sacerdoti hanno interpretato come una minaccia. Nei giorni seguenti si sono verificati diversi atti intimidatori fino ad arrivare a contrassegnare la parrocchia con la Z, la temibile sigla (di cui ancora si ignora l’esatto significato) apparsa sui carri armati russi il giorno dell’invasione.

Il ministro della Giustizia olandese ha visitato la parrocchia e diverse macchine della polizia stazionanno nelle vicinanze. I sacerdoti, però, temono il peggio e hanno rivolto una lettera alla comunità dicendo che «non è più possibile per loro operare all’interno del Patriarcato di Mosca e fornire un clima spiritualmente sicuro ai loro fedeli», e che per questo hanno chiesto al metropolita Athenagoras del Belgio, dei Paesi Bassi e del Lussemburgo (rappresentante del Patriarcato ecumenico di Costantinopoli) di incorporarli nella sua diocesi. «Un passo molto difficile fatto con il cuore pesante, ma dal quale la nostra coscienza non permette di tornare indietro».

Famiglia Cristiana