La parrocchia è a-territoriale: è il “luogo”, ma anche il “non-luogo”, è la casa ma anche la via. È la tenda per i lontani, il tempio per i vicini

Le parrocchie invisibili in vinonuovo.it
di Gianni Di Santo | 21 novembre 2015
Più ci si affanna all’organizzazione dell’oratorio, più si spremono energie per il torneo di calcetto e il mercatino di ogni cosa, più si perde in leggerezza. E quindi in libertà

Una Chiesa inquieta e accidentata. Papa Francesco si rivolge ai sognatori di buona speranza più che ai sagrestani tuttofare, apre le porte al soffio dello spirito che innova le strutture e sa costruire ponti di amicizia e corresponsabilità, dà residenza ai cammini esodali di coloro che hanno sperimentato solitudine ecclesiale. Invita, infine, la comunità dei credenti a innovare con libertà. «Mi piace una Chiesa italiana inquieta, sempre più vicina agli abbandonati, ai dimenticati, agli imperfetti. Desidero una Chiesa lieta col volto di mamma, che comprende, accompagna, accarezza. Sognate anche voi questa Chiesa, credete in essa, innovate con libertà».

Uno dei punti centrali dei “consigli” di papa Francesco a Firenze si racchiudono in queste semplici parole. Più che il “fare”, vale l'”essere”. Inquieta, accidentata, umile, “leggera” nelle sue strutture: Francesco chiede aiuto ai laici per riformare la Chiesa. Siete voi, dice, gli attori di questa trasformazione dell’istituzione-Chiesa in una barca che «si lasci portare dal suo soffio potente e per questo, a volte, inquietante. Assuma sempre lo spirito dei suoi grandi esploratori, che sulle navi sono stati appassionati della navigazione in mare aperto e non spaventati dalle frontiere e delle tempeste. Sia una Chiesa libera e aperta alle sfide del presente, mai in difensiva per timore di perdere qualcosa».

Evidente lo smarrimento dei relatori principali, al momento di dover leggere il proprio contributo. Difficile competere con la nuova beatitudine e la leggerezza di papa Francesco.

L'”inquietudine” ha percorso trasversalmente (e abbastanza silenziosamente) le stanze della Fortezza da Basso di Firenze, dove i delegati si riunivano e ascoltavano ottime relazioni. Perché alla fine, il punto centrale, è capire se, in questo gioco di ricomposizione dei contenuti dell’annuncio e del “modo” in cui questo annuncio viene proposto, il laicato italiano si propone alla gerarchia con un nuovo patto centralistico, di mediazione, oppure si rimette in gioco con se stesso, ripensando le sue inquietudini spirituali come paradigma di nuovo umanesimo.

Oggi, in campo ecclesiale, in particolare le parrocchie, si dà molta importanza alla voce del verbo “fare”. Mentre, al contrario, un tracciato diallegria dell’annuncio passa sul tornante, a volte più tortuoso, del verbo “essere”, e cioè sullo stile della comunità cristiana.

Ce lo ricorda ogni giorno papa Francesco: siamo una comunità cristiana o una Ong? Siamo un centro sociale o un tempio dove si loda il Signore? Siamo un centro di baby sitter o un luogo dove incontriamo la misericordia e la tenerezza di Dio?

Ritorniamo, allora, al punto di partenza: contarsi, per i laici, significa contare? Oppure siamo abitati da questa leggerezza che libera lo spirito e allontana dal potere? Ci sentiamo di diventare, ogni tanto, degli “invisibili” della struttura-chiesa, del tempio-chiesa, del servizio pastorale? Invisibilifuori per tornare a essere visibili dentro le coscienze, baluardo invalicabile dove fede e vita ogni tanto trovano conforto.

La rivoluzione “pastorale” di cui parla Francesco – che mette un po’ di paura a molti operatori pastorali che vedono improvvisamente cambiare il loro “mondo parrocchiale” di riferimento, fatto di consuetudini pastorali, amicizie consolidate, abitudini, tranquillità spirituali – è prima una rivoluzione dell’essere che tocca la nostra vita, poi è una proposta di cambiamento all’interno delle nostre pastorali rigidi e catechetiche. Pastorali parrocchiali vissute per troppi anni all’interno di mura fin troppo alte dove i confini erano, e sono tutt’ora, l’appartenenza al territorio, le catechesi sacramentali, e quel modo di pensare l’iniziazione cristiana inossidabile nella sua imperturbabile eternità.

Più ci si affanna all’organizzazione dell’oratorio, più si spremono energie per il torneo di calcetto e il mercatino di ogni cosa, più si perde in leggerezza. E quindi in libertà.

Le nostre comunità parrocchiali si consumano ogni giorno dietro liturgie che non sono vita, i consigli pastorali diventano sempre più organismi burocratici privi di confronto, i sacramenti “cose” che si devono fare, le catechesi ornamento di regole e storielle imparate a memoria. E il fascino del grande mistero della fede cristiana? E la bellezza del canto antico, dei salmi, della liturgia delle ore, le letture dei padri della Chiesa che fine hanno fatto?

Penso che la parrocchia non potrà che essere il luogo eletto dove lasciare spazio al tempo dello Spirito e al tempo della Solidarietà. Una parrocchia invisibile, leggera, lontana mille miglia da quella che era ed è oggi. Una parrocchia che abbracci il cammino dell’uscire fuori dal tempio.

Finito il tempo della parrocchia aggregazione e intrattenimento. Le relazioni amicali e affettive, all’interno della comunità, chiedono profondità. La formazione delle coscienze esige qualità. I giovani cercano altro, l’infinito, più che il “finito”. Lo chiarisce bene Goffredo Boselli, monaco di Bose e liturgista, durante il suo contributo alla via “Trasfigurazione”: «Di fronte a un certo attivismo pastorale è emersa l’esigenza, soprattutto da parte del tavolo dei giovani, di proporre cammini di fede che comprendano esperienze significative di preghiera, di formazione liturgica e di accompagnamento spirituale. C’è domanda di interiorità, ma che ancora non trova risposte soddisfacenti nelle scelte di educazione alla fede dei giovani nelle nostre Chiese locali. Mentre le parrocchie sembrano riservare più attenzione all’aggregazione e all’animazione, la domanda di interiorità sembra maggiormente soddisfatta all’interno delle associazioni e dei movimenti ecclesiali».

La riforma della parrocchia, possibile e auspicabile, è un cambiamento che non pensa alle sue strutture e alle sue rigide burocrazie, ma è una risorsa di libertà ecclesiale e di vicinanza all'”altro”. Dove, al concetto di territorialità, almeno come lo abbiamo conosciuto in tutti questi anni, si contrapponga il suo opposto.

La parrocchia è a-territoriale: è il “luogo”, ma anche il “non-luogo”, è la casa ma anche la via. È la tenda per i lontani, il tempio per i vicini.

Una invisibilità e una leggerezza che renderanno forte l’annuncio e la credibilità dei discepoli di Gesù.

La profezia evangelica passa da qui. Da cristiani, fuori dalle mura del tempio.