La musica per la liturgia di Mozart dove si incontrano umano e divino

Molto spesso la critica si ritrova concorde nell’affermare che Wolfgang Amadeus Mozart (1756-1791) sembri sconfinare nel profano quando scrive musica sacra e nel sacro quando si dedica alla musica profana; al di là di giudizi sommari che rischiano di banalizzare il valore di un universo creativo di portata assoluta, in lui questi due “nature” sembrano infatti sovrapporsi fin quasi a coincidere, nel senso che il maestro austriaco non riesce a concepire una composizione di carattere religioso che appaia eterea, disincarnata, in cui non brucino la passione e il calore dei sentimenti umani.
La grandezza artistica di Mozart, che lo rende forse unico nel panorama musicale, è proprio quella di racchiudere in poche battute un intero universo espressivo, estetico e spirituale che sia in grado di raggiungere l’animo di chiunque lo avvicini proprio perché ha a che fare con un anelito alla bellezza veramente infinito.
È questa la vertigine che si apre di fronte a pagine sacre come quelle racchiuse nel disco che il St Paul’s Cathedral Choir e la Mozart Orchestra diretti da Andrew Carwood hanno dedicato prevalentemente alle opere dell’estremo periodo salisburghese, affiancando la Sonata da chiesa K336 per organo e archi, il Regina coeli K108, i policromi Vesperae solemnes de Dominica K321 e soprattutto la Missa Solemnis K337, ultimo lavoro liturgico completato – nel 1780 – dal musicista (cd pubblicato da Hyperion e distribuito da Sound and Music).
Si tratta di una partitura che, nonostante il nome altisonante, risulta di proporzioni alquanto ridotte, da eseguire però in occasioni appunto “solenni”, in cui la genialità e la sensibilità mozartiana riescono ancora una volta a descrivere la condizione esistenziale dell’uomo nella sua dimensione più autentica e profonda, come testimonia l’invocazione di pace e misericordia che pervade il sublime Agnus Dei conclusivo, sulla cui linea melodica, non a caso, qualche anno dopo Mozart avrebbe concepito l’aria che la Contessa d’Almaviva intona nel secondo atto delle Nozze di Figaro («Porgi, amor, qualche ristoro, al mio duolo, a’ miei sospir! O mi rendi il mio tesoro, o mi lascia almen morir»). Ennesima prova che rende ancora più labile il confine mozartiano tra dimensione sacra e profana.

avvenire.it