La messa in acqua. Questo episodio diventa importante per riflettere sul senso e il valore delle celebrazioni ecclesiali

Messa in mare: parroco indagato da Procura di Crotone - Ultima Ora - ANSA

Don Mattia Bernasconi ha accompagnato i ragazzi della sua parrocchia (San Luigi Gonzaga di Milano) a Crotone per partecipare a un campo della legalità di Libera. Nell’ultimo giorno di permanenza, il gruppo ha deciso di stare in spiaggia. Essendo domenica si doveva anche celebrare messa: “Avevamo scelto la pineta di un campeggio – spiega don Mattia – ma era occupata. Faceva molto caldo e così ci siamo detti: perché non fare messa in acqua? Una famiglia ci ha sentito parlare ed ha messo a disposizione il loro materassino che abbiamo trasformato in altare”. Nell’era social è bastata appena una mezz’ora perché il video del fatto diventasse virale e, ovviamente partissero le reazioni, in primis quella della Diocesi di Crotone, dove è avvenuto il fatto, che ha fatto sentire subito la sua voce.

Dico subito che non condivido la scelta di Don Mattia, ma non condivido nemmeno le motivazione, più o meno esplicite, addotte dalla diocesi di Crotone. Perciò questo episodio diventa importante per riflettere sul senso e il valore delle celebrazioni ecclesiali.

La diocesi di Crotone afferma che “la celebrazione eucaristica e, in generale, la celebrazione dei sacramenti, possiede un suo linguaggio particolare, fatto di gesti e simboli che, da parte dei cristiani e particolarmente dei ministri ordinati, è giusto rispettare e valorizzare, senza rinunciarvi con troppa superficialità. In alcuni casi particolari, in occasione di ritiri, campi scuola, nei luoghi di vacanza è anche possibile celebrare la Messa fuori dalla chiesa. Bisogna sempre, però, prendere contatti con i responsabili ecclesiali del luogo dove ci si trova, per consigliarsi sul modo più opportuno di realizzare una celebrazione eucaristica di questo genere. Soprattutto è necessario mantenere quel minimo di decoro e di attenzione ai simboli richiesti dalla natura stesse delle celebrazioni liturgiche”.

Una netta presa di distanza, in cui si evidenzia che se l’autorizzazione fosse stata chiesta alla diocesi, sarebbe di certo stata negata, perché non si ravvisa in questo gesto liturgico quel “minimo di decoro e di attenzione ai simboli” richiesti dalla messa. Ho cercato con una discreta precisione sul catechismo della chiesa cattolica, sul codice di diritto canonico, e sulla recente esortazione di papa Francesco “Desiderio desideravi”, se compaia la richiesta di decoro, ma non ho trovato nulla in questa direzione.

Anche perché decoro è un concetto assolutamente culturale (né ecclesiale, né teologico) e perciò soggetto a interpretazioni molto personali. A me, per esempio, non pare decoroso che in una processione la statua della Vergine possa inchinarsi alla casa del boss di turno; o nemmeno che durante la messa vengano malamente cacciati fuori dalla Chiesa questuanti di vario genere; o nemmeno mi pare decoroso che il sacerdote decida tutto sulla celebrazione, senza che la comunità possa mettere becco. Ma sono percezioni mie e le riconosco come tali, e non chiederò certo ad altri di adeguarsi ad esse.

Si trova invece molto (in questi tre riferimenti del magistero) sull’attenzione ai simboli. Ma ho la netta sensazione che la diocesi di Crotone qui pensi ai simboli solo come a gesti, parole e oggetti che la tradizione ci ha consegnato come frutto di elaborazione della vita delle comunità che ci hanno preceduto. Cioè, prodotti culturali, nati in contesti storici diversi, che una volta entrati nella liturgia vengono investiti di “eternità” e perciò divengono inamovibili.

In realtà, il CCC parla di simboli in modo diverso. “L’universo materiale si presenta all’intelligenza dell’uomo perché vi legga le tracce del suo Creatore. La luce e la notte, il vento e il fuoco, l’acqua e la terra, l’albero e i frutti parlano di Dio, simboleggiano ad un tempo la sua grandezza e la sua vicinanza. (…) In quanto creature, queste realtà sensibili possono diventare il luogo in cui si manifesta l’azione di Dio che santifica gli uomini, e l’azione degli uomini che rendono a Dio il loro culto. (…) La liturgia della Chiesa presuppone, integra e santifica elementi della creazione e della cultura umana conferendo loro la dignità di segni della grazia, della nuova creazione in Gesù Cristo. (1147-1149). In altre parole è il molto più il dato naturale e non quello culturale, a generare i simboli liturgici e a rendere “incarnata” la liturgia, come forma per vivere qui e ora, come Chiesa, la pasqua di Cristo.

L’esortazione di Francesco non è da meno: “La Liturgia è fatta di cose che sono esattamente l’opposto di astrazioni spirituali: pane, vino, olio, acqua, profumo, fuoco, cenere, pietra, stoffa, colori, corpo, parole, suoni, silenzi, gesti, spazio, movimento, azione, ordine, tempo, luce. Tutta la creazione è manifestazione dell’amore di Dio: da quando lo stesso amore si è manifestato in pienezza nella croce di Gesù tutta la creazione ne è attratta. È tutto il creato che viene assunto per essere messo a servizio dell’incontro con il Verbo incarnato, crocifisso, morto, risorto, asceso al Padre” (n. 48). Un richiamo forte a ritrovare il legame della liturgia con la spontaneità della natura, più che con le forme culturali che hanno dato forma a questi simboli nelle epoche passate.

Allora il punto della questione sta qui: possiamo continuare a perpetrare una liturgia bloccata dentro a formalismi anacronistici, in cui il vissuto effettivo delle comunità di oggi non si rispecchia più da tempo?

Anche perché sia la diocesi di Crotone che Francesco richiamano il senso dello “stupore” come arma per permettere di vivere effettivamente la messa. Ma la sensazione è che anche su questo ci sia una divaricazione notevole di interpretazione. Per la diocesi stupore assomiglia molto a ciò che Francesco indica come “la fumosa espressione “senso del mistero” (…) una sorta di smarrimento di fronte ad una realtà oscura o ad un rito enigmatico”. Perché nella logica della diocesi esso è producibile solo se ci sono determinate, oggettive e precise forme simboliche, mentre nella logica di Francesco esso è frutto di uno stile celebrativo. “Se lo stupore è vero non vi è alcun rischio che non si percepisca, pur nella vicinanza che l’incarnazione ha voluto, l’alterità della presenza di Dio” perché è “la meraviglia per il fatto che il piano salvifico di Dio ci è stato rivelato nella Pasqua di Gesù”.

Siamo capaci di questo stupore? In acqua, in un bosco, in una chiesa, su un tetto, in nave, ovunque si possa celebrare il vero punto è quello che Francesco rimette alla centralità di tutti: “Qui si pone la questione decisiva della formazione liturgica. Dice Guardini: «Così è delineato anche il primo compito pratico: sostenuti da questa trasformazione interiore del nostro tempo, dobbiamo nuovamente imparare a porci di fronte al rapporto religioso come uomini in senso pieno” (n. 34).

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