La libertà religiosa è indice di una sfida molto più vasta

Anticipiamo un estratto del Discorso alla città e alla diocesi che il cardinale arcivescovo di Milano Angelo Scola tiene nel pomeriggio di giovedì 6 dicembre nella basilica di Sant’Ambrogio in occasione della celebrazione vigiliare della memoria del santo patrono della città e compatrono della diocesi. L’editto di Milano: Initium libertatis è il titolo del discorso dedicato ai temi che innerveranno l’Anno Costantiniano indetto in occasione dei millesettecento anni dall’Editto di Milano.
Dopo un’introduzione storica, il cardinale arcivescovo di Milano si sofferma su come praticare e pensare oggi la libertà religiosa.
“Rispettare la società civile implica riconoscere un dato obiettivo: oggi nelle società civili occidentali, soprattutto europee, le divisioni più profonde sono quelle tra cultura secolarista e fenomeno religioso, e non (come invece erroneamente si pensa) tra credenti di diverse fedi. Misconoscendo questo dato, la giusta e necessaria aconfessionalità dello Stato ha finito per dissimulare, sotto l’idea di “neutralità”, il sostegno dello Stato a una visione del mondo che poggia sull’idea secolare e senza Dio. Ma questa è una tra le varie visioni culturali che abitano la società plurale. In tal modo lo Stato cosiddetto neutrale, lungi dall’essere tale fa propria una specifica cultura, quella secolarista, che attraverso la legislazione diviene cultura dominante e finisce per esercitare un potere negativo nei confronti delle altre identità, soprattutto quelle religiose, presenti nelle società civili tendendo a emarginarle, se non espellendole dall’ambito pubblico. Lo Stato, sostituendosi alla società civile, scivola, anche se in maniera preterintenzionale, verso quella “posizione fondativa” che la laicité intendeva rispettare, un tempo occupata dal “religioso”. Sotto una parvenza di neutralità e oggettività delle leggi, si cela e si diffonde, almeno nei fatti, una cultura fortemente connotata da una visione secolarizzata dell’uomo e del mondo, priva di apertura al trascendente. In una società plurale essa è in se stessa legittima ma solo come una tra le altre. Se però lo Stato la fa propria finisce inevitabilmente per limitare la libertà religiosa.
Come ovviare a questo grave stato di cose? Ripensando il tema della aconfessionalità dello Stato nel quadro di un rinnovato pensiero della libertà religiosa. È necessario uno Stato che, senza far propria una specifica visione, non interpreti la sua aconfessionalità come “distacco”, come una impossibile neutralizzazione delle mondovisioni che si esprimono nella società civile, ma che apra spazi in cui ciascun soggetto personale e sociale possa portare il proprio contributo all’edificazione del bene comune”.

(©L’Osservatore Romano 7 dicembre 2012)