La lezione del corridoio

di Gilberto Borghi | 09 dicembre 2014 
«Prof, lei vuol farmi credere che esistono persone che sono capaci di rimetterci solo per rispettare un principio etico?»
scuola.religione.irc

Nel corridoio, come spesso accadde, succedono le cose migliori, alla fine della lezione. È una quarta, troppo decimata negli anni precedenti, che perciò insolitamente permette un lavoro quasi personalizzato. Volevo mostrare loro come la dimensione etica delle persone stia in piedi su principi che sono tra loro di valore molto diverso, da una morale della paura fino anche a una della gratuità fondata nel rapporto con la divinità. Di solito per fare questo utilizzo uno strumento vecchiotto, la scala di Kolberg, opportunamente “potato” dal meccanicismo stadiale di origine piagetiana.

Dopo aver passato i livelli dall’uno al cinque della scala, provo a spiegare il sesto. “In questo livello le persone agiscono sulla base di principi universali che essi ritengono veri e giusti, in ogni condizione e situazione. Il più famoso è la cosiddetta regola d’oro: fai agli altri quello che vorresti fosse fatto a te, regola che ritroviamo in circa un centinaio tra religioni e culture, che coprono il 95% della popolazione mondiale. Perciò davvero la possiamo considerare universalmente accettata”. E poi faccio loro l’esempio, realmente accaduto, della ricercatrice inglese che dopo aver lavorato per anni alla costruzione di un farmaco nuovo, decide di non fare la sperimentazione umana su pazienti in coma, perché non possono dare il loro assenso. Facendo così si fa “soffiare” il risultato della sua fatica da un altro centro di ricerca, che arriva prima di lei a poter brevettare lo stesso farmaco.

A questo punto Francesca interviene: “Prof, cioè lei vuol farmi credere che esistono persone che sono capaci di rimetterci solo per rispettare un principio etico? Cioè non ci guadagnano niente e anzi ci rimettono?”.

“Eh, si Francesca, esistono eccome. E forse ne hai conosciuto qualcuno anche tu. Chiedi a tua madre cosa ci guadagnava ad alzarsi la notte quando tu piangevi, invece di lasciarti da sola?”.

“Ma cosa centra prof, mia madre lo faceva perché mi vuole bene, e ci guadagnava il piacere di vedermi stare bene. Ma questa qua del farmaco mica ci ha guadagnato niente, ci ha solo rimesso”.

Interviene Ludmilla: “Ma Franci a te non ti è mai capitato di fare qualcosa per qualcuno che te lo chiede, che magari nemmeno conosci bene, solo perché così lo puoi aiutare?”. “No – ribatte Francesca -, a me non è mai capitato”.

“Cioè vuoi dire che – salta su Loris – non hai fatto qualcosa per un altro a gratis?”. “No, non mi è capitato, ma scusa, perché dovrei farlo, cosa ci guadagno io?”.

“Il bello sta proprio lì – le dico – che non ci guadagni nulla. E forse in questo potresti provare un piacere strano, quasi una  felicità, nel sapere che ami senza che ti torni niente in cambio. Capisco che se non l’hai mai provato non lo conosci, ma davvero mi sembra strano che mai ti sia capitato”. Allora mi è balenata un’idea. “Se volete ho un piccolissimo filmato, tre minuti, che vi mostra la bellezza del fare qualcosa a gratis per un altro”. E quasi come un coro: “Si prof. dai lo vediamo!”. Così ho proiettato la storia del dott. Prajak Arunthong, una piccola clip già passata qui  nel nostro canale video.

E quando ho riacceso la luce la classe era ammutolita. Presa tra l’emozione di una bontà bella e attraente e lo stupore un po’ strano di come queste cose nella loro vita siano poche, rare e a volte, come per Francesca, forse davvero inestinti. Poi Ludmilla ha rotto il ghiaccio: “Bello prof. mi sono commossa. Ecco sì è vero arriva quasi una sensazioni di felicità strana. Che mi rende serena e contenta”. Poi altre due condividono Ludmilla. E poi Tommaso: “Certo che ci vuole una gran forza a vivere così. Cioè una roba che non ti cambia la vita, però ti fa fare dei gesti belli che ti riempiono di senso, quando sei alla fine”.

E allora la butto là: “Ma vi sembra così difficile scegliere di vivere così?”. E Tommaso: “Eh sì, prof. perché devi aver già dato per scontato che tu vivi comunque, che puoi non preoccuparti troppo di te. E invece siamo spesso tutti presi da questo”. “Sono d’accordo – rispondo – siamo preoccupati del controllo sulla nostra vita, della sicurezza, dell’ordine, di garantirci che abbiamo soldi abbastanza, di poter dare spazio infinito a tutti i nostri desideri, come se questo poi fosse davvero capace di renderci felici e non più frustrati invece, perché pochi di questi desideri davvero si realizzano. Insomma abbiamo troppe cose da perdere, per pensare di regalare qualcosa agli altri. Eppure chi lo fa, ha una felicità in più, e si vede”.

Francesca tace. Il suo viso fa trapelare una disapprovazione più di facciata che di sostanza. Ma forse il coraggio di ascoltare quello che le è arrivato dentro non c’è ancora. La capisco. E la campana arriva a togliermi dal dubbio su come buttare lì un seme. Ho solo il tempo di dirle: “Lo so che ci pensi, va bene così.”

Esco e penso che sia stata una buona lezione. Ma non ho messo nel conto il corridoio. Loris mi rincorre e mi fulmina quasi alle spalle: “Prof., prof.” “Che c’è?”. “Voglio dirle che se Dio sarebbe così, mi interessa!”. Due errori di sintassi! Dovrò fargli ripassare i verbi!

 

vinonuovo.it