La bioetica in romanzo

Jodi Picoult cerca di dare voce a tutti i protagonisti delle vicende nel tentativo di sviscerarne i tanti risvolti

La bioetica in romanzo

Non è alta letteratura ma un esperimento interessante per cercare di superare sterili contrapposizioni

di Giulia Galeotti

Cresciuta a Long Island, dopo un master in educazione a Harvard (seguendo anche le lezioni di Carol Gilligan) e gli studi di scrittura creativa a Princeton, Jodi Picoult ha lavorato come copywriter, editor e insegnante di inglese prima di dedicarsi a tempo pieno alla narrativa. La sua carriera letteraria iniziò nel 1992 quando, dopo alcuni racconti, scrisse il romanzo Songs of the Humpback Whale. Era incinta della primogenita Samantha (con cui ha appena firmato l’ultimo libro, Between the Lines, 2012, dedicato, eccezione nella sua produzione, a un pubblico adolescente). Poi arrivarono altri due figli con cui vive nel New Hampshire, insieme al marito.
A oggi, Jodi Picoult ha scritto a ritmo sostenutissimo venti romanzi, tradotti in quaranta lingue. Uno, My Sister’s Keeper, è diventato una pellicola hollywoodiana di discreto successo con Cameron Diaz diretta da Cassavetes. Autrice di botteghino, Picoult colpisce per il suo tentativo di mettere la bioetica in romanzo.
Lo rivelano innanzitutto i temi trattati. Si va dal problema della donazione degli organi post mortem (Lone Wolf, 2012, e già in Change of Hearth, 2008) all’autismo (House Rules, 2010), dalla malattia genetica (Handle with Care, 2009) alla marginalizzazione e la violenza (The Tenth Circle, 2006), dai problemi dell’adolescenza (The Pact, 1998) alla pedofilia (The Perfect Match, 2002, in cui vi sono anche abusi da parte di religiosi), dalla definizione di famiglia e di genitorialità (Sing you home, 2011) al bullismo e alla follia omicida (Ninteen Minutes, 2007, romanzo post Columbine), dalla pena di morte (Change of Heart) al bambino concepito per salvare il fratello (My Sister’s Keeper, 2003), dalla eutanasia (Mercy, 1996) all’abbandono di un figlio (Harvesting the Heart, 1993). Tanti suoi romanzi hanno un’inconfondibile modalità narrativa: approfondiscono la vicenda da tutti gli angoli possibili, dando voce, capitolo dopo capitolo, a un protagonista diverso (qualcuno anche inatteso) della storia. Modalità che se da un lato rischia alla lunga di suonare ripetitiva ed elementare, permette però di tentare un’indagine attenta alla complessità dei temi affrontati.
Se molti dei romanzi di Picoult sono caratterizzati anche dalla presenza di una suspence di tipo legale, quello che risulta è la convinzione (tutta americana?) che la legge sia la migliore alleata per i bimbi in pericolo o in crisi. Perché di minori variamente in pericolo i suoi romanzi sono pieni. Bambini o adolescenti malati, violentati, uccisi, molestati, comunque complessi, circondati da adulti per tanti versi volenterosi, ma che spesso risultano goffi o incapaci di affrontare le ferite della vita.
Non si tratta di alta letteratura e certamente alcune posizioni sono presentate con un certo manicheismo (la complessità non sta solo nei vari punti di vista, ma anche all’interno dei punti di vista stessi). Inevitabilmente, inoltre, la vicenda è narrata orientando il lettore a una determinata posizione. Sicuramente però i romanzi di Jodi Picoult hanno il merito di tentare di dare spessore a questioni molto complesse che invece il dibattito attuale (da qualsiasi parte provenga) tende ad appiattire in sterili contrapposizioni.

(©L’Osservatore Romano 24 agosto 2012)