IL mistero trinitario ricorda che la fede, come l’amore, non è fissità, ma ricerca continua. E persino ‘gioco’

Santissima Trinità

Nell’avvicinarci al mistero inesauribile della Trinità, che ricordiamo in questa domenica, dovremmo entrare nella tensione che la Parola mette a fuoco, quella cioè tra ricerca e rivelazione. È nella ricerca costante del volto di Dio che si dimostra la vitalità e il radicamento di una fede: infatti, se ogni rapporto umano cambia nel corso del tempo, per molteplici fattori, lo stesso non può non accadere alla fede, se è ancorata alla vita e alla sua forza. Per questo, il Vangelo sottolinea che il discepolo non può all’inizio possedere tutto, perché la capacità di chi è nella sequela è sempre perfettibile, migliorabile, sostanzialmente umana (e fallibile). La «verità tutta intera» è solamente dono dello Spirito, che dona, concede, svela al tempo opportuno, in un cammino di progressiva adesione. Chi si crede arrivato, chi crede di aver esaurito il mistero di Dio (una contraddizione in termini), non è nella dinamica evangelica.
Fu questo lo stesso percorso dei Dodici, con esiti differenti, dalla loro chiamata alla Passione, dalla Resurrezione alla missione fino alla consumazione dei loro giorni. Forse che non sarà lo stesso per noi?

La conferma di tale ‘movimento’ della fede – e della vita – è in quello che possiamo intuire della Trinità, dove il circolo d’amore fra le tre persone divine è il contrario della stasi e della fissità, poiché l’amore donato-ricevuto è sempre movimento, in un’eterna danza di dono e accoglienza, di uscita e entrata e, infine, di rivelazione verso l’umanità.
Per questo, ogni qual volta pretendiamo di circoscrivere Dio, di attribuirgli con certezza confini e limiti, dovremmo sentire un campanello d’allarme: il Dio rivelato da Gesù di Nazareth non può essere limitato. Egli è sempre oltre, è sempre ulteriore, e ci spinge ad andare sempre oltre.

Ugualmente, dovremmo avvertire preoccupazione, quando la nostra vita di fede si ripropone sempre identica nel tempo, negli stati di vita, nella differenti situazioni che viviamo: è segno che il nostro cammino non è più un cammino, ma una sosta. È segno che la nostra conversione – mai terminata – è stata accantonata. Una sana inquietudine che ci stimola al bene, alla ricerca, all’umiltà è un dono della grazia.
Di fronte alla Trinità, ci farà bene chiederci che amore abbiamo e, soprattutto, che fede abbiamo: è in umile movimento o è ferma, fissa, troppo sicura di sé? L’acqua, se è stagnante, non è buona da bere; la bicicletta, per andare, deve muoversi…
È bellissimo il verbo ‘giocare’ che la prima lettura attribuisce alla Sapienza di Dio: «giocavo davanti a lui in ogni istante, / giocavo sul globo terrestre»: è un Dio che gioca, il nostro, muovendosi, verso di noi e fra le sue tre persone… Un Dio che sa giocare, è quello rivelato dalla Scrittura.

L’amore, lo sappiamo, richiede la pazienza del cammino, come la fede: «Attendere con profonda umiltà e pazienza l’ora del parto d’una nuova chiarezza», così scriveva Rainer Maria Rilke nelle Lettere a un giovane poeta.
È anche, in sintesi estrema, una buona descrizione della sequela cristiana. Che è anche un ‘bellissimo gioco’.