Kèfa, la roccia

Dopo aver cantato insieme l’Hallel, al termine di quella cena nella quale Yehûdāh era scappato via senza salutare, Yehoshua si alzò da tavola e fece cenno a tutti di uscire.

Una luna panciuta, ben alta in cielo, era lì a farsi unica lampada lungo il loro pellegrinare.

Tutti sapevano che via avrebbero fatto: prima del calar del sole,  spesso i dodici si ritiravano insieme in preghiera vicino al frantoio.

Quella sera però un impalpabile alone sembrava ingrigire tutto. Nessuno fra gli undici osò infrangere il silenzio, che ormai signoreggiava dall’ultimo alleluja.

pietro e giovanni

Camminavano dietro di Lui, per la china che porta al Getzemani. Il passo di Yehoshua era più svelto e deciso che mai. Simone subito dietro, a seguire gli altri.

Improvvisamente il Rabbi si fermò.

Voltatosi verso i suoi – che in pendenza gli sembravano più bassi, a motivo dell’altura che insieme salivano – disse: «Voi tutti vi scandalizzerete per causa mia in questa notte. Ricordate il profeta: “percuoterò il pastore e le pecore del gregge saranno disperse”. Ma dopo la mia risurrezione vi precederò in Galilea».

Con la rapidità d’un lampo, in un impeto di devota fierezza, disse Simone: «Io non mi scandalizzerò mai di te, anche se tutti ci dovessero abbandonare».

E Yehoshua, guardandolo fisso in volto, con un filo di voce: «Solo stanotte mi rinnegherai tre volte, Simone».

«No, Signore, mai sia! Dovessi pure morire per te oggi!» – rimarcò l’altro.

Non era la prima volta, in verità, che il Rabbi controbilanciava la sua generosità sanguigna e impulsiva. Ma Simone era fatto così. Come quel giorno all’aperto, quando Yehoshua annunciò per sé dolori e sconfitte e lui, presolo in disparte a braccetto, gli disse: «Ma non sono cose da dirsi, Signore».

E il Rabbi scostatosi bruscamente e attirando l’attenzione di tutti ammonì: «Satana! Tu non pensi secondo il cuore di Dio».

Quella però fu solo una tappa del lungo apprendistato del vecchio e franco Simone.

Era un uomo robusto, di una altezza perfetta per stare ritto sulla barca senza vacillare. Le sue mani si erano incallite a furia di sollevare le reti e di strofinare coi remi il lago impassibile.

pietro, mani

Non aveva studiato granché, eppure esibiva un senso pratico stupefacente. Era un vero intuitivo: una volta indovinò davanti a tutti persino l’identità di Yehoshua.

Le sue doti, in quella piccola sponda del lago di Galilea, gli consentirono di metter su una bella impresa di pesca, a gestione famigliare.

La sua casa sembrava una piazza di paese (non senza i borbottii di sua suocera): spesso gli uomini andavano da lui per commentare le giornate o sperando che, presto o tardi, avrebbe ingaggiato a lavoro almeno qualcuno dei loro figli.

Mastro Simone sapeva il fatto suo in materia di pesca. E se ne impettiva.

Nessuno però era riuscito ancora a scovare la dote a lui più cara: la sua terribile curiosità.

Un mattino presto, al rientro dalla quotidiana pesca notturna, Simone e suo fratello Andrea tiravano sotto costa le barche, guizzanti di un fresco bottino.

A terra intanto i garzoni, legati gli ormeggi, riassettavano le reti e ne ricucivano gli stappi.

Sulla riva del lago passò misterioso un forestiero.

Si fermò, puntandoli fissi negli occhi.

Non sapevano che fare, né cosa dire, finché quello con fare spigliato ruppe il silenzio: «Seguitemi, vi farò diventare pescatori di uomini!».

Un risucchio marino dentro.

Yehoshua aveva fatto breccia nel punto più sensibile di Simone: la sua curiosità. “Pescatori di uomini”: come resistere alla sfida?

Simone fulmineo saltò giù dalla barca.

Reti, guadagno, garzoni, tetto coniugale… tutto lasciò. E lo seguì, con Andrea dietro a lui.

Come avranno guardato a Simone gli ebrei del posto? E la sua sposa? Non poco rocambolesca sarà apparsa l’uscita del noto impresario.

La notizia, oltre che la sua famiglia, scombussolò quasi del tutto l’economia del paese: le maldicenze pullularono ovunque, per le strade e sotto i tetti, come a bordo dei loro vecchi pescherecci rimasti ormai all’uso di inesperti garzoni, di colpo fattisi padroni.

Per la forte eccitazione, la suocera di Simone s’ammalò, assalita da una febbre feroce.

Ma perché la salvezza iniziasse proprio da lì, ella fu la prima ad essere guarita da quell’ignoto pescatore venuto da Nazareth.

Arrivarono intanto al Getzemani.

Yehoshua rivolgendosi a Simone, Giacomo e Giovanni li supplicò di rimanere a vegliare con lui.

Ma come accade spesso in casi così, forse per il vino pasquale o per la fatica della lunga giornata, tutti caddero vittime di un indomabile torpore.

E Yehûdāh venne.

I soldati afferrarono Yehoshua.

Di soprassalto Simone si scosse: mise mano al fodero ed estrasse la spada… Breve resistenza: erano più forti, armati e numerosi.

Tutti allora, abbandonando là il maestro, fuggirono.

Condussero il prigioniero dinanzi al consesso dei pontefici, degli anziani e degli scribi, per un processo sleale nottetempo.

Simone però di lontano non perdeva di vista il suo maestro. Risolse di seguirli fin dentro il cortile del tempio, mischiandosi fra i servi. S’accoccolò vicino al fuoco – ché scemasse il freddo della paura – mentre lì veniva a scaldarsi la giovane serva del sommo sacerdote. Appena lo vide in volto, ne indovinò un galileo: «Ehi, anche tu eri col Nazareno!».

«Non so.. non capisco che vuoi dire», negò nervoso Simone, scivolando furtivamente dal suo cantuccio.

E di nuovo un’altra lo riconobbe e più in là un altro ancora, ma egli sempre di nuovo: «Non lo conosco!».

E in lontananza un gallo cantò.

I soldati intanto uscivano verso il cortile, portando in ceppi l’imputato. Gli occhi di Yehoshua, pescando tra la folla, trovarono subito quelli di Simone: sguardi incrociati, a cercarsi da una solitudine all’altra.

Una fitta nell’anima. Gli salirono subito in petto le parole del Signore: «…prima del mattino, mi rinnegherai, Simone».

Lasciò quell’atrio maledetto. Già a metà strada le lacrime gli riempivano gli occhi. E uscito dalle mura, s’abbandonò ad un pianto acerbo e fragoroso, di un dolore di cui, fino ad allora, non aveva avuto il più lontano sospetto.

Quel sembiante d’agnello inerme, condotto al macello, sarebbe rimasto impresso per sempre negli occhi navigati di Simone.

Non fu il canto del gallo, ma fu proprio quello sguardo a rompere la crosta della sua presunzione: egli vide, impaurito e solo, l’abisso della sua povertà.

Sparì per due giorni interi, per vergogna e per timore e non si sa dove.

Prima che il sole tramontasse per la seconda volta sul suo dolore, decise di rientrare a casa, dove forse erano gli altri, e lì l’amarezza divampò.

Stavano seduti in cerchio: Giovanni raccontava con voce sofferta l’evolversi del truce processo, lavia crucis, le parole di Yehoshua dall’alto del legno… E tutti lo ascoltavano, addolorati per il Rabbi, molto più umiliati dal coraggio di quel giovane, che solo gli era rimasto vicino.

Presi dal sonno e dalle molte parole, si addormentarono là, senza neanche svestirsi.

Prestissimo bussarono alla porta, era Miriam di Magdala: «Venite! Venite! Hanno portato via il corpo del Signore!».

Simone e Giovanni scattarono.

Gli altri invece, infastiditi da quel trambusto e dalle dicerie di quella donna, pensavano: «A questa le è dato di volta il cervello!».

A grandi passi trottava Giovanni, contro un vento freddo sferzante; Simone di corsa più dietro, appesantito dall’età e dal rimprovero della donna.

Pietro e Giovanni

Arrivato per primo il giovane si chinò verso l’imboccatura del sepolcro: vide per terra le bende funeree, ma non vi entrò.

Giunto anche Simone, subito vi entrò e vide le bende per terra e  piegato, in un luogo a parte, il funebre lenzuolo.

Giovanni allora, dietro lui, vide e credette a quel vuoto: il Signore è davvero risorto!

Dopo questi fatti, Yehoshua in persona fece visita ai suoi nel cenacolo, fugando gli ultimi dubbi. Fu grande la gioia al veder vivo il Signore!

Dopo quell’incontro fulmineo però passarono alcuni giorni senza che Gesù si fosse fatto vivo.

Una notte, quando ancora tutti dormivano, Simone fu svegliato di soprassalto: ebbe l’impressione che quel giorno s’annunziasse presago. S’alzò portandosi alla finestra.

Nel silenzio gli parve di udire l’antico richiamo del lago, la pulsazione della vita che fu: «io vado a pescare!» – disse, svegliando tutti.

Tommaso, Natanaele, Giacomo, Giovanni e altri due, ormai svegli, concordarono: «Beh, veniamo anche noi con te».

Armati di lanterne, reti, ami e tinozze, presero il largo.

Il tempo invano passò nel fondo di quel legno gettato in mare, ed era già l’alba, ma vuote le reti.

D’improvviso una voce questuante dalla riva: «Non avete nulla da mangiare?».

«Nulla!», gli risposero.

«Gettate dalla parte destra e troverete!», promise di lontano la sagoma di un uomo.

Colsero la sfida. E come l’ebbero gettata, vibrò un turbinio nel liquido elemento sotto la barca, come un imbuto d’aria a mulinello: le reti di colpo gonfie, incontenibili!

Giovanni allora gridò: «Sì, è il Signore!».

Simone, cintosi i fianchi col camiciotto – perché era spoglio – di scatto si tuffò verso la sponda.

Gli altri con la barca a seguire.

Giunto a riva, vide quell’uomo vicino alla brace con sopra del pesce e del pane.

«Portate un po’ della pesca che avete colto or ora!», disse Yehoshua.

Simone commosso obbedì.

Nessuno dei presenti osava domandargli «chi sei?», poiché ben lo conoscevano. Yehoshua li fece sedere accanto a sé e offrì loro del pane e del pesce.

Quand’ebbero mangiato, il Maestro s’alzo e chiamò Simone: «Allora Simone, figlio di Giona, mi vuoi bene?».

Rispose: «Oh Signore, tu solo mi conosci e sai che ti voglio un gran  bene».

E Yehoshua a lui: «Simone, d’ora in poi ti chiamerai Kèfa, che vuol dire pietra, perché su di te edificherò la mia chiesa e le porte degli inferi non la vinceranno, mai».

Simone, quest’uomo generoso e friabile, sarà Kefa: la roccia della Chiesa.

settimananews