Indossare la mascherina è segno di carità pastorale

Sono passati venti mesi dal quando, il 7 maggio 2020, è stato firmato dal cardinale Bassetti, Presidente della Cei, e dal professor Conte, allora Presidente del Consiglio, il Protocollo che ha consentito la ripresa, in sicurezza sanitaria nelle chiese italiane, delle celebrazioni con il popolo che erano state sospese all’indomani dello scoppio della pandemia Covid-19, dovuta al ceppo originario del betacoronavirus Sars-Cov-2. Il testo dell’intesa è stato saggiamente calibrato per tenere unite le esigenze di tutela della salute pubblica con indicazioni accessibili e fruibili da ogni comunità ecclesiale.

Dopo oltre un anno e mezzo di applicazione è possibile constatare come, anche in occasione delle feste più solenni e partecipate, le chiese siano riconosciute come un luogo di culto in cui fedeli e pastori possono ritrovarsi per le celebrazioni liturgiche con ordine, serenità, raccoglimento nella preghiera e accoglienza fraterna. Secondo quanto riportato dalle parrocchie e nelle diocesi, la partecipazione alle Messe della vigilia e del giorno di Natale è stata abbondante e si è svolta, al medesimo tempo, in forma disciplinata e lieta, festosa. Di questo ringraziamo Dio, i sacerdoti e i loro collaboratori laici, e tutti i fedeli.

Dal maggio 2020 il quadro virologico, immunologico e socio-sanitario della pandemia è mutato. Siamo ora alle prese con una nuova ondata di contagi che dobbiamo affrontare con impegno e responsabilità non minori rispetto ad allora, tenendo conto di due fattori della realtà che non erano presenti nella primavera dello scorso anno.

Da una parte la copertura vaccinale del clero, degli operatori pastorali e liturgici e di un’amplissima percentuale di fedeli, che consente anche alle persone più anziane o fragili di partecipare alle celebrazioni comunitarie in sicurezza per la loro salute: gli attuali vaccini riducono la probabilità di contrarre il Covid-19 nelle forme sintomatiche più gravi, e questo li tutela come non era possibile prima.

D’altro canto, l’agente patogeno che provoca nella nostra popolazione il Covid-19 è mutato più volte e le sue varianti predominanti hanno assunto progressivamente – dalla Alfa alla più recente Omicron – una crescente capacità di contagiare e di diffondersi facilmente negli ambienti chiusi nei quali il ricambio d’aria non è sempre agevole attraverso la ventilazione naturale, in particolare nei luoghi e nei mesi in cui il clima si fa più rigido. Per evitare la trasmissione dei virus e gli effetti del contagio risulta di fondamentale importanza non solo il corretto distanziamento minimo tra i posti occupati da chi partecipa alla liturgia sul presbiterio, nella cantoria e tra il popolo, e l’accurata igienizzazione del luogo, degli oggetti e delle mani, ma ancor più l’indossare in modo efficacemente protettivo la mascherina facciale. Solo la copertura aderente di naso e bocca, preferibilmente con una mascherina a elevato potere filtrante, come i modelli Ffp2, può evitare di contagiare e contagiarsi anche tra quanti sono completamente vaccinati (seconda e terza dose), in quanto la profilassi vaccinale non è sterilizzante, soprattutto considerando la elevata trasmissibilità della variante Omicron che si avvia a diventare presto dominante anche nel nostro Paese.

Sia l’Oms ed altre agenzie sanitarie internazionali che il Governo italiano stanno giustamente incoraggiando l’uso della mascherina ovunque – e di quella Ffp2 negli ambienti maggiormente frequentati e questo rappresenta una esigenza cogente per la promozione del bene fondamentale della salute a fronte di un modesto disagio nel calzare il dispositivo fisico di protezione individuale.

Nelle nostre comunità cristiane, al senso civico di responsabilità per il bene comune si aggiunge la carità pastorale che chiede a tutti – ministri e fedeli – di essere particolarmente attenti, ancor più nella delicata situazione dell’attuale ripresa pandemica, nell’uso corretto della mascherina. Certo, può essere scomodo, soprattutto per gli anziani. Ma è un piccolo sacrificio che possiamo portare all’altare come offerta gradita a Dio per il bene di tutti suoi figli.

Avvenire