Il Vangelo secondo Paolo

di: Roberto Mela

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Fin dall’introduzione alla sua fatica Romano Penna denuncia il pericolo costante che il cristianesimo sia inteso riduttivamente come una precettistica morale: osservare delle norme, talvolta con molta difficoltà, per ottenere da Dio un rapporto favorevole o una grazia. L’esperto esegeta, emerito della Lateranense e affermato paolinista, svolge la sua indagine per riscoprire la vera identità del cristiano, del vangelo e dell’evangelizzazione che lo diffonde ovunque.

Al centro della vita cristiana vi è il vangelo, la buona notizia non di una vittoria militare o del felice genetliaco dell’imperatore – così era inteso nella cultura greco-romana coeva –, ma di un evento concreto attuatosi nella storia: Dio ha tanto amato gli uomini da donare il suo Figlio Gesù, che è morto in croce ed è stato risuscitato. Questo è un vangelo “eterno”, o, meglio, permanente, ineliminabile e, insieme, immutabile. Gesù è morto ed è stato risuscitato per gli uomini, per donare loro redenzione, pienezza di vita, figliolanza divina.

Il vangelo e il suo annuncio è stato al cuore della persona e dell’attività apostolica di Paolo. Quando egli parla de «il mio vangelo», si può notare quanto lo senta vita della sua vita. Anche Paolo però, lungi dall’essere il fondatore del cristianesimo, ha ricevuto il vangelo da altri (cf. 1Cor 5,1ss). Al primo posto dell’evangelizzazione sta infatti una missione, l’invio da parte di Gesù dei suoi discepoli quali annunciatori della buona novella fino ai confini della terra. La missione fa capire che l’origine del vangelo è allogena, altra dal mondo puramente umano. Nessuno evangelizza individualisticamente, ma solo come inviato da Gesù, con il quale vive in comunione.

L’evangelo di fatto consiste nella Parola di Dio, che ha Dio come soggetto e come contenuto oggettivo. Essa si specifica soprattutto per il suo carattere essenzialmente cristologico. Il buon annuncio si radica nella magnanimità di Dio e, di fatto, non si manifesta più come Legge ma come la stessa persona di Gesù Cristo. È una parola vicino al cuore e sulle labbra, proclamata esternamente e appropriata interiormente. La fede, infatti, viene dall’ascolto (cf. Rm 10,7).

Il contenuto dell’evangelo è vantaggioso per l’uomo, è l’annuncio di un favore fatto a lui. Il vangelo ha preso forma due volte, nel Gesù storico dapprima e poi nell’evento pasquale. L’evangelizzazione ha avuto quindi due inizi: la storia di Gesù, personalmente soggetto dell’annuncio del Padre e del Regno, e poi la sua storia divenuta oggetto dell’annuncio ecclesiale dopo la pasqua.

I Vangeli ricuperano la storia di Gesù che annuncia in parole e azioni concrete di salvezza il Padre e il Regno. La Chiesa postpasquale subentra in un secondo momento, annunciando principalmente la morte e la risurrezione di Gesù.

Il primo atto ecclesiale, preminente, è quello dell’annuncio. «Di qui si può dedurre addirittura – afferma Penna – la dimensione della predicazione come primo sacramento ricevuto» (p. 43). Cristo – afferma infatti Paolo – «non mi ha mandato a battezzare ma ad annunciare il vangelo» (1Cor 1,17).

Due sono i testi paolini decisivi per descrivere la natura del “vangelo” come è inteso da Paolo.

Il contenuto del vangelo riportato in 1Cor 15,1-3 è espresso con quattro verbi. Viene sottolineato con forza lo stretto rapporto tra vangelo e salvezza: Gesù morì, fu sepolto, è stato risuscitato, apparve. Se, nella grecità, si interpretava la nobiltà della “morte per” in quanto compiuta per una realtà positiva come gli amici, la patria, la pace ecc., in 1Cor 15 la morte di Gesù è interpretata teologicamente come redentrice non con una terminologia sacrificale e cultuale, ma esistenziale. Essa è a favore degli uomini in funzione dello sradicamento di una realtà negativa, il peccato.

La morte di Gesù è riscatto, redenzione, espressione ultima e sigillo esterno di una vita pro-esistente connotata da una forte solidarietà con gli uomini. Paolo personalizza le affermazioni: Cristo morì per noi, per noi tutti, per il fratello, per gli empi ecc.

In 1Cor 15,3c Paolo sottolinea il fatto che Cristo non risorse, ma che è stato risuscitato dalla potenza del Padre dopo un breve periodo di tempo. L’espressione “il terzo giorno” si riferisce alla scoperta del sepolcro vuoto ma non fissa calendaristicamente il giorno della risurrezione. La sua è una “risuscitazione” ad opera del Padre (cf. p. 54). Occorre ricordare che ciò che riscatta l’uomo non è però la croce, anzi è personalmente Gesù stesso a riscattare la croce.

Il secondo testo paolino importante citato da Penna come definizione formale del vangelo è Rm 1,16-17. Esso è potenza di Dio per la salvezza universale di chiunque creda, giudeo o pagano che sia, in quanto in esso si rivela il buon rapporto che Dio instaura fra sé e l’uomo all’interno del regime della fede. In ogni caso, «L’evangelo è soltanto credibile, esso può essere solo creduto» (K. Barth). Esso si offre come alternativa a tutto ciò che non sia accoglienza pura incondizionata del vangelo.

È evidente che l’evangelizzazione si attua all’interno della Chiesa. Sono stati i discepoli a curare e a tramandare la memoria di Gesù, non Ponzio Pilato o Erode Antipa. Non si può quindi scegliere Cristo e, allo stesso tempo, dire di no alla Chiesa… Non c’è vangelo senza Chiesa. Paolo stesso l’ha ricevuto all’interno della catechesi che gli è stata impartita (cf. 1Cor 15,1).

La Chiesa non ha certo l’esclusiva dell’umano e dei suoi valori, ma propone la possibilità effettiva di raggiungere la pienezza dell’umano, la sua redenzione, i valori radicati nelle radici. Altrimenti essi si riducono ad essere «come dei fiori recisi in un vaso» (P. Ricoeur).

Il vangelo è comunque sopra la Chiesa, l’insieme comunitario dei battezzati. Al centro del vangelo non è infatti il credente o il corpo ecclesiale, ma il Cristo Signore. Gli annunciatori sono servi, custodi e “coltivatori” dell’annuncio evangelico.

Penna ricorda come il vangelo ha bisogno di essere inculturato, come il Verbo di Dio si è incarnato. Esso conserva comunque sempre un aspetto “scandaloso” che non potrà mai essere aggirato o ignorato. La sapienza della croce – che è la sapienza del vangelo – è alternativa alla pura sapienza umana chiusa in se stessa e alle realtà superiori alle sue capacità conoscitive.

Il Dio altro si rivela pienamente, e non solo di spalle come ha fatto a Mosè, nel volto del Crocifisso. Questa è l’ultima rivelazione di Dio in un volto umano: il Crocifisso. Senza di lui si può giungere a conoscere forse il Dio della creazione, ma non il Dio insospettabile e “nuovo” che si rivela in Cristo Gesù crocifisso e risorto.

Penna sottolinea, infine, come il vangelo possa essere assimilato e vissuto solo nell’ambito della fede, apertura incondizionata all’azione gratuita di Dio in Cristo Gesù. L’impegno morale del discepolo di Cristo che ne segue necessariamente non sarà costituito allora da opere della Legge, ma dalla fede che si rende dinamica nella carità (cf. Gal 5,6), espressione fruttuosa della vita filiale del Figlio di Dio immessa nel credente dallo Spirito di Dio/di Cristo. L’imperativo morale segue l’indicativo salvifico gratuito e immeritato. Agere sequitur esse. Diventa ciò che sei…

Un bel volume di Penna, ricco di riflessioni e di citazioni paoline, che ben calibra la novità del vangelo e dell’evangelizzazione tra “scandalo” e dono di piena umanizzazione.