Il ricordo di don Milani, 55 anni fa moriva il “prete del dissenso”


Gesù è vissuto in un mondo triste come il loro, che ha come loro sentito che l’ingiustizia sociale è una bestemmia, come loro ha lottato per un mondo migliore». Così parlava don Lorenzo Milani, morto il 26 giugno di 55 anni fa, nel 1967, a soli 44 anni.
Don Lorenzo era cresciuto in una famiglia che rappresentava la cultura di Firenze al più alto livello e a San Donato fondò una scuola popolare serale per i giovani operai e contadini della sua parrocchia. Il 14 novembre 1954 fu nominato priore di Barbiana, una piccola parrocchia di montagna. Arrivò a Barbiana il 7 dicembre 1954. Dopo pochi giorni cominciò a radunare i giovani della nuova parrocchia in canonica con una scuola popolare simile a quella di San Donato. Il pomeriggio faceva invece doposcuola a in canonica ai ragazzi della scuola elementare statale.

Nel 1956 don Lorenzo rinunciò alla scuola serale per i giovani del popolo e organizzò per i primi sei ragazzi che avevano finito le elementari una scuola di avviamento industriale. Nel maggio del 1958 dette alle stampe Esperienze pastorali iniziato otto anni prima a San Donato. Nel dicembre dello stesso anno il libro fu ritirato dal commercio per disposizione del Sant’Uffizio, perchè ritenuta «inopportuna» la lettura. Nel dicembre del 1960 fu colpito dai primi sintomi del male (linfogranuloma) che sette anni dopo lo portò alla morte.
Certe pagine hanno certamente valore autobiografico: «Povero Pierino, mi fai quasi compassione. Il privilegio l’hai pagato caro. Deformato dalla specializzazione, dai libri, dal contatto con gente tutta eguale. Perchè non vieni via? Lascia l’università, le cariche, i partiti. Mettiti subito a insegnare. La lingua solo e nient’altro. Fai strada ai poveri senza farti strada. Smetti di leggere, sparisci. E’ l’ultima missione della tua classe». Nonostante le difficoltà e le incomprensioni, don Lorenzo sembra non conoscere crisi di vocazione.
A Barbiana la scuola aveva alla fine anche questo scopo: rendere possibile l’ascolto della Parola. Scrive in Esperienze pastorali: «Risulta tanto difficile che uno cerchi Dio se non ha sete di conoscere. Quando con la scuola avremo risvegliato nei nostri giovani operai e contadini quella sete sopra ogni altra sete e passione umana, per portarli poi a porsi il problema religioso sarà un giochetto. Saranno simili a noi, potranno vibrare di tutto ciò che fa noi vibrare. Tutto il problema si riduce qui, perché non si può dare che quel che si ha. Ma quando si ha, il dare viene da sé, senza neanche cercarlo, purché non si perda tempo. Purché si avvicini la gente su un livello d’uomo cioè a dir poco un livello di Parola e non di gioco».
La lingua, il possesso della lingua, scriveva in una Letta a una professoressa, è un elemento fondamentale per arrivare all’eguaglianza degli uomini: «E’ solo la lingua che fa eguali. Eguale è chi sa esprimersi e intende l’espressione altrui. Che sia ricco o povero importa meno. Basta che parli», affermava. Certo è difficile trovare operazioni culturali così rigorose e incisive come quella di Barbiana che fa della lingua e del suo possesso l’elemento fondamentale dell’uguaglianza umana. Non si tratta solo di denunciare la dispersione scolastica «di cui è colpevole un processo educativo che prescinde da quelle che sono le condizioni di partenza degli alunni».
La tesi di Barbiana, è stato scritto, è molto più profonda: è guidata da due convinzioni di fondo: la forza della parola e la fiducia nell’uomo, di ogni uomo che ha in sè ricchezze infinite e deve esser messo in condizione di esprimerle. La parola alla quale fa riferimento la Lettera a una professoressa è prima di tutto quella che Dio stesso ha pronunciato nel cuore dell’uomo, di ogni uomo, e che non può esser ridotta al silenzio. Non valorizzare al meglio il fattore umano è spreco della risorsa più importante.
Nella Lettera a una professoressa c’è anche una singolare efficacissima definizione della politica dai significati assolutamente post ideologici e laici: «Ho imparato che il problema degli altri è uguale al mio. Sortirne tutti insieme è politica. Sortirne da soli è l’avarizia».
Gazzetta del Sud