Il no al crocifisso: l’impossibile pretesa di educare in un vuoto culturale

CARLO CARDIA (avvenire 10/3/2010)
 La notizia che il ricorso italiano contro la sentenza della Corte di Strasburgo sul crocifisso è stato dichiarato ammissibile, e che su di esso si pronuncerà la Grande Chambre, non era scontata. Sia perché la percentuale di accoglimento dei ricorsi a Strasburgo per essere discussi al più alto livello giurisdizionale è molto bassa, sia perché la sentenza del novembre scorso era stata sottoscritta all’unanimità. Il passaggio alla Grande Camera è il riconoscimento della fondatezza e credibilità del ricorso, e consente nei prossimi mesi di precisare ulteriormente e diffondere le ragioni per le quali la pronuncia deve essere rivista, rendendo giustizia a quanto dicono le leggi e onore alla verità di ciò che è il crocifisso per la storia e la cultura italiana ed europea. È importante, tra l’altro, che diversi Stati si siano dichiarati a sostegno del ricorso italiano, preoccupati che l’indirizzo giurisprudenziale che si vuole affermare si ripercuota sulla propria capacità di disciplinare i rapporti con le confessioni in armonia con i principi di libertà religiosa e con la propria tradizione storico-culturale. La sentenza del 2009 ha rimesso in discussione anzitutto il ruolo della Corte di Strasburgo che non è quello di una Corte costituzionale che giudica le leggi nazionali rispetto alla normativa europea, ma quello – più limitato e importante – di verificare le lesioni della libertà religiosa sancita nella Carta europea dei diritti dell’uomo (Cedu) del 1950, in sintonia con altre Carte internazionali dei diritti umani. Per decenni la stessa Corte ha affermato che gli Stati nazionali hanno una ampia disponibilità nel disciplinare i rapporti con le Chiese, in ragione della loro storia, tradizione, e realtà sociale. Per questo motivo, le sentenze della Corte hanno censurato gli Stati soltanto quando era determinata una vera lesione del diritto di libertà religiosa, ma hanno respinto tutti quei ricorsi che riguardavano normative e tradizioni legate all’identità religiosa di un Paese senza violare alcun diritto individuale. La Corte non ha addotto alcuna spiegazione (come un giudice deve fare) sul perché abbia cambiato così radicalmente orientamento, ha ignorato elementi normativi fondamentali, contenuti nelle carte dei diritti dell’uomo, e ha selezionato un concetto di educazione dei ragazzi contrario al diritto internazionale oltreché alle esigenze dell’età evolutiva. La Convenzione internazionale dei diritti del fanciullo, del 1989, dichiara all’articolo 29 che i ragazzi devono essere educati al «rispetto dei valori nazionali del Paese nel quale vive, del Paese di cui può essere originario e delle civiltà diverse dalla sua». Questo principio ha un duplice riflesso, nei confronti del pluralismo sociale e culturale e della sfera soggettiva dei giovani. Per la Convenzione del 1989 uno Stato non deve nascondere i valori che lo caratterizzano dal punto di vista storico, religioso e culturale, che devono essere parte integrante della formazione dei giovani perché essi crescano nella conoscenza e nel rispetto dei principi della società nella quale si trovano. La Corte ha del tutto ignorato questo principio che regola la materia a livello internazionale, e ha taciuto che il crocifisso, secondo la generale opinione di personalità di ogni orientamento e religione, costituisce e rappresenta il simbolo di una religione che ha cambiato la storia umana, che predica l’amore per gli altri, opera nel mondo per aiutare chiunque (cristiani e non cristiani, religiosi e non religiosi), diffondere pace e conoscenza, sostenere i poveri della terra che dovunque soffrono fame, sete e indigenza, e subiscono violenza, sopraffazione, e subalternità culturale da parti di chi è più potente. La sentenza ha preferito avallare un concetto di educazione veteroilluminista per il quale la formazione dei giovani, deve svolgersi in un vuoto culturale nel quale non esiste passato, non c’è evoluzione e crescita dell’uomo, né un futuro da costruire sulla base dei valori più alti che le precedenti generazioni hanno elaborato. Le Convenzioni internazionali e la pedagogia più elementare chiedono altro, che al giovane siano mostrati in un clima di libertà e serenità i segni e i simboli del cammino dell’uomo, soprattutto quelli che hanno determinato le svolte spirituali e umanistiche più importanti della storia umana. Per unanime riconoscimento, il crocifisso è uno dei più alti simboli al quale guardano miliardi di persone come a una speranza di miglioramento e perfezionamento etico e di crescita ed evoluzione pacifica dei rapporti tra gli uomini e tra i popoli, e la sua presenza nelle scuole costituisce un apporto di serenità e arricchimento etico e culturale senza confini di religione.