Il dialogo è un valore che i giovani possono vivere con passione e speranza

di Carlo Climati

ROMA, venerdì,  28 settembre 2012 (ZENIT.org).- Musica e preghiera. Due mondi apparentemente diversi, che possono incontrarsi ed offrire messaggi meravigliosi.

E’ il caso dell’opera del sassofonista John Coltrane, uno dei più importanti artisti jazz del secolo scorso. Morto nel 1967, è oggi al centro di un grande interesse da parte di tanti giovani alla ricerca di poesia.

Nato nel 1926 nella cittadina di Hamlet, nel North Carolina, John Coltrane ricevette un’educazione cristiana dai genitori. Si formò, come altri musicisti del suo tempo, cantando inni al Signore in chiesa.

Ma il suo cuore volle andare oltre. Coltrane, infatti, credeva nella potenzialità di ogni religione come strumento di pace e di dialogo, in un’epoca tristemente segnata da divisioni e barriere. La manifestazione più evidente di questa sensibilità è il brano “Alabama”, che il sassofonista scrisse in seguito ad un drammatico fatto di cronaca.

Il 15 settembre 1963, una domenica mattina, un attentato di matrice razzista colpì una chiesa battista di Birmingham (Alabama) che ospitava la comunità riunita nel giorno del Signore. Un’esplosione causò quattordici feriti e tolse la vita a tre ragazze tra gli undici e i quattordici anni. Il sassofono di Coltrane sembrò piangere e pregare per il riposo eterno delle vittime, attraverso le note di questa struggente composizione.

Nel 1964 Coltrane registrò un’altra preghiera musicale, considerata il suo capolavoro: “A Love Supreme”. Nelle note di copertina del disco, illustrò il suo umile tentativo di ringraziare il Signore per i doni ricevuti: “Durante l’anno 1957 sperimentai, per grazia di Dio, un risveglio spirituale che doveva condurmi ad una vita più ricca, più piena, più produttiva. In quel tempo, per gratitudine, chiesi umilmente che mi venissero dati i mezzi e il privilegio di rendere felici gli altri attraverso la musica. Sento che ciò mi è stato accordato per Sua grazia. Ogni lode a Dio”.

Il messaggio di John Coltrane per i giovani del terzo millennio è un invito a valorizzare quel desiderio di fratellanza universale che è scritto nel cuore di ogni essere umano. Ci ricorda lo spirito che ha animato gli incontri interreligiosi di Assisi, le preghiere di Taizè e tutte le altre occasioni di dialogo fiorite nella primavera post-conciliare.

E’ uno spirito di speranza che si può sintetizzare con il titolo di un libro del 1985, scritto da un altro grande profeta del dialogo, Padre Ernesto Balducci: “L’uomo planetario” (Giunti Editore), luminosa testimonianza a favore dell’incontro tra culture e religioni diverse.

L’uomo planetario di Padre Balducci appare oggi ai nostri occhi come il precursore di un cammino vivo e pulsante. E’ un cittadino libero che respira nel mondo,  consapevole di appartenere a qualcosa di più grande di un semplice confine culturale, religioso o geografico.

Sono passati vent’anni dalla morte di Padre Ernesto Balducci, il 25 aprile 1992, in seguito alle gravi conseguenze di un incidente stradale. Questa ricorrenza può essere l’occasione per conoscere o riscoprire il suo messaggio, profondamente attuale e pieno di speranza per tanti giovani in cerca di testimoni autentici.

Padre Ernesto Balducci nacque nel 1922 a Santa Fiora, sul Monte Amiata, in una famiglia molto povera. Entrò con una borsa di studio nel collegio degli Scolopi e fu ordinato sacerdote nel 1945.

Fu grande amico di Giorgio La Pira, con il quale condivise una costante attenzione per le tematiche sociali. Nel 1958 fondò l’interessante rivista “Testimonianze”, espressione di un desiderio di dialogo presente nel mondo cattolico soprattutto giovanile. Uno dei primi abbonati, all’epoca, fu l’arcivescovo di Milano Giovanni Battista Montini, futuro papa Paolo VI.

Rosario Giuè ha dedicato recentemente un libro alle omelie del sacerdote toscano, “Ernesto Balducci. La parola di Dio nella storia” (Paoline). Si tratta di un’opera preziosa, che permetterà a tanti giovani di conoscere il pensiero di Padre Balducci, suscitando nuove speranze.

“Ormai dal 25 aprile di vent’anni fa quella piccola luce nel buio, la sua calda voce non c’è”, scrive Rosario Giuè, citando un brano del cantautore Marco Masini dedicato al prete fiorentino. “Ma la sua memoria è viva più che mai tra molti. Ritornare alle sue omelie non è un ripetere oggi ciò che ha detto Padre Balducci ieri. E’ un’occasione per noi uomini e donne di questo tempo per rinnovare il compito di vivere la propria fede e/o la propria speranza nella responsabilità per l’altro e l’altra dentro la storia”.

Le parole di Rosario Giuè fanno riflettere. E’ proprio nella nostra consapevolezza di essere uomini e donne planetari, oltre ogni confine, che si può coltivare la speranza di un mondo nuovo, senza divisioni e pregiudizi. Un mondo che i giovani hanno la possibilità di costruire, a poco a poco, camminando uniti in un grande abbraccio per l’intera umanità