Il cristiano sa che abbiamo un “Padre nostro”, ma anche una “Madre nostra”

È venuto col vento di marzo, poi è cresciuto nell’acqua della mia placenta, come tutti i bambini del mondo. Cosa prova lui adesso che sta per uscire e il tempo del grembo è scaduto? “Iosef, mi sembra che il censimento sia per noi un pretesto. Saremmo partiti lo stesso. L’ultima sua settimana doveva essere quella di un viandante, senza fissa dimora, sulla schiena di un’asina paziente”.

C’è un piccolo libro, prezioso e sapiente, che andrebbe riletto ogni anno, in questo giorno dedicato alla Madre di Dio. Un piccolo libro che regala parole dolci e antiche, come sa fare una donna, come sa fare una mamma. Eppure è scritto da un uomo, per giunta non credente: è In nome della madre di Erri De Luca, un testo a metà strada tra il racconto e la drammaturgia (e infatti è stato messo in scena molte volte, anche dallo stesso scrittore napoletano).

De Luca racconta la storia di una gravidanza, quella di Ieshu, figlio di un annuncio primaverile accolto da una ragazza di Nazareth, Miriam. A sua volta accolta da Iosef. A loro a volta accolti da un’asina. E poi accolti da pastori e non accolti da albergatori.

Il Verbo che si fa carne impone la gara dell’accoglienza, a cui si può opporre il rifiuto: il Bambino viene a mondo, là dove gli si fa spazio:

Lontano i pastori chiamavano qualche pecora persa. “È una bella notte per venir fuori, agnellino mio, notte limpida in alto e asciutta in terra. Il viaggio è finito e tu hai aspettato questo arrivo per nascere. Sei un bravo bambino, sai aspettare. Ora nasci che tuo padre ti aspetta. Si chiama Iosef, quando entra gli diciamo: caro Iosef io sono Ieshu tuo figlio. Vedrai che sorpresa, che faccia farà”.

Il tempo del parto è il tempo notturno in cui Miriam decide di stare sola con Ieshu, amando, pregando e profetando, suo malgrado. Dall’istante della nascita Miriam, come dice il Vangelo di oggi, “serba nel suo cuore” ciò che riguarda il Bambino. E eleva una preghiera alla rovescia, temendo un futuro di dolore:

Sia nessuno questo tuo Ieshu, sia per te un progetto accantonato, uno dei tuoi pensieri usciti di memoria. Ti pregano già tanto di ricordare questo e quello. Scordati di Ieshu.

Bellissima e terrena la madre di Erri De Luca, perché nulla è così sacro e al tempo stesso così umano quanto la maternità. Ancora una volta un autore non credente è capace di penetrare il Mistero e gettare una luce di grazia che illumina anche chi ha fede. Con una libertà che spesso il credente non possiede.

Il primo giorno dell’anno è anche la giornata mondiale per la pace. Non è retorica dire che se ci fosse più maternità, se tutti ci ricordassimo di essere figli, la guerra arretrerebbe. Più agnelli e meno lupi nelle nostre strade se tutti avessimo presente la comuna nascita, la medesima origine, la fraternità che spesso non vediamo.

Il cristiano sa che abbiamo un “Padre nostro”, ma anche una “Madre nostra”.

Facciamo nostro il canto dei pastori con cui si chiude il racconto di Erri De Luca:

 

Padre nostro che sei nei cieli

guarda il tuo gregge che resti intero e tuo.

Sia salva la tua proprietà,
come in cielo così in terra.
Dacci oggi i pascoli di domani,
riporta la smarrita e noi te l’offriremo
e non permettere gli agguati
ma salvaci dai lupi e così sia.

vinonuovo.it