Il cammino della riconciliazione

Chi arriva a Taizé vede subito il campanile della piccola chiesa romanica attorno alla quale si stringono le croci del piccolo cimitero dove sono, tra gli altri, i fratelli della comunità monastica fondata da Roger Schutz, là dove lo stesso priore riposa, ucciso a novant’anni, il 16 agosto 2005, da una squilibrata. Solo se si supera il minuscolo villaggio, s’intravede in fondo la chiesa della Riconciliazione, inaugurata cinquant’anni fa, il 6 agosto 1962, nella festa della Trasfigurazione.
Progettata da fratel Denis e progressivamente allargata da grandi tendoni colorati, la chiesa non s’impone. Il suo profilo non vuole infatti alterare quello dolce della collina che si confonde tra molte altre nell’immensa e quieta distesa della Borgogna, e soltanto all’interno rivela il suo spazio dedicato al silenzio, alla meditazione, all’adorazione eucaristica, alla preghiera liturgica che per tre volte scandisce il giorno, alle celebrazioni settimanali: intorno alla Croce, la sera del venerdì, o la liturgia della luce, che alla sera del sabato, “sabato senza sera”, introduce quella domenicale.
A mezzo secolo dall’inaugurazione della chiesa resta l’intuizione che formulò allora fratel Roger per quanti arrivano sulla collina: perché piuttosto che “il ricordo delle mura, possano ricordarsi dell’appello alla riconciliazione e farne il pane quotidiano della loro vita”. Nel 1958, tredici anni dopo la tragedia della guerra, era stato un avvocato di Berlino, Lothar Kreyssig, a lanciare l’iniziativa che fu denominata Sühnezeichen (“segni di espiazione”), per costruire edifici che nei Paesi travolti dagli eventi bellici esprimessero simbolicamente la volontà di riconciliazione. Così, nella primavera del 1961, fu proprio un gruppo di giovani tedeschi a iniziare i lavori, conclusi un anno più tardi.
Il segno s’inseriva quasi naturalmente a Taizé, dove più di vent’anni prima, il 20 agosto 1940, festa liturgica di san Bernardo, era giunto il giovane pastore protestante svizzero. Sulla collina, in una grande casa del villaggio quasi disabitato, Schutz si stabilì, iniziando ad accogliere ebrei e perseguitati politici, ma con il desiderio profondo di costituire una comunità monastica che, nata in ambito protestante, potesse riconciliare in sé le diverse tradizioni cristiane. L’accoglienza e l’amicizia ecumenica crebbero nel dopoguerra, arrivando presto fino a Roma e realizzando con il tempo – attraverso la dinamica di un vero e proprio “ecumenismo spirituale” – il sogno di Roger.
In quell’estate di cinquant’anni fa si riunirono nella nuova chiesa sulla collina rappresentanti delle principali confessioni cristiane e molte centinaia di giovani, soprattutto francesi e tedeschi. Ma come era successo alla chiesetta romanica, divenuta troppo piccola per la preghiera comune, lo stesso è accaduto alla chiesa della Riconciliazione, che la comunità ha dovuto ampliare con enormi tende. E qui, in un altro agosto, quello del 1974, venne aperto il “concilio dei giovani”, seguito più tardi da un “pellegrinaggio di fiducia” che ha toccato i cinque continenti.
Negli anni sessanta, davanti alla chiesa appena costruita un grande pannello in francese, tedesco e inglese ne spiegava il simbolo, invitando alla riconciliazione “il padre con suo figlio, il marito con sua moglie, il credente con colui che non può credere, il cristiano con suo fratello separato”. Le lingue si sono presto moltiplicate, e la scritta degli inizi non è stata più necessaria. Ma il segno rimane, invisibile e necessario come la chiamata di Cristo all’unità della Chiesa e della famiglia umana.

g.m.v.

(©L’Osservatore Romano 12 agosto 2012)