Esce oggi in libreria il volume «L’edificazione di sé. Istruzioni sulla vita interiore» (Laterza, pp. 104, euro 10) del filosofo Salvatore Natoli. Ne proponiamo un brano.
DI SALVATORE NATOLI – (scheda libri Natoli>>>)
N el Filebo di Platone, Socrate sta cercando d’identificare la natura del bene, ma proprio nel momento in cui sembra sfuggirgli, lo afferra in qualche modo nella natura del bello: «Infatti la misura e la proporzione vengono a realizzare, dovunque, bellezza e virtù». Quest’idea l’esprime la parola stessa che i Greci impiegavano per dire virtù: aretè . Il termine appartiene alla medesima famiglia del verbo aretào che vuol dire «prosperare » e perfino «essere fortunati». Significa anche fertilità . Possedere l’aretè ha allora il valore del mettere a frutto le proprie doti o predisposizioni. Se la si mette in questi termini, denota certo un possesso, ma è soprattutto risultato di un esercizio. Esige applicazione, necessaria alla valorizzazione. Aretè ha, infatti, la medesima radice, ar , del latino ars, che indica l’abilità nel costruire, nel fabbricare: denota perizia e invenzione. L’aretè è fondamentalmente una pratica efficace che dà risultati, ed è quindi degna di merito. E chi merita è, a sua volta, meritevole d’essere riconosciuto per quel che ha fatto: ciò spiega perché in greco aretè significa «merito» e perciò anche stima, onore, perfino splendore. La virtù, a partire dalla sua stessa gamma semantica, indica, dunque, un’azione ben riuscita. Già in Omero – quando l’uomo veniva ancora identificato con i suoi organi e i suoi gesti e l’unità dell’Io era ancora da venire – si parlava di aretè delle mani, dei piedi, del com battimento. Avere aretè significava, inoltre, avere perizia nella corsa, nella velocità, nel duello, in battaglia. Perfino nella frode e nel delitto. In seguito l’aretè sarà anche una prerogativa dell’intelletto. Per virtuoso bisogna allora intendere colui che sa valorizzare le proprie doti e sa metterle a frutto; e nei riguardi di se stesso colui che è competente dei propri desideri e sa modularli in vista del bene. Così concepita, la virtù altro non è che abilità a esistere, è capacità di padroneggiarsi. Seppure per provenienza è una nozione antica, credo sia più che mai necessaria nella società contemporanea. Infatti mai come adesso la grande macchina della persuasione è così abile – direi specializzata – ad accendere pulsioni, a stimolare, a speculare sui desideri. Peraltro come sarebbe possibile incrementare i consumi se non si stimolano i desideri? Il desiderio è stato sempre, ma oggi lo è ancora di più, un motore dell’economia. Non bisogna poi trascurare che uno dei tratti della psicologia umana è quello dell’assuefazione. Ne segue che per tenere sempre acceso il desiderio bisogna stimolarlo continuamente e lanciare perciò sempre nuove mode. In quest’escalation è difficile poter distinguere tra il lusso e lo spreco. Mentre nel mondo la forbice tra povertà e ricchezza resta più che mai ampia.
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