I Vescovi europei: “Non possiamo restare indifferenti alla sofferenza dei profughi”

richiamo a farsi carico di una cultura dell’accoglienza e della solidarietà

La più grande abbazia cirstercense d’Europa, fondata nel 1133 nel cuore del Wienerwald, il vasto polmone verde dell’hinterland della capitale austriaca, ha fatto da sfondo nei giorni scorsi all’incontro di una delegazione dei vescovi accreditati presso l’Unione Europea sulla crisi dei rifugiati, «una crisi dai numerosi risvolti».

Un incontro fortemente voluto dal vescovo di Eisenstadt, monsignor Ägidius Zsifkovics, nella sua qualità di presidente della commissione Comece per i migranti, i rifugiati e l’integrazione, che ha riunito tra le severe mura del monastero di Heiligenkreuz (sede della Hochschule-Papst Benedict XVI), non solo alcuni confratelli vescovi del vecchio continente – provenienti da stati di approdo, transito o destinazione – ma anche rappresentanti delle Chiese di Siria e Iraq, tra i quali il patriarca caldeo Louis Raphaël Sako e il vescovo di Aleppo, Antoine Audo SJ insieme a diversi esperti e osservatori provenienti da Medioriente e Turchia.

«La sofferenza di tante donne, uomini e bambini ci obbliga a impegnarci in un dialogo franco e costruttivo», ha dichiarato monsignor Zsifkovics, pastore della diocesi del Burgenland, il land austriaco più orientale al confine con Ungheria e Slovenia, zona chiave per le rotte d’ingresso, «e il fatto che le presenze qui siano state così numerose dimostra che l’invito è stato accolto come un segno forte nella prospettiva di una ricerca di soluzioni».

Un incontro a porte chiuse che, secondo il comunicato finale, ha offerto ai vescovi presenti, tra i quali l’arcivescovo di Budapest, il cardinale Peter Erdö, presidente del Consiglio delle Conferenze episcopali d’Europa (Ccee) e l’italiano monsignor Gianni Ambrosio, vescovo di Piacenza-Bobbio vicepresidente della Comece, un’occasione per impegnarsi in uno scambio libero e schietto su esperienze e opinioni, in merito alle quali non sempre esiste un’identità di vedute, segno anche della grande varietà di situazioni politiche e sociali esistenti nei singoli paesi. Ma «l’obiettivo della Chiesa – ha ricordato il vescovo di Eisdenstadt – è quello di accompagnare i migranti, a camminare con loro fianco a fianco, mano nella mano verso un futuro migliore».

Da mesi la situazione dei rifugiati in Europa è fonte di grande preoccupazione per i vescovi Comece e Ccee: risale soltanto al dicembre scorso l’ultima presa di posizione comune quando, alla vigilia della Giornata internazionale dei Migranti e su richiesta specifica dei vescovi, la commissione presieduta da Zsifkovics aveva prodotto un documento dettagliato sul tema delle migrazioni attuali. Un testo che è stato poi inviato dal presidente Comece, cardinale Reinhard Marx, alle istituzioni Ue e ai capi di Stato e di governo, «nella convinzione che il confine tra la politica interna e quella estera continuerà ad affievolirsi nel corso di questo secolo».

L’incontro di Heiligenkreuz, come scrive padre Patrick Daly, segretario generale Comece, rappresenta un ulteriore passo compiuto dalla Chiesa cattolica per offrire «un contributo attivo e costruttivo al dibattito politico e sociale d’Europa». E, a riprova di quanto questo tema sia in cima all’attenzione dei presuli europei, sarà proprio la questione migranti e rifugiati a dettare l’ordine del giorno della prossima riunione plenaria Comece prevista a Bruxelles dal 2 al 4 marzo prossimi dal tema «Promuovere la pace nel mondo, una vocazione europea» e non è esclusa un’ulteriore presa di posizione condivisa.

Nonostante talvolta le opinioni o le esigenze divergenti – i vescovi mediorientali sono preoccupati perché, attraverso il continuo esodo, non si spenga la presenza cristiana in quelle terre, quelli dei paesi di transito sottolineano la difficoltà nel fornire aiuti sufficienti – un tema che sta a cuore ai rappresentanti della Chiesa cattolica europea è soprattutto quello culturale e sociale. Erano anni che nella mitteleuropa si andavano rimarginando le ferite dei due ultimi conflitti mondiali e l’abbattimento delle frontiere tra popoli fratelli e una volta appartenenti al medesimo Impero – pensiamo solo al Brennero con la costituzione dell’Euregio, la macroregione transnazionale che riunisce gli abitanti dell’antico Tirolo, Sudtirolo e Trentino – sembrava portare le nuove generazioni a una ritrovata condivisione. E invece oggi, proprio quando le celebrazioni del centenario avevano fatto memoria della tragedia della «Grande Guerra», l’incubo dell’innalzamento di nuovi muri o del ripristino dei controlli sembra riportare indietro l’orologio della storia. Se spesso vengono messi perlopiù in risalto i risvolti economici, peraltro innegabili, il cuore dei vescovi batte per la questione sociale e pastorale. Solo comunità ritrovate saranno in grado di accoglienza, mentre sono troppi i segnali che le stanno lacerando in questi mesi, anche se nessuno intende nascondersi le difficoltà.

«Non possiamo accogliere tutti indistintamente, ma adoperarsi anche per ripristinare la pace nei paesi di provenienza dei profughi» aveva dichiarato il cardinale Marx a inizio febbraio, un tema che è ritornato all’ordine del giorno dell’assemblea plenaria dei vescovi tedeschi che si è tenuta dal 15 al 18 febbraio presso il monastero di Schöntal nel Baden-Württemberg.

Per voce del vescovo Stefan Hesse, arcivescovo di Amburgo e presidente della commissione per i migranti e rifugiati, la conferenza ha riaffermato volontà di costruire una «cultura dell’accoglienza e della solidarietà» (solo nel 2015 la Chiesa tedesca ha speso 112 milioni di euro per aiutare i rifugiati). Un Tweet di Ludwig Schick, arcivescovo di Bamberg, recita «ognuno ha il diritto di avere una terra dove vivere». E il vescovo di Salisburgo, Franz Lackner (già casco blu dell’Onu e profondo conoscitore dei Balcani) avvertiva qualche settimana fa «non possiamo essere ingenui, occorre ripensare a una pastorale dell’accoglienza in grado di dar voce alle preoccupazioni della gente locale che talvolta vede solo il risvolto problematico legato ai flussi migratori».

Su questa lunghezza d’onda vanno lette anche le parole del cardinale Schönborn che ha accolto a Vienna ieri il patriarca Sako nella sua prima tappa europea: «L’Europa non può diventare una fortezza», ma, ha aggiunto, «la situazione è seria, non disperata».

 vatican insider