I teologi e l’Arca 2.0

Chi l’avrebbe detto che è bene tornare a Tommaso d’Aquino per ritrovare un giusto rapporto fra uomo e animale. E, invece, se vogliamo comprendere paradossi e derive contemporanee di un “dialogo” fra gli esseri viventi che affonda nel fiat di Dio, bisogna riaprire la Summa contra Gentiles in cui il santo scriveva: «Gli errori circa le creature talora allontanano dalla fede perché sono incompatibili con la vera conoscenza di Dio». «Ecco, oggi siamo di fronte a ingannevoli approcci con il mondo animale che si ripercuotono anche nel rapporto col Signore», sostiene Giacomo Coccolini, docente di Filosofia della religione all’Istituto superiore di scienze religiose di Bologna. Da qui prende le mosse la sfida che lancia alla teologia morale, ossia di proporre «un’etica della relazione fra uomo e animali», come spiega il sottotitolo del suo volume Insieme nell’Arca (Città Nuova, pagine 124, euro 12).
Oggi l’Arca di biblica memoria è un’applicazione da smartphone per far incontrare i bambini con il bestiame che è diventato uno sconosciuto. «Si assiste a una netta presa di congedo dall’animale – afferma Coccolini –, che ha allontanato l’uomo da un rapporto essenziale nell’ambito creaturale portandolo a privilegiare tipologie relazionali superumane o, meglio, postumane. È la connessione permanente con i dispositivi elettronici che contribuisce a costruire l’identità con un oblio sempre più forte dall’ordine naturale nel quale gli animali hanno un loro significato».

Però questo distacco tecnologico ha come contraltare una cura quasi maniacale verso i quattro zampe: «Molti nostri contemporanei esaltano così tanto l’animale da indebolire la fede in Dio. E sembrano più inclini ad affermare l’importanza dell’animale che a riconoscere l’essere umano e il suo Creatore». Pare di leggere in controluce le pagine dell’Esodo che narrano del vitello d’oro. «Con la scomparsa di Dio dall’orizzonte odierno si giunge alla divinizzazione dell’animale», evidenzia Coccolini. Come se non bastasse la storia ci consegna una visione dei nostri “compagni di viaggio” che vengono ridotti a res o, come diceva Cartesio, ad “automi”. Con la conseguenza che ogni azione nei loro confronti è consentita. «È un altro errore di prospettiva. Tutto ciò mostra che quando viene meno un ordo omnium creaturarum l’uomo si considera principe del mondo. Si tratta di una concezione antropocentrica che non ha nessuna comunanza con l’antropologia cristiana».

Certo, occorre sgombrare il campo da una vulgata secondo cui la tradizione ebraico-cristiana è matrice della violenza verso gli animali. «Perché dalla Bibbia emerge l’esatto contrario», fa sapere il docente. Cominciando dalla Genesi. «Quando si legge che Dio crea “ogni sorta di animali selvatici e gli uccelli del cielo”, l’autore sacro pone in risalto la vicinanza tra l’uomo e gli animali, chiamati tutti “esseri viventi”. Poi a entrambi Dio dona la fecondità come frutto di benedizione. Però il fatto che l’uomo assegni un nome agli animali e che il Signore lo incarichi di dominare sul creato è un chiaro indice della sua superiorità in quanto creato a immagine e somiglianza di Dio». Comunque il dominium terrae non è assoluto, ricorda il Catechismo della Chiesa cattolica. «La supremazia – spiega lo studioso – deve tenere Dio come unità di misura ultima e va esercitata secondo le leggi morali, chiarisce l’enciclica Evangelium vitae». Le pagine iniziali della Scrittura raccontano l’armonia fra uomo e animali che abitano l’Eden. A spezzarla sarà il peccato. «È significativo che nella vicenda di Noè il Signore decida di punire col diluvio sia gli uomini sia gli animali, accumulandoli nella stessa sorte». Con l’alleanza noachica il rapporto uomo-animale viene segnato dalla lotta. «Da questo momento gli animali hanno timore dell’uomo che potrà cibarsene. Ma ancora una volta il testo biblico pone un limite: l’uomo non mangerà “la carne con la vita, cioè con il sangue”, che userà solo per il culto».

Nell’Antico Testamento gli animali sono inseriti nel fitto tessuto di rapporti che collegano Dio con l’uomo. «E il Signore se ne serve come strumenti di benedizione o castigo», spiega lo studioso. Poi ci sono brani in cui l’animale è motivo di salvezza per l’uomo, ad esempio nel libro di Giona. I Vangeli fanno ricorso agli animali soprattutto nelle parabole, anche se Gesù inizia la sua missione pubblica dopo che per quaranta giorni «ha vissuto con gli animali selvaggi» (Mc 1,13). In Giovanni assume particolare rilievo l’agnello. «E san Paolo evidenzierà che la morte di Cristo renderà superfluo ogni altro sacrificio legato al culto», aggiunge il docente.
Bibbia alla mano, Coccolini traccia una strada di riflessione sugli “amici” dell’uomo. «Perché ha ragione Claude Lévi-Strauss quando afferma che l’animale non è soltanto qualcosa di buono da mangiare, ma anche qualcosa di buono per pensare». Quattro sono i concetti teologici che possono essere ricavati dalla Scrittura. Il primo è quello della dignità della creatura. «Ciascun essere vivente ha un valore specifico che lo rende meritevole di rispetto. La tradizione sottolinea la “bontà di ogni creatura” (Gen 1,31) che deve conciliarsi con quella di “dignità dell’uomo”, vale a dire con la sua preminenza su tutte le creature». La seconda colonna è l’alleanza. «Quella di Dio con Noè è contrassegnata dall’antagonismo fra uomo e animale. Però, come rileva Paolo nelle sue Lettere, l’alleanza riguarda l’intera creazione che “geme e soffre nelle doglie del parto”. E con la nuova alleanza portata da Cristo l’uomo è chiamato a un rapporto col creato che sia specchio dell’amore fra il Padre e il Figlio». Terzo caposaldo è la responsabilità. «La Scrittura chiede all’uomo di avere cura di tutti i viventi e di comportarsi come un amministratore per “conto terzi” della casa ricevuta in affidamento da Dio». Infine l’idea di generosità morale. «La creazione degli animali è stata un atto di generosità. Se il Signore è stato generoso con l’uomo, altrettanto lo deve essere verso quanto gli è stato donato».
Questi i punti di partenza per affrontare anche i temi saliti sulla ribalta pubblica. Come la sperimentazione animale che, dice lo studioso, «ha bisogno di un codice etico per evitare i due estremismi: la sopraffazione arbitraria e l’opposizione a ogni test». Oppure la pratica vegetariana che nella Bibbia è testimonianza di un’esistenza non violenta. «In fondo – conclude Coccolini – la questione animale può essere uno dei luoghi espressivi della qualità della fede fede in Dio, creatore e datore della vita».

 

Giacomo Gambassi – avvenire.it