I costruttori di castelli di sabbia, manovali della gioia e dei sogni

sabbia

«Scusi, ma come si fa a costruire un castello come questo?». Il bimbetto avrà nove, dieci anni. È rimasto a guardare, all’ombra, per una buona mezz’ora. Fosse stato meno timido, si sarebbe fatto avanti subito proponendosi come manovalanza generica. Un bambino fa sempre comodo: spalatore di sabbia, portatore d’acqua, scavatore di tunnel… Tanto più che il castello è per loro, per i bambini. I bambini ci vogliono. Un adulto che aiuta i bambini a costruire un castello, sudando e scottandosi la schiena china, è meritevole d’encomio. Un adulto che si costruisce un castello da solo, dev’essere un po’ svitato.
Appunto. Sei lì sudato e chino e concentrato. Che risposta dare? «Come si fa? Ci vuole tanta, tanta ma tanta sabbia».
Non è vero. Ci vuole assai di più, anche se lo può capire soltanto chi sia immune dalla sindrome da materialismo piatto. Un castello di sabbia è fatto di tanta, tanta ma tanta sabbia, però è innanzitutto una visione. Si forma granello su granello, conchiglia su legnetto, sullo schermo bianco dell’immaginazione. È il castello di re Artù. È il castello di Ivanohe. È il castello visitato con i genitori, con le sale dal soffitto che tocca il cielo e le armature allineate alle pareti e che ti guardano, eccome se ti guardano dietro le celate; e mentre ti senti scrutato hai la certezza che di notte si animino per allenarsi e scambiarsi colpi, perché il nemico è sempre alle porte e sempre ci sono una fanciulla indifesa da sottrarre alle sgrinfie dei suoi perfidi rapitori e contadini tartassati da uno sceriffo avido, nelle infinite Nottingham della letteratura e della realtà.
Bisogna costruire la collina, perché i castelli eroici stanno sempre appollaiati. Tanta, tanta ma tanta sabbia. Poi le torri svettanti, le mura di cinta alte e spesse, un fossato, una seconda cinta di difesa, un poderoso mastio, una stradina che si inerpichi lassù, segnata da una fila di pini di sabbia zuppa fatta colare tra le dita, arte in cui le bambine sono insuperabili.
Il castello sorge sul bagnasciuga e sfida la risacca. Le onde sono il nemico formidabile a cui opporsi con l’ingegno. E tanta, tanta ma tanta sabbia. Eccole, le orde dei pirati saraceni che pensano di poter predare impuniti e sbarcano a ondate – letteralmente – ma le difese tengono. E il castello cresce, non finisce mai di crescere perché un vero castello è come la vita, un cantiere infinito.
A questo punto i bambini sono una squadra che lavora affiatata. Ognuno sa da sé che cosa deve fare. La marea saracena avanza ma il castello appare inespugnabile. Davanti, mura possenti respingono gli assalti. Dietro, cresce la cittadina, con stradine alberate e – nei casi più raffinati – una pista per le biglie.
Ma la vita non è mai perfettamente giusta. Bisogna fare i conti con la cena. Le mamme chiamano. Guardano il castello, dicono «bello!», ma il loro occhio passa subito a individuare ogni granello di sabbia appiccicato a gambe braccia pancia schiena (capelli…) del loro figliolo, la prosa prevale sulla poesia, il mare si mangia il sole, il tramonto allunga le ombre dei torrioni. I difensori si assottigliano, il castello rimane abbandonato. «Papà, domani lo ritroveremo?». Il papà tace. Ci penseranno la marea o il bagnino. O qualche ragazzotto che – almeno per il momento – a una vita da costruttore ne preferisce una da distruttore, e zompa con voluttà sul castello demolendo in pochi secondi ore di passione e sudore.
Addio? Domani un altro castello prenderà forma sullo schermo bianco di chi ama sognare e volare, e sa vedere le cose che ancora non ci sono, e le realizza. In fondo tutte, assolutamente tutte le cose materiali che realizziamo sono castelli di sabbia e sempre, prima o poi, arriveranno l’onda implacabile o il distruttore miserabile. Ma quel castello ha arricchito il cuore di chi l’ha “visto” e costruito, provandone gioia. E ne farà altri, e altri, e altri. Fatti di sabbia, fatti di sogno.
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