Guerra in Ucraina. Appello al Parlamento per dare più voce alla pace

Dopo la serata evento del teatro Ghione “Pace proibita”, il fronte pacifista rilancia e chiede l’intervento della commissione di Vigilanza per il rispetto di tutte le opinioni sul conflitto
Appello al Parlamento per dare più voce alla pace

Matteo Marcelli

Dopo “Pace proibita“, la serata evento al teatro Ghione di Roma la scorsa settimana, la composita galassia pacifista riunita attorno all’iniziativa di Michele Santoro si riorganizza e rilancia le proprie istanze con un appello al Parlamento. A presentarlo oggi pomeriggio nella sede della Federazione nazionale della stampa italiana, lo stesso giornalista ex Rai, assieme a Sabina Guzzanti e al direttore di AvvenireMarco Tarquinio.

La richiesta è quella di una riunione urgente della commissione di Vigilanza Rai affinché si intervenga sulla narrazione attuale in merito al conflitto e si ponga rimedio alla demonizzazione attuata nei confronti delle opinioni di chi è contrario all’escalation militare. «Oggi pace è una parola quasi proibita, censurata. Grazie all’iniziativa del teatro Ghione è tornata a circolare più liberamente, ma questo segnale di disgelo non è arrivato alla stampa italiana – ha chiarito Santoro -. Volevamo fare un atto di ribellione al pensiero unico e siamo stati travolti dalla partecipazione, significa che c’è un’opinione pubblica bloccata e che non viene rappresentata. Per cui chiediamo un riequilibrio delle rappresentanze di tutte le posizioni nel servizio pubblico».

«Non ho mai visto tanta unanimità in seno a una maggioranza. Potrebbe essere un bene se però ci fosse per ogni aggressione e ogni guerra che avviene nel mondo. Non ho mai subito un’aggressione come in questi giorni e non ho mai visto tanta protervia nel fare liste di prescrizione per chi non si adegua alla narrativa dominante. Nel 2003 ero contro la guerra in Iraq ma nessuno mi ha dato del “pro Saddam” – ha spiegato Tarquinio -. Trovatemi una guerra che ha portato più libertà e più democrazia, una sola!».

Per Guzzanti, invece, a preoccupare è il «linguaggio di guerra» al quale «ci ha abituato il Covid». «È triste – ha proseguito – che in una democrazia il pluralismo non sia considerato un valore».

Avvenire