Grave portare il Quirinale nella contesa. Gli autogol pesano tanto

Entrato in sordina, un po’ troppo, il tema delle riforme costituzionali rischia di diventare dirompente in una campagna elettorale già accesissima. I toni del dibattito sulla proposta di elezione diretta del capo dello Stato – posta dall’alleanza di centrodestra al terzo dei 15 punti del programma – sono stati subito segnati dal ritrovato vizio di fondo del dopo-Draghi: il muro contro muro tra forze politiche e coalizioni risospinte a fronteggiarsi a suon di proposte inconciliabili tra loro e, a volte, anche con il buon senso. È venuta a mancare, insomma, qualunque attitudine al dialogo, cioè la premessa stessa di una riforma delle regole del gioco, che sono di tutti e non strumento di una sola parte.

 

Il presidenzialismo è un modello come altri, c’è chi lo avversa convintamente e chi ne ha fatto la sua bandiera. Entrando nel merito per un attimo, si può ricordare che esiste una diffusa opinione fra gli studiosi che vede più compatibile con lo schema parlamentare una rafforzamento dei poteri del presidente del Consiglio. Un cancellierato alla tedesca, ad esempio, ma si tratta di opinioni e, qui e ora, non è questo il tema. Il tema è il metodo. La forma è sostanza, come si sa. Le forze politiche si contendono il controllo dei due rami del Parlamento e una legge elettorale criticata da tutti, ma da tutti voluta o quantomeno accettata, consentirà forse alla coalizione più forte – se conquistasse tutti i collegi uninominali – di dominare il prossimo Parlamento. E di fare di forza anche una riforma costituzionale di grave impatto come quella di stabilire l’elezione diretta del Capo dello Stato. Non più garante, ma leader.

È uno scenario realistico? Meglio essere prudenti. In Italia, negli ultimi anni abbiamo assistito a impressionanti fluttuazioni nella distribuzione dei consensi. In astratto, tuttavia, anche per la grande frammentazione con cui si va al voto (almeno quattro poli) non si può escludere che una coalizione , cioè il centrodestra, superi da sola il 50% dei consensi, soglia che secondo gli esperti avvicinerebbe all’ipotesi di utilizzo pieno della “torsione maggioritaria” che la legge a base proporzionale in vigore consente. Anche alla luce degli ultimi due precedenti (altrettante riforme costituzionali votate in Parlamento e bocciate dal popolo nel referendum confermativo), è necessario interrogarsi ora su che cosa accadrebbe se uno schieramento scegliesse la strada della riforma “a strappo”, cioè senza dialogo.

La brusca sortita di Silvio Berlusconi che ha posto il problema della permanenza del presidente Mattarella al Quirinale in caso di riforma in senso presidenziale, ha registrato un fiume di critiche, ma ha avuto il merito, almeno, di mettere il dito nella piaga. Il progetto è nudo: conquistare e sfrattare. Non è facile, ma concepibile. E poiché vengono messi in questione i poteri del supremo garante della Costituzione, possibile che nessuno si sia chiesto nulla sulle condizioni di imbarazzo in cui si andrebbe a collocare un capo dello Stato che meno di 6 mesi fa ha accettato su richiesta amplissima (popolare, prima che partitica) di tornare sui propri passi e di acconsentire alla rielezione? All’atto di accettare, contro il suo stesso parere, Mattarella aveva spronato le forze politiche ad alimentare il dialogo sulle riforme offrendo sé stesso come riferimento stabile in nome della sua riconosciuta imparzialità. E se la Costituzione indica in sette anni il mandato presidenziale è per fare in modo che esso possa dispiegare i suoi poteri nell’arco di legislature differenti, anche segnate da diverse maggioranze. E il nuovo settennato di Mattarella è in grado di interagire con ben tre legislature, una intera più altre due nel loro scorcio finale e iniziale.

Invece, il dialogo per le riforme è saltato. E ora si rischia di trascinare nella mischia elettorale anche la figura del ‘garante’ che questo dialogo ha cercato di favorire. E dire che le esperienze dello stesso Silvio Berusconi (in accoppiata con Umberto Bossi) e di Matteo Renzi indurrebbero a più miti consigli. Pensare di fare le riforme istituzionali da Palazzo Chigi, facendo leva su una maggioranza concepita per governare e non per dettare le regole a tutti gli altri, può mettere in crisi non solo ambiziosi progetti di governo, ma anche le traiettorie personali. Statisti e aspiranti tali ci pensino bene. Gli autogol pesano sempre tanto.

Avvenire