Giornata mondiale della Salute Mentale: c’è speranza nella guarigione

La Giornata rappresenta un’occasione per sensibilizzare l’opinione pubblica sulle malattie mentali. L’emergenza sanitaria dovuta alla pandemia ha contribuito e sta contribuendo a peggiorare l’isolamento emotivo delle persone che vivono questa condizione. “La salute mentale – ha dichiarato questa mattina il presidente della Repubblica Sergio Mattarella – è un diritto che deve essere garantito a tutti, tutelando e sostenendo coloro che non possono autorappresentarsi”. L’intervista al dottor Giuseppe Tibaldi

Conferenza sul tema della depressione tenuta a Milano lo scorso 7 ottobre nell'ambito della Giornata mondiale

Vatican News

Eliana Astorri – Città del Vaticano

Un libro racconta, attraverso testimonianze, il percorso verso la guarigione. Lo spazio, il dialogo, la condivisione e qualcuno che creda nella tua guarigione: sono alcuni degli elementi fondamentali contro lo stigma che vuole la persona malata di mente destinata alla non guarigione. Il dottor Giuseppe Tibaldi, direttore della Rete dei Servizi della Salute Mentale Adulti dell’Area Nord del Dipartimento di Salute Mentale di Modena, racconta il suo approccio ottimista nel libro “La pratica quotidiana della speranza. Storie di guarigione”, Mimesis Edizioni, attraverso le testimonianze di chi ha creduto nella propria guarigione ed è stato sostenuto durante questo percorso. La speranza nella guarigione, dunque, contro la disperazione della malattia. Ai nostri microfoni Tibaldi spiega in che modo sia possibile concretizzare questo rovesciamento di approccio nei confronti delle persone con psicosi

R. – Direi che la disperazione non è fondata su basi solide. Nel senso che, avendo anche un’attività di ricercatore, mi sono dedicato molto agli studi di valutazione di come le persone con esperienze psicotiche evolvono nel corso del tempo e queste ricerche dicono, in modo chiaro e scientificamente verificato, che le possibilità di guarigione, anche nei disturbi che definiamo schizofrenia, sono superiori al 50%. Quindi, la disperazione è un effetto di coloro che preannunciano un’evoluzione sfavorevole. Questo annuncio di evoluzione sfavorevole è molto frequente, purtroppo. La disperazione è infondata. Io mi sono dedicato alle storie positive proprio per questo motivo, perché, al di là dei dati scientifici, è necessario che queste persone che hanno un’evoluzione favorevole la raccontino e la testimonino.

Fondamentale è il ruolo del professionista che crede nella guarigione del paziente…

R. – Assolutamente sì. Questo è, in fondo, il senso principale del mio libro, quello di favorire queste aspettative favorevoli espresse non solo da parte dei professionisti ma anche da parte di coloro che vivono con queste persone. Perché è chiaro che per lunghi periodi prevale la sofferenza, prevale la disperazione, prevale l’idea che non possano esserci evoluzioni positive. Invece, c’è una collega che ha raccolto centinaia di testimonianze di percorsi positivi e uno dei fattori chiave è proprio avere qualcuno che creda ciecamente alla sua possibilità di un’evoluzione positiva di guarigione. Questo elemento del crederci è fondamentale sia per chi vive questa esperienza, sia per i suoi familiari, sia per gli stessi professionisti.

In questo libro, nelle diverse testimonianze di persone che sono guarite o che tengono sotto controllo la loro condizione, lei pone in rilievo il fatto che quando si parla di speranza si punta ad ottenere un obiettivo completo e finale di ciò che noi desideriamo, trascurando, invece, tante altre modalità minori, più piccole, che si possono attuare durante il percorso verso quel risultato…

R. – Esatto. Direi che è punto del libro. Si contrappongono quelle che chiamiamo speranze ragionevoli che spesso sono piccole, spesso sono speranze mescolate ai momenti di disperazione, si differenziano queste speranze ragionevoli da una speranza con la S maiuscola che, spesso, diventa fonte di delusione, perché, se l’obiettivo è immediatamente molto alto, la possibilità di raggiungerlo è remota. Se, invece, il percorso si alimenta di piccoli movimenti positivi che si alternano magari a momenti in cui la sofferenza ritorna, questa tensione positiva, riemerge e riprende il sopravvento perché, dal mio punto di vista, dentro ognuno di noi ci sono parti problematiche e parti sane. Nell’esperienza psicotica, le parti psicotiche prendono il sopravvento per un certo periodo di tempo, ma le parti sane continuano ad esserci ed è per questo che bisogna crederci. Bisogna credere che queste parti sane possano emergere e ritornare in primo piano. Questo è il mio impegno come professionista, ma, in generale, di tutti coloro che lavorano in questa direzione.

Don Luigi Ciotti, nella prefazione al libro, scrive che la sfida dei servizi e dei professionisti che lavorano in questo campo è portare le persone fragili non ad una apatica sopravvivenza, ma ad una vera e propria passione di vita. Lei ha dimostrato che questo è possibile. Le chiedo un messaggio in occasione della Giornata Mondiale della Salute Mentale…..

R. – Io credo che il messaggio fondamentale sia che i servizi devono essere orientati verso la guarigione perché, come scrivo nell’introduzione, il mito dell’inguaribilità è l’ultimo muro del manicomio. Credo che una delle componenti del manicomio fosse questa idea che le persone dovevano rimanere lì perché non avevano nessuna possibilità di guarigione. Questo muro c’è ancora e credo che, nella Giornata Mondiale della Salute Mentale, questo muro debba essere un muro che i professionisti vogliono contribuire ad abbattere. E siamo ancora piuttosto lontani dall’abbatterlo.