Essere madre

Jenni ha due piercing sotto il labbro inferiore e uno al naso. È truccata e porta lo smalto rosso scuro. Va a scuola e fa l’apprendista in un negozio di tatuaggi. È paffuta e graziosa, come tante sue coetanee di 17 anni. La si può vedere su YouTube, se si cerca Jenni’s journey, il viaggio di Jenni: sono i video messi in rete dai familiari per raccon­tare la storia della sua vita, breve e in­tensa. Jenni non c’è più, se n’è andata il 21 novembre dell’anno appena con­cluso, consumata da un cancro al cer­vello. Il suo ultimo desiderio è stato di avere accanto a sé, fino alla fine, suo fi­glio Chad Michael, su Facebook si pos­sono vedere insieme: due volti vicini, i piercing sono spariti, madre e figlio con gli occhi chiusi, lei, dolcissima e sma­grita, lo culla. Si sono fatti compagnia solo per 12 giorni, tanti ne aveva Chad quando Jenni si è spenta. Lui crescerà nell’Idaho con suo padre, che di anni ne ha venti. Chad sta bene. È sano, per­ché sua madre non si è voluta curare con la chemioterapia quando ha sco­perto di essere incinta, una settimana dopo che le era stato diagnosticato il tumore.

Un atto eroico, indubbiamente, non certo dovuto, ma neppure così raro: le mamme, si sa, diventano tigri quando si tratta di difendere i propri figli. Si sco­prono disposte a tutto. Come Jenni, che sapeva di avere un bambino in pancia. Per questo l’ha protetto, a scapito del­la sua stessa vita: perché quel bambi­no c’era già, era lì, non era un ‘proget­to di vita’ ma, semplicemente, suo fi­glio. Non si mette in gioco la propria vita per il ‘prodotto del concepimen­to’, un ‘embrione’ o un ‘feto’, ma per il proprio bambino sì.

Ed è per una analoga consapevolezza che a Roma c’è ora il Giardino degli An­geli, un angolo di verde dove invece al­tri bambini saranno sepolti: quelli mai nati, abortiti naturalmente o, purtrop­po molto più spesso, volontariamente. Sempre esseri umani, però, e per que­sto degni almeno di sepoltura, anziché gettati tra i rifiuti ospedalieri: un pie­toso gesto di civiltà, specie per quei tanti a cui la vita è stata violentemen­te strappata via, negata. Perché la dura verità, che dobbiamo a­vere il coraggio di riconoscere, tutti quanti, è che una volta che si diventa madri lo si rimane per sempre, accet­tato o rifiutato che sia quel figlio che si sa di avere in grembo. Una volta chia­mato alla vita, più o meno consape­volmente, il figlio c’è, esiste, vive, indi­pendentemente da tutto il resto, dalle circostanze felici o drammatiche che lo accompagnano. E una madre lo sa. Tornare indietro non è più possibile: non esiste il tasto rewind, non c’è mo­do di dissolvere quella vita umana, di farla tornare indietro nel nulla. Per ri­fiutarla si può solo usarle violenza, e sopprimerla.

Aspettare un bambino è un’esperien­za meravigliosa e indescrivibile, che purtroppo talora si può trasformare in un incubo, in un ostacolo apparente­mente insuperabile. E la più grande menzogna da dirsi a una donna in­cinta che si trova in difficoltà è che a­bortire può essere una via d’uscita. Qualunque siano i problemi di una gravidanza, compresi il panico per senso di inadeguatezza, la paura di non farcela a farsi carico di una per­sona che cresce dentro di te, dobbia­mo con onestà riconoscere e ricorda­re sempre a tutti che sopprimere il pro­prio figlio non potrà mai essere una soluzione: semmai, è un macigno ag­giunto ai pesi che già ci sono.

La scelta feconda di Jenni, pur nel dramma della sua morte, ha comun­que il sapore della speranza: c’è una nuova vita che continua, e che porterà il testimone della vitalità e dell’amore della giovane americana. Una testimo­nianza che, nel tempo, potrà aiutare a rendere meno necessari e meno do­lenti i Giardini degli Angeli.

Assuntina Morresi – avvenire.it