Ecumenismo. Perché è adesso che va rilanciato il dialogo tra confessioni diverse

C’è chi continua a seminare piccoli ma significativi gesti ecumenici
Perché è adesso che va rilanciato il dialogo tra confessioni diverse

Archivio Avvenire

Su un pianeta ferito e per alcuni agonizzante, l’umanità vive un momento particolare (fra i tanti già vissuti in passato e dai quali non ha imparato nulla) di lacerazione e di conflitto armato. Così si sta di fatto allontanando anche l’auspicata transizione ecologica, che tanto preoccupa la gioventù non solo in terra francese. E, poiché non è estranea alle umane vicende, la comunità dei credenti in Cristo partecipa della divisione e della lacerazione. Un contesto come questo potrebbe implicare un atteggiamento di rassegnazione e di sfiducia soprattutto nei confronti del dialogo fra confessioni diverse e della possibilità del messaggio pasquale, col dono della pace da parte del Risorto, di penetrare nei cuori e nelle menti delle donne e degli uomini del nostro tempo.

In contro-tendenza rispetto a chi troppo facilmente sceglie di gettare la spugna, si cerca di seminare piccoli, ma si spera significativi, gesti, tesi a significare e rappresentare il desiderio autenticamente cristiano di perseguire il dialogo, che si ritiene più che necessario soprattutto in momenti di tragica crisi come quello che stiamo vivendo. Fra questi piccoli semi si pone la tavola rotonda, organizzata nel contesto del percorso accademico di ‘teologia interconfessionale’, attivo presso la Pontificia Università Lateranense e che vede la feconda collaborazione di docenti/ teologi e studenti delle diverse confessioni cristiane, in una proposta formativa ispirata dalla formula dell’Evangelii Gaudium: ‘comunione nelle differenze’ (nn. 226-228) e facendo proprio l’appello di papa Francesco circa l’urgente «bisogno di uomini di fede che educhino al vero dialogo, utilizzando ogni possibilità e occasione! » (alla Lateranense, 31 ottobre 2019). L’incontro, che si è svolto in forma di webinar nel pomeriggio di venerdì 29 aprile, era stato programmato un mese prima dal comitato scientifico della teologia interconfessionale, la cui riunione era stata preceduta da un toccante momento di preghiera con l’ascolto di testi sulla pace di tradizione ucraina e russa, proposti rispettivamente da un docente ortodosso e uno studente greco-cattolico.

Nei conflitti si possono avere la forza di un «Dio senza l’uomo» o di un «uomo senza Dio». Ma la terza forza è quella dell’«umanità di Dio», la forza della pace e del Risorto


Il rev. prof. Hubertus Blaumeiser, che ha coordinato il dibattito, insieme al padre gesuita Germano Marani, con cui condivide la responsabilità del modulo missionario presente nel percorso interconfes- sionale, ha proposto come tema «Il primato dell’evangelizzazione e il futuro del Cristianesimo», assumendo come pre-testo, in senso etimologico, la costituzione apostolica Praedicate Evangelium. E proprio a tale pretesto ha dedicato buona parte della sua riflessione il pastore teologo Jens-Martin Kruse, parroco della principale chiesa luterana di Amburgo, che ha esordito rilevando la notevole valenza teologica di questa costituzione, tale da caratterizzarla rispetto a documenti analoghi, che hanno un taglio prevalentemente giuridico e istituzionale-pratico. In tutta la relazione del collega tedesco mi è sembrato di riascoltare l’eco della denominazione di Lutero della Chiesa come creatura Verbi. Come teologi, non possiamo non salutare con profondo interesse l’inversione/svolta che dovrà ispirare la ‘nuova’ struttura della curia romana, laddove l’evangelizzazione assume il primato anche sulla dottrina. E tale novità è stata notata e sottolineata anche dai colleghi di altre confessioni.


Francesco ha parlato del bisogno di avere uomini di fede che educhino al vero dialogo, utilizzando ogni possibilità e occasione


A livello pastorale questa ‘svolta’ assume nelle istituzioni centrali della chiesa cattolica la distanza ormai acclarata dai tempi in cui per dire che si andava a catechismo, si diceva ‘andare a dottrina’, sicché, quanti di noi ormai in età avanzata ricordano quella stagione, dovevano non essere evangelizzati e catechizzati, ma opportunamente, si fa per dire, indottrinati. Bisogna anche riconoscere che, a dispetto delle intenzioni di indottrinamento, il Vangelo si è fatto comunque strada nei nostri cuori e nelle nostre menti, mostrando tutta la sua dinamica vitalità. A livello propriamente teologico, la svolta sta a significare che dovrebbero altresì essere ormai ben lontani i tempi in cui, nelle istituzioni accademiche cattoliche, il sapere della fede inseguiva le posizioni dottrinali, limitandosi spesso al commento dei documenti ufficiali, senza alcuna originalità e attenzione al tempo (auditus temporis) e alle donne e agli uomini che lo abitano, con le loro angosce e speranze. Pertanto, in tale prospettiva, sebbene in alcuni settori della teologia cattolica tale atteggiamento sia duro a morire, magari mascherandosi, sembra ormai appartenere al passato la cosiddetta Denzingertheologie (= teologia del Denzinger ossia dettata dalla raccolta dei documenti del Magistero), che ha ispirato gli studi e la formazione intellettuale dei giovani.

In totale sintonia con questa scelta di fondo, sembra al sottoscritto di dover proporre e perseguire un ‘modello kerygmatico-kairologico’ di teologia del presente in vista del futuro, laddove il primo aggettivo fa propria l’istanza dell’evangelizzazione ossia della fedeltà a quella che il concilio di Trento chiamava l’ipsa puritas Evangelii, che dovrà diventare, secondo il dettato della Dei Verbum, viva vox Evangelii, nella misura in cui saprà innestare il messaggio nel kairós del tempo in cui viviamo e che siamo chiamati ad abitare. Inoltre, piuttosto che di una ‘svolta’ e di una ‘rivoluzione’, il primato dell’evangelizzazione richiede e si determina a partire da un’autentica ‘conversione’ delle menti e dei cuori, in modo che la ‘riforma’ non proponga un puro e superficiale diverso maquillage nominalistico delle strutture, limitandosi a modificare le etichette degli uffici. Infine, se tale sarà la struttura centrale della curia romana, tale conversione strutturale non potrà non interpellare le chiese diocesane, le comunità parrocchiali, le famiglie religiose, i movimenti, le associazioni, insomma tutte le realtà di base in cui vivono e agiscono i credenti in Cristo.

Il rev. Alexey Maksimov, presbitero della chiesa ortodossa russa, che si è formato presso la Orthodox St. Tikhon University (PSTGU, Mosca) e sta proseguendo gli studi presso l’Università Gregoriana, svolge il suo ministero nella parrocchia della sua chiesa di appartenenza intitolata a S. Caterina di Alessandria nei pressi del Vaticano. Qui un piccolo seme di speranza si rileva dal fatto che la divina liturgia in quella chiesa è frequentata per quasi il 60% da fedeli ortodossi ucraini presenti in città e – ci ha detto il confratello – non si rileva alcun atteggiamento russofobico, né alcuna belligeranza, in quanto la comune fede supera, forse anche grazie alla distanza dalla terra patria, l’appartenenza nazionalistica. La distanza aiuta e consente gesti di speranza come la consacrazione a Maria dei due popoli ora in guerra e la compresenza delle due donne ucraina e russa alla Via crucis. Anche p. Alexey ha sottolineato la necessità di una ‘conversione missionaria’ richiesta dal primato dell’evangelizzazione, sottolineando come nella nostra società vi è diffidenza verso le semplici parole e d’altra parte come le opere di solidarietà siano ormai patrimonio comune dell’umanesimo globale. Pertanto, non resta che la santificazione, come via per l’evangelizzazione, pensata e declinata anche come ‘illuminazione’, secondo la felice formula adottata nel titolo della lettera apostolica in forma di motu proprio di papa Francesco Vos estis lux mundi (2019) sulla tragica tematica degli abusi nella chiesa e questo perché, citando Alessio II di venerata memoria, il pope ha ricordato che il Vangelo non si racconta, ma si mostra con la vita.

Quanto al futuro del Cristianesimo come ‘comunione nelle differenze’, il teologo russo ha ricordato, in sintonia col pastore Kruse e col sottoscritto, il testo profetico di Vladimir Sergeevic Solov’ëv, Il racconto dell’Anticristo (il canto del cigno di questo profondo e geniale pensatore russo), dove l’unità delle chiese si fa intorno alla professione di fede, nel deserto, in minoranza e in contrapposizione con lo smisurato potere dell’imperatore universale, che tende a soggiogare la terra e i cristiani. A proposito di questo autore evocato molto opportunamente, mi sono permesso di citare il testo di una sua entusiasmante conferenza pronunziata nel 1877 alla ‘Società degli Amatori della Letteratura Russa’ e di recente (2020) pubblicato in italiano nelle edizioni Filo d’oro, dal titolo Le tre forze. Il significato della guerra, dove i conflitti cruenti vedono di volta in volta schierata da un lato la forza di un Dio senza l’uomo e dall’altro di un uomo senza Dio. La terza forza, quella del Dio-uomo o, per dirla con Karl Barth, della ‘umanità di Dio’, è la forza della pace e del suo principe: il Risorto, che intende donarla all’umanità anche oggi.