Due importanti novità nella lotta alle fake news

Sul fatto che esista un grave problema di disinformazione, nel digitale e non solo lì, dovremmo essere tutti d’accordo. In questi anni abbiamo anche imparato che uno dei metodi più efficaci per combattere le fake news sia quello di affidarsi al cosiddetto debunking, cioè – come spiega il vocabolario Treccani – all’«opera di demistificazione e confutazione di notizie o affermazioni false o antiscientifiche». Se Elon Musk ha deciso che Twitter non contrasterà più la disinformazione, per fortuna Google e YouTube hanno annunciato di avere investito 13,2 milioni di dollari per sostenere l’International Fact-Checking Network (Ifcn). L’obiettivo è dare vita nel 2023 al Global Fact Check Fund, a cui attingeranno 135 organizzazioni che combattono la disinformazione in 65 Paesi. Per noi utenti, il Global Fact Check Fund sovvenzionato da Google nel 2023 porterà ad alcune novità. La più importante è che quando faremo una ricerca su Google «verranno evidenziati gli articoli di verifica inerenti alla ricerca dell’utente. Il tutto grazie allo strumento Fact Checker Explorer, che attinge da un database di 150mila fonti attendibili a livello globale». Lo stesso varrà per le ricerche su YouTube. La verifica dei fatti e la demistificazione sono armi importanti. E tutti coloro che lavorano in questa direzione sono da elogiare. Eppure, secondo un gruppo di ricercatori delle università di Cambridge e Bristol, «il debunking (cioè, la verifica dei fatti – ndr) presenta diversi problemi. Questi lavori di demistificazione infatti spesso non riescono a raggiungere le persone che hanno maggiori probabilità di credere alla disinformazione». Per non parlare del fatto che, anche quando le raggiungono, «molte persone li rifiutano, continuando a credere a non verità che però confermano i loro preconcetti». Colpa dei cosiddetti bias cognitivi e dell’effetto Dunning-Kruger (che è una distorsione cognitiva «nella quale individui poco esperti e poco competenti in un campo tendono a sovrastimare la propria preparazione giudicandola, a torto, superiore alla media»). E qui arriva uno studio inglese, firmato dallo stesso gruppo di ricercatori delle università di Cambridge e Bristol, il quale sostiene che si possano “vaccinare” le persone contro la disinformazione prima ancora che la incontrino. E che questo metodo dia ottimi risultati. Lo chiamano pre-bunking
(che potremmo tradurre con “preverifica dei fatti”). Ok, ma come funziona? Spiegano i ricercatori: «Nel nostro esperimento abbiamo inserito negli slot pubblicitari di YouTube, in collaborazione con la piattaforma, dei brevi video di novanta secondi per informare il pubblico sulle più comuni tecniche di manipolazione utilizzate per far passare notizie false o fuorvianti». I risultati, dicono, sono incoraggianti: «Dopo aver guardato questi video informativi, i 5 milioni di partecipanti all’esperimento hanno migliorato del 5% la loro capacità di identificare informazioni false». L’effetto positivo del pre-bunking «è stato registrato su persone con orientamenti politici e livelli di istruzione diversi».
Insomma, i ricercatori inglesi potrebbero davvero avere trovato un “vaccino” contro la disinformazione. La cosa importante è che questo passo avanti nel digitale nasce da qualcosa di molto antico. E cioè dalla capacità di prendersi cura delle persone, informandole
nella maniera più corretta su chi cerca di manipolarle. Tutto questo ci ricorda che, anche nel digitale, servono buoni educatori.

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