L’omelia, come è noto, è uno degli argomenti preferiti di polemica ecclesiale: perchè lunga, verbosa, retorica, scontata, superficiale, astratta, copiata, etc… sono tanti i motivi, spesso validi, perché il momento dell’omelia risulti più subito che vissuto: si ascolta con sforzo (se va bene) ricavando qualche spunto per la propria vita… e se va male si sentono parole che vagano in aria, augurandosi che il predicatore faccia in fretta, oppure pensando ad altro. E gli stessi predicatori sono consapevoli di questo, perché chiunque parla in pubblico si rende conto se l’uditorio ascolta veramente oppure naviga in altri mari di pensiero (e noia).
Di omelia si parla da tempo: Francesco ha dedicato al tema un nucleo di Evangelii gaudium (dal paragrafo 135), dando più volte raccomandazioni su tempi, modi, temi… ma sovente tutte queste esortazioni sono cadute nel vuoto.
Si spera — per chi ancora rimane fedele alle celebrazioni domenicali — di incappare nel sacerdote ‘giusto’ che faccia durare la messa il tempo necessario, superando indenni il momento dell’omelia. Poi, può accadere che, invece, si ascolti una predica veramente ispirata alla Parola di Dio e ‘spendibile’ nella relazione con Dio e l’umanità di oggi: ma è merce rara, merce ricercata: una sorta di panda ecclesiale, da proteggere e custodire.
Forse, è giunto il momento di donarsi un tempo di ‘sospensione’ delle omelie domenicali: qualche settimana, qualche mese — approfittando magari del tempo ordinario che comincia la prossima settimana — per dare una pausa all’assemblea e anche ai predicatori, i quali ogni domenica devono trovare qualcosa da dire di significativo sulla Parola e la vita, predicatori che qualche volta ricorrono alla scorciatoia di scaricare da Internet parole altrui (non ricordandosi che basta mettere una breve stringa in rete per capire la fonte del loro dire e pure del loro scrivere — ricordo un prete che leggeva bellamente in chiesa omelie di altri o un altro che sul bollettino parrocchiale faceva passare per suoi articoli di altri, confidando che nessuno se ne accorgesse).
Un tempo di sospensione, che sostituisca all’omelia qualche istante di silenzio, magari guidato da un paio di domande; e che risvegli così nel popolo di Dio il desiderio di ascoltare qualche voce buona sulla Parola, e nel clero susciti una riflessione seria sulla qualità del proprio predicare.
Un tempo di silenzio e preghiera, che faccia così tornare le celebrazioni nei canoni dell’equilibrio e della ragionevolezza, anche cronologica.
Un tempo senza omelia, che sia di purificazione del dire e dell’ascoltare, in una società iperverbosa, in una chiesa che fatica a trovare le parole per l’oggi.
Un tempo di sosta e di ridiscussione, che così possa ribadire che il centro della Messa è costituito dalla Parola e dall’Eucarestia, e non da altro (tantomeno dal narcisismo retorico del predicatore).
Un tempo senza predica, che nutra e che apra, magari con qualche semplice ausilio, al ritorno meditato e quotidiano sulla Parola domenicale.
Un tempo di tregua, anche, per rifortificare la pazienza nel popolo di Dio, non raramente messo a dura prova dai predicatori.
Un tempo di pausa, per aiutare i predicatori a rigenerare un compito prezioso del loro ministero.
Se vogliamo essere formali, il codice di diritto canonico dice che si può sospendere l’omelia domenicale per «grave causa» (canone 767). La consunzione dell’ascolto della Parola di Dio nei fedeli potrebbe forse essere una «grave causa», in questo scorcio di secolo.
E chissà che qualcuno non torni a Messa…
vinonuovo.it