Dopo il Sinodo/3. Precarietà, ingiustizie, squilibri: la Chiesa si fa voce dei giovani

da avvenire

Precarietà, ingiustizie, squilibri: la Chiesa si fa voce dei giovani

Il Sinodo dei vescovi, nella sua preparazione remota e nei giorni dell’assemblea dell’ottobre 2018, ha tentato di ascoltare i desideri, le paure, le speranze, le difficoltà dei giovani, idealmente di tutti i giovani. Il tema delle scelte ha molto a che fare con le difficoltà che i contesti attuali presentano, nelle diverse parti del mondo. Al numero 91 del documento finale si legge, infatti: «Il tema delle scelte si pone con particolare forza e a diversi livelli, soprattutto di fronte a itinerari di vita sempre meno lineari, caratterizzati da grande precarietà».

Anche in Italia incertezza e noncuranza, accompagnate da miopia nelle decisioni politiche e istituzionali, sono ciò che la società offre ai giovani. Non è raro che qualcuno di loro, durante incontri personali, sfoghi la sua rabbia e impotenza verso un contesto economico e sociale che rema contro. Milena, 25 anni, durante un ritiro confida con le lacrime agli occhi di volersi sposare e avere un figlio, ma che al solo pensiero si sente come se si stesse per lanciare nel vuoto: lei insegnante e precaria, il fidanzato con un’attività in proprio, che ha alti e bassi. La sua paura è per il bambino che potrebbe venire al mondo: con quale coraggio avventurarsi in questa responsabilità? Solo la concretezza della fiducia in Dio e dell’amore col fidanzato appaiono essere di sostegno. È vero: esistono nel mondo contesti di guerra e di povertà in cui paradossalmente metter su casa, dare alla luce dei figli, conservare la fede sembra spaventare molto di meno e costituire una sorta di resistenza ‘naturale’ nella propria umanità. Il Sinodo, come esperienza di Chiesa universale, ha certamente reso ascoltabile la testimonianza di giovani che scelgono l’amore e la vita anche dove tutto li minaccia. E tuttavia non ci si può nascondere che nei contesti economicamente più sviluppati i tempi e le esigenze di una collettività schiacciata su un capitalismo impazzito sembrano rubare a una generazione i propri sogni o, meglio, la possibilità sensata di realizzarli. Una società complessa e progredita rende quasi privilegi impossibili le esigenze più semplici, pagando con il suo stesso invecchiamento e la diffusione di rassegnazione e conflitti. Quello che Milena e tanti altri giovani lamentano è dover lottare per trovare un posticino in una società ripiegata su se stessa, che sembra poter fare a meno di loro e non comprende che invece proprio grazie all’aiuto, alla creatività, e all’entusiasmo dei giovani potrebbe avere uno slancio e rialzare così la testa.
Purtroppo la ribellione dei giovani sta cedendo il posto all’indifferenza verso chi sembra non lasciare loro alcuno spazio. I padri sinodali, ma anche i giovani partecipanti all’assemblea, con grande trasporto hanno impegnato la Chiesa al coraggio della denuncia: «La Chiesa si impegna nel- la promozione di una vita sociale, economica e politica nel segno della giustizia, della solidarietà e della pace, come anche i giovani chiedono con forza. Questo richiede il coraggio di farsi voce di chi non ha voce presso i leader mondiali, denunciando corruzione, guerre, commercio di armi, narcotraffico e sfruttamento delle risorse naturali e invitando alla conversione coloro che ne sono responsabili» (n.151). Chi può difendere i giovani in Italia oggi se non comincia almeno la Chiesa a farlo? Saranno loro a pagare le spese di un’economia che non è alleata della terra e dell’ambiente. Sono le prime vittime di un sistema economico legale ma ingiusto che vede allargarsi la forbice delle disuguaglianze. In Italia oggi l’incidenza della povertà assoluta è più alta tra i giovani fino a 34 anni che tra gli anziani: è la prima volta dalla fine della seconda guerra mondiale e, per l’ultimo rapporto Caritas, un povero su due è giovane. Certo, loro hanno imparato anche a difendersi da soli e stanno mostrando, rispetto a noi adulti, maggior coraggio nel denunciare. È il caso, per esempio, di Greta Thunmberg, quindicenne svedese che ha apostrofato come bambini immaturi i partecipanti alla Cop24, la conferenza delle Nazioni Unite sul clima svoltasi in Polonia nel dicembre 2018: Greta, con semplicità e grande chiarezza di visione, ha redarguito i grandi del mondo spiegandogli che i combustibili fossili vanno lasciati sotto terra: «Dite di amare i vostri figli sopra ogni cosa, e state rubando loro il futuro!».
Ma, ha aggiunto, «non sono venuta qui per invitarvi a prendervi cura del nostro futuro. Non lo avete fatto e non lo farete». Voleva solo ricordare a tutti che i cambiamenti climatici sono una realtà. Greta ha le idee molto chiare. E ugualmente lineari, semplici, piene di futuro, erano le idee dei ragazzi che hanno partecipato, a fine ottobre, alla conferenza «Prophetic Economy» organizzata in Italia da una serie di associazioni e movimenti. I giovanissimi erano sul palco insieme a climatologi e grandi economisti, come Jeffrey Sachs: non erano solo ascoltatori, ma partecipanti attivi, pieni di idee e di visione.
Tanto che Carlo Petrini, inventore di Slow food, nell’ultima giornata ha citato un vecchio proverbio – «Se i giovani sapessero e se gli anziani potessero!» – proponendo di rovesciarlo: «Se i giovani potessero e se gli anziani sapessero!». Come a dire: c’è una così chiara visione, nei giovani, di come possiamo salvare il Pianeta che se loro avessero i mezzi per farlo e se i grandi comprendessero, dando loro spazio, forse davvero potremmo invertire la rotta. Il Sinodo 2018 pare averlo compreso, quando nel documento finale afferma: «I giovani spronano la Chiesa a essere profetica in questo campo, con le parole ma soprattutto attraverso scelte che mostrino che un’economia amica della persona e dell’ambiente è possibile» (n.154). Per dare risposta al Sinodo le comunità cristiane potrebbero – o meglio, possono – iniziare da una verifica sui propri consumi, per evitare che acquistare a basso costo significhi sfruttamento del lavoro e della terra; ma anche sulle rendicontazioni e sulla trasparenza: quello che amministriamo non è nostro ma dei poveri, e va gestito con diligenza; così come sui propri investimenti: possiamo forse dormire sonni tranquilli se i nostri soldi sono investiti per finanziare chi produce e commercializza illegalmente armi o mine anti-uomo, o chi fa business nel settore dell’azzardo, o imprese e Stati che non rispettano l’ambiente? Avrebbe un’energia senza precedenti il messaggio evangelico se tutti iniziassimo a fare investimenti sostenibili e responsabili. Investimenti puliti. Alcune diocesi si sono inoltrate in questo cammino con coraggio, ma la strada è ancora lunga. «I sistemi si cambiano anche mostrando che è possibile un modo diverso di vivere la dimensione economica e finanziaria »: così si esprime il documento finale (n.154).
Quando in passato la Chiesa con i suoi carismi ha vissuto in modo profetico la dimensione economica tutta l’umanità ha fatto passi in avanti: l’umano è diventato più umano. Ne sono di esempio le prime forme di rendicontazione contabile, nate nelle abbazie benedettine dall’esigenza di dar conto a Dio della sua provvidenza; i monti di pietà francescani che inventarono la finanza come strumento di aiuto ai poveri; il primo contratto di lavoro per i giovani messo a punto da Don Bosco; l’economia di comunione immaginata da Chiara Lubich, e tanti altri. Molti giovani – cattolici e non – hanno una sensibilità su questi temi e li riconoscono fondamentali. Essi, giustamente, non ci ritengono credibili se in un convegno parliamo di povertà mentre le nostre strutture e abitudini dimostrano poca attenzione al rispetto dell’ambiente. Perché la rottura del rapporto col creato genera nuove povertà: «Tutto è connesso», ci insegna papa Francesco nella Laudato si’. Non è possibile accompagnare seriamente i giovani se non ci lasciamo scomodare da queste urgenze, di cui è intriso il loro futuro.