Don Picchi, il prete della solidarietà

Don Mario Picchi, pioniere della Chiesa anti-droga, è stato un prete generoso fino all’ultimo. Il fondatore del Centro italiano di solidarietà è morto a Roma l’ultimo sabato di maggio all’ospedale Fatebenefratelli all’isola Tiberina. Il sacerdote (per decenni protagonista del "non profit" cattolico e animatore di una rete mondiale di comunità di recupero per tossicodipendenti) era ricoverato da alcuni giorni nell’ospedale romano dove è stata allestita la camera ardente..

Don Picchi era nato a Pavia nel 1930. Sacerdote dal 1957, dopo un decennio in Piemonte, venne chiamato a Roma, con l’incarico di cappellano del lavoro presso la Pontificia opera di assistenza.

Don Mario Picchi, don Oreste Benzi, don Vinicio Albanesi, Leopoldo Grosso, don Enzo Pichelli, don Gino Rigoldi e don Antonio Mazzi.
Don Mario Picchi, don Oreste Benzi, don Vinicio Albanesi, Leopoldo Grosso,
don Enzo Pichelli, don Gino Rigoldi e don Antonio Mazzi (foto Giuliani).

Negli anni Settanta diede vita all’esperienza del Ceis che in poco tempo trasformerà in una multinazionale del volontariato. Ha scritto numerosi libri, tradotti in decine di lingue. Il suo Progetto uomo è stato pubblicato in varie edizioni. Aveva ricevuto molti riconoscimenti, anche a livello internazionale, tra cui il premio della Federazione mondiale delle comunità terapeutiche (1992), quello della Provincia di Roma per la Solidarietà (2003), la decorazione "Simon Bolivar" della Repubblica Boliviana (2004) e il titolo di Grande ufficiale al merito della Repubblica Italiana.

Per il presidente della Provincia di Roma, Nicola Zingaretti, «scompare un uomo che ha dedicato tutta la sua vita agli altri, soprattutto a quelli in condizioni di gravi difficoltà per colpa della droga». La sua filosofia di lotta alle tossicodipendenze, il cosiddetto "Progetto uomo", è servito da esempio per molti piani di recupero anche all’estero. Un anno fa il Ceis ha festeggiato il 40° anniversario di attività inaugurando sulla via Appia nuove strutture come la comunità terapeutica psichiatrica "La Casa" e il "Villaggio della solidarietà". Lì sono accolte persone che, uscendo dalle cliniche, vengono a trovarsi sole e abbandonate da tutti.

Ridare a ogni uomo la dignità

L’obiettivo di don Picchi era sempre lo stesso: restituire la dignità perduta, un aiuto concreto, una presenza che «non faccia mai sentire solo qualcuno». Estraneo a ogni protagonismo mediatico e molto stimato in Vaticano e in Cei (soprattutto dai cardinali Ruini, Silvestrini e Martini), di sé diceva: «Ho sempre amato le grandi sfide nella convinzione che, con l’aiuto di Dio e degli amici, si possono affrontare avventure impegnative. Ogni volta che nasce una nuova struttura la preoccupazione c’è, ma la voglia di andare avanti è più forte della paura». La sua passione era lo sport. «Le nostre strutture», raccontava con orgoglio don Picchi, «hanno tutte impianti e attrezzature sportive perché lo sport è fondamentale per la crescita e l’educazione». Un antidoto, insomma, alla fuga nei paradisi artificiali. «Lo sport abitua alle sconfitte e alle vittorie, proprio come capita nella vita», spiegava. «Lo sport insegna che occorre fatica, sacrificio, per raggiungere un traguardo. Allena a lavorare in gruppo, a cooperare per il bene comune. Aiuta al rispetto dell’altro, compagno o avversario che sia». Lo sport, quindi, come "scuola di vita" da affiancare sempre e ovunque ai programmi educativi e terapeutici.

Don Mario Picchi con papa Wojtyla nel 1979.
Don Mario Picchi con papa Wojtyla nel 1979 (foto Mari)

Anche don Luigi Ciotti ha ricordato con commozione don Picchi. «È stato un prete generoso, che ha speso la sua vita per dare dignità e speranza alle persone. E che lascia tanti affetti e cose concrete», rievoca il presidente del Gruppo Abele e Libera. «Ci lascia l’impegno educativo e l’attenzione ai giovani», sottolinea don Ciotti, «la capacità di andare oltre la superficie del disagio, di coglierne le cause sociali, il contributo per cambiare le leggi, per costruire contesti di maggiore giustizia e accoglienza. E quel "Progetto uomo" che condensa lo spirito di un’opera tutta al servizio delle persone». «Mi legava a don Mario», dice don Ciotti, «l’essere partiti in quegli anni dalla strada, ma anche la fedeltà a una Chiesa davvero al servizio dei poveri, dei fragili, degli esclusi». «L’ultima immagine che conservo di lui», conclude, «è quella di una persona che affronta con grande dignità la malattia: con quella bombola di ossigeno che si portava sempre appresso, ma che non gli ha impedito, anche negli ultimi tratti della vita, di continuare a dare ossigeno, e speranza, ai progetti e alle persone incontrate nel suo cammino».

Un campione della solidarietà

Per vincere la droga non bisogna lottare contro la sostanza ma sconfiggere il disagio che spinge a farne uso. La forza di don Mario Picchi era quella di combattere contro l’umana debolezza. Lo ha fatto per tutta la vita e il 30 maggio, il giorno dopo la sua morte, in tanti hanno voluto dire l’ultimo "grazie" al campione della solidarietà, in prima fila per anni nella lotta alla droga. Alla camera ardente allestita all’ospedale Fatebenefratelli di Roma, è stato per tutto il giorno un via vai di persone, alcune non più giovani, ma che una volta erano ragazzi magari non molto felici, che si sono rivolti alle strutture del Centro italiano di solidarietà, da lui fondato, e sono riusciti a vincere la tossicodipendenza.

Negli occhi di questi ex ragazzi Enrica, nipote di don Picchi, oggi vede «la tenerezza di chi ha avuto molto da mio zio e che lo ha ricambiato con un affetto dimostrato negli anni». La donna, in lacrime per la morte dello zio malato da tempo, ha trovato conforto «nel vedere i volti di chi è rinato grazie a mio zio». C’è una donna, ora adulta, che ricorda il suo fidanzato e la sua storia: «Io gli volevo bene ma lui aveva vissuto per tanto tempo nell’illegalità. Si drogava ma poi ha deciso di frequentare gli incontri per un anno. Durante quel periodo ha scoperto di avere l’Aids». L’uomo ha smesso di andare agli incontri e l’operatrice che lo aveva seguito per tanto tempo ha così scoperto che era morto a causa della malattia. «Prima però», ha continuato la donna, «ha voluto sposarmi per regolarizzare la mia posizione e quella di nostra figlia. Un ultimo esempio di come aveva voluto cambiare la sua vita».

Don Mario Picchi con i collaboratori alla festa per i 25 anni della Comunità San Carlo, Castelgandolfo 28.6.2003.
Don Mario Picchi con i collaboratori alla festa per i 25 anni della Comunità San Carlo,
Castelgandolfo 28.6.2003 (foto A. Giuliani).

Anche il mondo politico ha voluto rendere omaggio, in modo bipartisan, a don Picchi, i cui funerali si sono svolti nella basilica di San Giovanni. Il sindaco di Roma Gianni Alemanno, il presidente della regione Lazio Renata Polverini e il presidente della provincia di Roma si sono recati alla camera ardente. Alemanno ha annunciato «di aver completato l’esproprio dell’area di via Appia Nuova che sarà conferita al Centro Ceis», un’area con una struttura e diversi ettari di terreno dove verranno realizzati progetti cari a don Picchi. Un’opera concreta, come piaceva al sacerdote, al quale comunque il Campidoglio intende dedicare una via di Roma. Polverini ha assicurato tutto il sostegno a chi continuerà il suo impegno per battere la tossicodipendenza.

Anche per Zingaretti «il modo migliore per ricordarlo è prendersi l’impegno perché il suo insegnamento rimanga sempre vivo». La «grande anima» di don Picchi «continuerà a vivere nella sua altruistica opera», ha detto il senatore Carlo Giovanardi, mentre la vicepresidente del Senato Rosy Bindi, in un messaggio, lo ha ricordato «sempre al fianco dei ragazzi e delle loro famiglie: un vero educatore». Per Walter Veltroni, che da sindaco di Roma collaborò con don Picchi, «la sua scomparsa lascia un grande vuoto, ma il suo rigore e la sua testimonianza di vita sono un patrimonio che rimarranno».

di Giacomo Galeazzi – vita pastorale luglio 2010