Disastro ucraino: rifiutare l’arte della guerra

Di seguito l’articolo postato oggi dal magistrato Domenico Gallo sul suo sito.

«Forgeranno le loro spade in vomeri,/ le loro lance in falci;/ un popolo non alzerà più la spada/ contro un altro popolo/ non si eserciteranno più nell’arte della guerra». (Is. 2,1-5)

Dobbiamo aggrapparci alla profezia di Isaia per non abbandonare la speranza nell’avvento di quel tempo messianico in cui i popoli non si eserciteranno più nell’arte della guerra. Però non possiamo attendere fino alla fine dei giorni, abbiamo bisogno della pace subito.

Ormai siamo arrivati al ventitreesimo giorno di guerra e le indiscrezioni su un possibile accordo sono contraddette da dichiarazioni bellicose e dal fragore sordo delle bombe. Il Financial Times ha pubblicato la bozza di un accordo in 15 punti, che prevede sostanzialmente una condizione di neutralità dell’Ucraina, stile Austria o Svezia, garantita internazionalmente, ed il divieto di ospitare basi militari straniere. La Russia ritirerebbe la sue forze militari restituendo i territori occupati all’Ucraina, che dovrebbe rinunciare ad ogni pretesa sulla Crimea e riconoscere l’indipendenza delle due repubbliche del Donbass.

Le condizioni ventilate fanno emergere i veri nodi politici che ci sono dietro questa guerra e confermano che non è solo una questione russo-ucraina, ma alla base vi è un conflitto fra potenze imperiali. Resta così smentita la favoletta narrata sui principali giornali italiani, di una guerra scatenata dalla Russia a cagione della scelta dell’Ucraina di un modello di società aperta di tipo occidentale.

Una favola argomentata anche da intellettuali autorevoli come Antonio Scurati che, sul Corriere della Sera del 12 marzo, scriveva «a scatenare la furia devastatrice di Putin è stata la volontà degli ucraini, non di entrare nella Nato, ma di scegliere, per sé e per i propri figli, il modello di società aperta e di democrazia europea, preferendolo all’autocrazia neo-zarista e allo stato di minorità civile della Russia attuale».

Invece il modello di società non c’entra per niente, c’entra una concezione strategica nella quale l’Ucraina era l’ultima pedina per accerchiare militarmente la Russia. Il nostro ex ministro degli esteri (1996-2001) Lamberto Dini in un’intervista a Milano Finanza, ha testimoniato che: «avere delle basi NATO lungo i 1.500 km del confine ucraino per la Russia è sempre stato inaccettabile. Da qui nascono le richieste di Putin, che invece sono state ritenute irricevibili dagli USA. Gli Stati Uniti non hanno mai dato spiegazioni sul perché considerassero inaccettabile un’Ucraina neutrale. Si sono limitati a dire che la questione non era all’ordine del giorno, ma per anni hanno continuato ad armare l’Ucraina. Ora si è scatenato un conflitto assurdo, ma mi domando se Stati Uniti ed Europa non ne siano collettivamente responsabili insieme alla Russia». Se alla fine si arriverà alla pace attraverso la neutralità dell’Ucraina, allora dovremmo constatare con mano il fallimento delle classi dirigenti dei principali Paesi europei che incoscientemente hanno seguito il pifferaio magico americano anche a costo di provocare il ritorno della guerra in Europa. Bisognerebbe chiedere al nostro astuto ministro degli Esteri, che ancora l’8 febbraio dichiarava essere «un principio irrinunciabile» la libertà dell’Ucraina di aderire alla NATO, se c’era bisogno di avere migliaia di morti, distruzioni incommensurabili e milioni di profughi per rendersi conto che a questo presunto “principio” si poteva rinunciare anche prima, per scongiurare la catastrofe.

E tuttavia non è detto che quest’accordo vada in porto. Ci sono forze potenti che potrebbero farlo saltare. Nello stesso giorno in cui filtravano le indiscrezioni sulla bozza di accordo, si sono intensificati i bombardamenti delle forze armate russe che hanno centrato a Mariupol un teatro trasformato in rifugio per la popolazione civile, mentre Biden, ha annunciato nuovi aiuti militari all’Ucraina per 800 milioni di dollari. È sempre vivo il pericolo che vi possano essere delle provocazioni che comportino un’estensione ed un’ulteriore escalation del conflitto, facendo fallire il negoziato. È possibile che all’interno del governo ucraino vi siano due partiti, uno che punta al cessate il fuoco attraverso un accordo realistico e un partito di intransigenti che lo rifiuta e punta ad una strenua resistenza contando sugli aiuti occidentali. Se gli Ucraini si rendessero conto di essere una pedina di un gioco più grande di loro, forse sarebbe più facile giungere ad un accordo di pace. A questo punto dobbiamo chiederci quale sia in Italia il partito prevalente. Indubbiamente quello della guerra, la quale secondo il Governo ed il Parlamento italiano dovrebbe proseguire con altri mezzi, anche quando lo scontro armato sarà cessato. Solo così si può spiegare l’ordine del giorno approvato dal Parlamento a larghissima maggioranza con il quale si chiede di incrementare le spese militari italiane portandole fino al 2% del PIL. Quest’anno la spesa militare è cresciuta di oltre 8 miliardi, attestandosi a circa 26 miliardi; nella prossima finanziaria, secondo l’ordine del giorno si dovrebbe accrescere di altri 10 miliardi ogni anno.

È questa la lezione che sappiamo trarre dal disastro della guerra in Ucraina? Dobbiamo rilanciare la corsa agli armamenti per acquistare una potenza soverchiante sull’avversario o dobbiamo lavorare per abbassare la tensione ed immaginare un futuro in cui le spade, se non trasformate in aratri, saranno – almeno – rimesse nel fodero?