Disabili. “Dopo di noi”, quasi all’anno zero

da Avvenire

Secondo monitoraggio al Parlamento sull’attuazione della legge del 2016. Sono solo 6mila i beneficiari, concentrati in 12 Regioni e appena 380 gli alloggi nati per garantire una vita indipendente
"Dopo di noi", quasi all'anno zero

Siciliani

Siamo al paradosso dei soldi non spesi. Il che significa, perciò, che a rimetterci sono ancora i ragazzi disabili e le loro famiglie. Sul ‘Dopo di noi’, infatti, c’è una legge da più di tre anni (la n. 112/2016) che non solo stanzia dei fondi specifici – 90 milioni per il 2016, 38,3 milioni nel 2017, 51,1 milioni per il 2018 e 56,1 milioni per il 2019 – per interventi mirati all’autonomia e alla vita indipendente delle persone con disabilità grave prive del sostegno familiare. Ma la norma prevede anche degli strumenti fiscali – come il trust – che i genitori possono utilizzare per garantire una tranquillità economica e di vita ai figli disabili, una volta che loro non ci saranno più. Eppure a due anni dall’emanazione della legge – i dati disponibili infatti si fermano al 31 dicembre 2018 – sono appena 6mila i beneficiari, concentrati soprattutto in 12 regioni (Piemonte, Liguria, Lombardia, Veneto, Friuli-Venezia Giulia, Emilia Romagna, Toscana, Marche, Abruzzo, Molise, Campania e Calabria). Tante infatti sono gli enti territoriali che, ricevute le risorse, le hanno ad oggi finalizzate e tradotte in azioni.

La seconda relazione sull’attuazione della legge 112/2016 recentemente trasmessa alle Camere – è arrivata con mesi di ritardo al Parlamento ed è relativa appunto ai primi due anni – fotografa così un quadro abbastanza sconfortante su come le novità della norma si sono tradotte in progetti in favore dei disabili. Troppo pochi, infatti, appena 6mila beneficiari su una platea potenziale stimata all’epoca della stesura della norma di 120mila persone, con la Lombardia che detiene il numero più alto di beneficiari (1568), seguita da Piemonte (1491) ed Emilia Romagna (1242). A volerne fare un identikit, sono in prevalenza maschi (57%), con un’età che varia da 26 a 55 anni e concentrati per il 39% in programmi per sviluppare l’autonomia, per poco meno del 30% in «percorsi programmati di accompagnamento per l’uscita dal nucleo familiare di origine» e per il 18% in interventi che prevedono «attività di supporto alla domiciliarità in soluzioni alloggiative». Non meno sconfortate il numero della ‘case Dopo di noi’, le abitazione che potevano essere finanziate dalla legge per la coabitazione dei disabili ricreando il clima familiare, che si fermano ad appena 380 su tutto il territorio nazionale e si concentrano in particolar modo nel Centro-Nord, con la Toscana (179) che fa la parte del leone, seguita a grande distanza da Lombardia (50) e Veneto (42). Sul fronte delle agevolazioni fiscali per le famiglie – una delle novità che nel 2016 creò più dibattito fu proprio l’introduzione del trust, lo strumento che permette di amministrare il patrimonio familiare in favore del beneficiario alla morte dei titolari – la relazione evidenzia il sostanziale inutilizzo di strumenti considerati «poco attrattivi» e chiede di «verificare le ragioni» che hanno prodotto un accesso alle agevolazioni minore rispetto alle stime. Da qui, anche se ammette che il monitoraggio è «ancora incompleto», quantifica le minori entrate derivanti da queste misure in 51,9 milioni nel 2017 e 34 milioni nel 2018. E questi importi, sottolinea la relazione, «si discostano notevolmente dalle previsioni inserite nella norma», insomma «si tratta di un ordine di grandezza decisamente inferiore».

Il quadro che emerge evidenzia quindi «la necessità di una formazione e informazione maggiore delle Regioni verso la de-istituzionalizzazione prevista dalla legge – spiega il presidente della Fish (Federazione italiana per il superamento dell’handicap) Vincenzo Falabella – perché la platea dei beneficiari è nettamente superiore ai numeri della relazione». Il problema, per lui, sta nel fatto che le Regioni hanno posto «paletti e vincoli troppo rigidi» e, in più «non hanno la cultura di produrre percorsi di autonomia che vanno a riprodurre l’ambiente familiare per il disabile», insomma «non sanno fare i progetti». Altro problema futuro sarà che, visto che i fondi non sono stati utilizzati tutti – conclude Falabella – «e dato che il fondo viene calcolato rispetto alla spesa degli anni precedenti, il rischio è che non si avranno in futuro gli stessi soldi nella ripartizione regionale».

Soprattutto in quelle sei Regioni che finora hanno fatto ben poco per adeguarsi alla norma e «che rappresentano il 30% della popolazione nazionale». Il presidente della Fondazione nazionale ‘Dopo di noi’ Anffas Emilio Rota, tuttavia, prova a guardare il bicchiere mezzo pieno sottolineando che «anche la relazione apprezza e riconosce la modalità di co-progettazione con le associazioni che si è sviluppata nei territori e questo ci dà forza per andare avanti in questa direzione». Certo, ammette, 6mila beneficiari «sono un po’ pochini», anche se «le modalità di raccolta dei dati credo non rispettino la realtà». Basta pensare, è il suo esempio, alle cifre della Lombardia in cui ci sono 4.100 persone nelle strutture residenziali per disabili e 2mila nelle comunità sociosanitarie. «Già solo conteggiando queste situazioni saremmo sopra i 6mila», dice. In più, nel monitoraggio non vengono incluse «tutte quelle micro- esperienze che sono nate sui territori grazie alla legge 112». La relazione inoltre, continua Rota, «ci conferma la necessità di rivedere la legge sulle successioni, perché i trust vanno inseriti in una riforma generale della protezione giuridica». La sensazione generale comunque, secondo Rota, è che né le famiglie né le Regioni conoscano a fondo la legge 112, però «sia chiaro: la norma non deve solo diventare materia conosciuta ma anche utilizzabile a pieno».