Direttore dei Musei Vaticani


di LUCETTA SCARAFFIA

C'è un'opinione diffusa – e neppure tanto recente – secondo la quale il Vaticano sarebbe luogo di conservazione di rilevantissimi tesori di arte e cultura, ma non più di viva elaborazione culturale: solo erudizione, ma poca vita e passione intellettuale. L'elezione di Joseph Ratzinger, intellettuale raffinato e universalmente riconosciuto, nonché l'attività del cardinale Ravasi al dicastero della cultura, stanno cancellando questo pregiudizio.
A queste due figure di riconosciuto valore si deve aggiungere certamente il nome del direttore dei Musei vaticani nominato da Benedetto XVI, Antonio Paolucci. Un piccolo libro intervista (Arte e bellezza, La Scuola) serve ai molti che non lo conoscono personalmente per scoprire questo personaggio, che non solo è senza dubbio uno dei più seri e profondi conoscitori contemporanei dell'arte, ma anche persona divertente e capace di comunicare con tutti – ben lontano dal modello dell'esperto snob ed elitario che ci si potrebbe aspettare in questo posto – e soprattutto pieno di passione per il suo lavoro. Perché, dice, "la bellezza non è questione di filosofia, ma di percettività, di libertà. L'approccio alla bellezza è questo: è l'infinita curiosità, la percettività e quindi la pura felicità senza tormenti né filosofie".
Felicità è proprio la parola che ricorre più spesso nel corso del dialogo, sempre intesa come frutto del rapporto con la bellezza e quindi con l'arte: la contemplazione delle infinite cose belle che si possono incontrare in una passeggiata per Roma, dice, "basterebbe a renderci felici, almeno per un po'". Fonte di felicità è il suo lavoro nei musei: "Quando entra la luce nel tardo pomeriggio dell'estate romana, io giro per le grandi sale, percorro le collezioni in solitudine e mi sento semplicemente felice".
Moltissimi sono gli spunti interessanti che offre questo piccolo libro. Come la suggestione che nasce dall'immaginare un suo museo ideale, dove riunire i capolavori dell'arte mondiale a lui più cari; suggestione che consente attraverso le sue parole di cogliere impreviste luci su opere magari poco note o su altre fin troppo conosciute ma proprio per questo quasi non più "viste" con stupore. Oppure i suggerimenti per scoprire percorsi poco battuti, ma estremamente affascinanti, nel dedalo degli immensi musei che dirige.
La particolarità di Paolucci è quella di non limitarsi a una visione estetica dei capolavori conservati, ma di vederli nella loro dimensione storica e vitale: così il restauro della Paolina è strettamente collegato alla sua funzione di cappella del Papa, quella dove viene conservato sempre il Santissimo Sacramento, ma anche dove Michelangelo ormai vecchio dipinge san Pietro che si offre al martirio rivolgendo i suoi occhi profondi e pensosi verso il volto del Pontefice che entra per dirgli: "Tu es Petrus, la croce è il tuo destino". Così, nelle sue parole, uno dei luoghi apparentemente meno intriganti del percorso museale, la Galleria lapidaria, diventa la testimonianza della Roma multietnica e multiculturale, "il luogo dove tutti i popoli del mondo si incontravano e si confrontavano (…) Noi siamo quella gente (…) nasciamo da quell'impasto".
Nell'amore per l'arte e la storia Paolucci fonda il suo amore per l'Italia, dove è stato ministro per i Beni culturali e che considera l'unico Paese del mondo in cui "il patrimonio è minuziosamente presente e universalmente distribuito", in cui cioè il museo esce dai propri confini. Qui, e proprio in Vaticano, è nata l'idea di museo "per coltivare la memoria, per esorcizzare l'insignificanza e la morte".
Contrario a forme di sfruttamento commerciale di questo patrimonio, Paolucci ricorda però che "se c'è una fruttuosità del patrimonio culturale italiano, questa è una fruttuosità indotta. Quando una persona (…) compra un vestito, un paio di scarpe, una bottiglia d'olio e di vino italiani, l'apprezzamento per ciò che compra è l'immediata conseguenza delle colline di Siena, dei dipinti di Leonardo (…) Questo è un valore incommensurabile".
Favorevole a ogni forma di comunicazione – a cui si dedica con successo e abilità – Paolucci mira a mantenere ampio l'orario di apertura dei musei, cercando al tempo stesso di preservare dagli effetti del pubblico i tesori che sono conservati. Ma questo non significa certo ritenere che i musei debbano diventare luogo di intrattenimento e di divertimento: il museo, dice, "è un po' come una chiesa, il museo è il luogo dove il meglio dell'uomo si sublima e prende forma". Proprio per questo, afferma risolutamente, "la cultura ha bisogno di talento e non di soldi". E un tesoro di talenti i Musei vaticani l'hanno trovato sicuramente nel loro direttore.

(©L'Osservatore Romano 17 giugno 2011)