Dietro la sfida nucleare del regime di Pyongyang. L’ultima frontiera della guerra fredda

di GIUSEPPE M. PETRONE

La penisola coreana è l’ultimo bastione della guerra fredda. Dopo cinquant’anni dalla fine del conflitto che provocò oltre due milioni di morti e che si concluse con l’armistizio firmato il 7 luglio del 1953 a Panmunjom, Corea del Sud e Corea del Nord si confrontano ancora militarmente. E pur essendo ridotto alla fame – almeno la metà dei 25 milioni di nordcoreani soffrono di malnutrizione cronica – il regime di Pyongyang ha finora fatto poco per il disarmo nucleare della penisola.
Un segnale positivo era giunto nel mese di febbraio con la moratoria a tutto campo sul programma nucleare per scopi bellici annunciata dalla Corea del Nord dopo lunghi negoziati con gli Stati Uniti, disposti a inviare immediatamente 240.000 tonnellate di derrate alimentari. Come già accaduto in passato – nel 1994, nel 2005 e nel 2008 – il leader supremo Kim Jong Il aveva impegnato il suo Paese (oltre che se stesso) a favore della non proliferazione nucleare, continuando però a effettuare lanci missilistici e ad arricchire uranio nell’impianto atomico di Yongbyon.
La speranza in una vera svolta nelle relazioni internazionali è stata momentaneamente rafforzata dal cambio al vertice avvenuto nel dicembre scorso dopo la morte di Kim Jong Il, al quale è succeduto il terzo figlio Kim Jong Un. Ma ignorando tutti gli appelli, lo scorso 13 aprile, il regime comunista ha lanciato un razzo a tre stadi Unha-3 – con una gittata tra i 6.000 e i 9.000 chilometri – che avrebbe dovuto spedire in orbita il satellite Kwangmyongsong (stella splendente). Il test missilistico è fallito – il vettore è esploso pochi minuti dopo il lancio – ma ciò è bastato perché Stati Uniti, Corea del Sud e Giappone parlassero di provocazione, mentre i ministri degli Esteri del G8 riuniti a Washington hanno chiesto a Pyongyang di astenersi da altre azioni che possano “minare la pace e la stabilità della regione”. Secondo quanto denunciato da Seoul, la Corea del Nord si appresterebbe invece a effettuare un nuovo test, questa volta nucleare. Anche il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha fermamente condannato il lancio del missile nordcoreano che ha violato le risoluzioni del Palazzo di Vetro numero 1695, 1718 e 1874, mentre la Casa Bianca ha bloccato gli aiuti alimentari promessi.
L’avvio del programma missilistico di Pyongyang risale agli anni Settanta, con lo sviluppo di nuovi sistemi a partire dagli Scud-B sovietici e dalle rampe egiziane. Con il passare degli anni si è anche incrementato il programma di riarmo strategico. Sono circa 10.000 le persone – tra ingegneri, tecnici e semplici operai – che lavorano ai progetti di sviluppo dei missili e il fallito test del 13 aprile sarebbe costato 850 milioni di dollari, una cifra sufficiente ad alimentare 19 milioni di persone, cioè quasi l’intera popolazione del Paese, per un anno.
E mentre il presidente cinese, Hu Jintao, ha recentemente riaffermato l’amicizia con la Corea del Nord e la fiducia nei confronti del regime di Pyongyang, Barack Obama, in occasione del vertice sulla sicurezza nucleare svoltosi a fine marzo a Seoul, ha visitato l’ultimo confine della guerra fredda: la zona demilitarizzata che separa dal 1953 le due Coree all’altezza del 38º parallelo. “Siete la frontiera della libertà” – ha detto il presidente degli Stati Uniti rivolgendosi ai militari, sottolineando il netto contrasto esistente tra le due Coree soprattutto in termini di prosperità.
La Corea del Nord risponde mostrando i muscoli, con test missilistici, parate militari, inaugurazioni di gigantesche statue dedicate ai leader del passato. Non sembra quindi che il giovane Kim Jong Un sia propenso a favorire l’apertura del Paese attraverso riforme economiche e politiche e la sospensione del programma nucleare. Una svolta pare quindi lontana, soprattutto per quanto riguarda il cammino di riunificazione tra le due Coree. Mentre a nord la popolazione è costretta alla fame.

(©L’Osservatore Romano 25 aprile 2012)