“Diamo un’anima alla rete”

Monsignor Domenico Pompili, sottosegretario della Conferenza Episcopale Italiana e direttore dell’Ufficio nazionale per le comunicazioni sociali della Cei, ci illustra il significato del convegno: ispirato dalla volontà di comprendere appieno i mutamenti che le nuove tecnologie hanno innescato nei rapporti umani e le potenzialità che esse riservano per la diffusione della Buona Novella. Monsignor Pompili, perché la Cei decide di organizzare una iniziativa come “Testimoni digitali”? La risposta a questa domanda sta nella constatazione, sotto gli occhi di tutti, che i nuovi media stanno profondamente e rapidamente trasformando il nostro modo di vivere, in Italia come nel resto del mondo. Recentemente un giornale ha raccolto le considerazioni di quasi duecento tra scrittori, artisti, musicisti e giornalisti, su come la Rete ci stia cambiando la vita. Tra entusiasmo o una certa indifferenza, grandi speranze o maggiore freddezza, tutti hanno comunque dovuto constatare che con Internet dobbiamo fare i conti. Bene, “Testimoni digitali” si propone di essere per la Chiesa italiana un appuntamento importante per fare il punto sul tema dell’evangelizzazione nel contesto digitale in cui ci troviamo a vivere. Ma più nel concreto, l’incontro a cosa serve, come si struttura? Il convegno nazionale intende proporre un confronto tra gli esperti e i protagonisti di questo nuovo scenario digitale, dal guru del Medialab Nicholas Negroponte ai tanti operatori ecclesiali che nella pastorale utilizzano quotidianamente e-mail, web, social network… Vogliamo approfondire la natura del legame tra vita online e vita reale, nella convinzione che tra reale e virtuale spesso viene raccontata una contrapposizione che non necessariamente deve esserci, purché ovviamente la presenza in Rete sia vissuta correttamente. Ed è ovviamente quest’ultima prospettiva ad animare la Chiesa? È così. Sono certo che anche da “Testimoni digitali” emergerà una piena compatibilità tra l’evangelizzazione e la nuova cultura digitale. Da sempre il Vangelo si rivolge agli uomini usando il loro linguaggio, che cambia nello spazio e nel tempo. Ed è pertanto non solo interessante, ma indispensabile, interrogarsi sulle potenzialità che la Rete è oggi in grado di offrire alla diffusione della Buona Novella. Per la trasmissione della Parola di Dio occorre sempre ricercare, per quanto è nelle nostre capacità, nuove modalità, nuovi strumenti di diffusione, nuove chance. Questo però impone ai cattolici uno sforzo in termini di comunicazione, sia per quanto concerne i contenuti, sia nello stile. Il nostro obiettivo è far sì che dalle semplici connessioni telematiche – che oggi purtroppo vengono spesso pesantemente banalizzate, quando non degradate ad una confusione digitale in cui si nascondono violenza, prevaricazione, volgarità, disprezzo per la dignità dell’altro – si possa giungere a relazioni interpersonali più compiute. Se uno stile di comunicazione ecclesiale esiste, allora il suo obiettivo è far emergere anche nella Rete il valore aggiunto del patrimonio umano e spirituale della fede, costruito intorno alla condivisione reale di esperienze in carne ed ossa. Di nuovo torna il tema della necessità di non contrapporre il virtuale al reale: l’esperienza pastorale della Chiesa, in questo senso, può offrire un grande contributo alla cultura digitale. È la prima volta che il mondo cattolico si impegna a questo livello sul tema del digitale? No, tutt’altro. “Testimoni digitali” rimanda ad un altro convegno nazionale, “Parabole mediatiche: fare cultura nel tempo della comunicazione”, che fu promosso dalla Commissione Episcopale per la cultura e le comunicazioni sociali già nel 2002. Quello fu un importante momento di verifica per la Chiesa Italiana, che si stava misurando con gli Orientamenti pastorali per il primo decennio del 2000: “Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia”. “Testimoni digitali” rappresenterà anche una sorta di passaggio tra il primo e il secondo decennio del terzo millennio, che sarà dedicato ad approfondire il tema della sfida educativa. Alla Chiesa cattolica non sfugge che la possibilità offerta dall’innovazione tecnologica di comunicare in modo sempre più veloce e diffuso sia un bene straordinario per tutta l’umanità, che come tale va però promosso e tutelato. Quanto più potenti sono i mezzi di comunicazione, tanto più devono essere forti la coscienza etica e la preparazione di chi in essi opera. È necessario pertanto che la comunicazione “sociale” non sia considerata solo in termini economici o di potere, ma sia inserita in un orizzonte di beni di primaria importanza per il futuro dell’umanità come il cibo, l’acqua, le risorse naturali, le infrastrutture viarie, l’istruzione e la formazione. Ma la Chiesa è preparata a una sfida tanto impegnativa? Posso dire con serenità che non da oggi la comunione ecclesiale e la missione evangelizzatrice della Chiesa trovano nei media un campo privilegiato di espressione. Per dimostrarlo basterebbe tornare con la memoria ai tempi dell’evangelizzazione apostolica, della conservazione e trasmissione del patrimonio classico assicurata dagli amanuensi nel Medioevo, dell’impulso dato dalle committenze ecclesiali alle arti nel Rinascimento. Ma limitiamoci alla storia recente: dal Concilio Vaticano II, la Chiesa ha assunto ancor più coscienza di quanto sia importante coniugare gli ambiti della vita ecclesiale con la nuova realtà culturale e sociale. Le iniziative avviate in questi anni in Italia per raccordare e promuovere la comunicazione ecclesiale e per rendere più incisiva la presenza nei media non si contano. Naturalmente, qui si colloca anche l’impegno di promuovere il ruolo e la formazione di tutti i comunicatori, ovunque essi operino. Non a caso, Benedetto XVI ha insistito proprio sulla formazione seminariale, quando ha invitato a usufruire delle possibilità offerte dal digitale… Il Santo Padre, per la prossima Giornata Mondiale delle comunicazioni sociali, ha voluto sottolineare l’importanza di una riflessione adeguata sulla comunicazione e sul mondo digitale anche nella formazione dei sacerdoti. Le nuove tecnologie, ha sottolineato, offrono al sacerdote nuove possibilità di esercitare il proprio servizio alla Parola di Dio. Ma la testimonianza non è una prerogativa clericale: durante l’incontro del 24 aprile, a chiusura del convegno, Benedetto XVI conferirà questo stesso mandato a tutti coloro che fanno comunicazione e cultura nelle nostre comunità. Il digitale dunque può essere una chance in più per l’evangelizzazione? I nuovi media rendono possibile l’avvicinarsi a persone e contesti che da un punto di vista geografico sarebbe impensabile raggiungere. Credo quindi che occorra scommettere su queste potenzialità cercando di coglierne il meglio, senza pregiudizi ma anche senza ingenuità. I grandi cambiamenti in corso hanno bisogno di essere interpretati ed orientati, non possono essere passivamente subiti. Per questo abbiamo scelto di intitolare il convegno “Testimoni digitali”: se l’aggettivo “digitale” è importantissimo, il sostantivo rimane pur sempre “testimoni”.