Dalla fraternità agli ultimi: così il cardinale Martini ha anticipato Francesco

La sinodalità, l’icona del Buon Samaritano, la carità: il parallelo fra il porporato morto dieci anni fa e l’attuale Pontefice alla presentazione del sesto volume dell’opera omnia di Martini
Il cardinale Carlo Maria Martini in un incontro allo stadio Meazza di Milano nel 1994

Il cardinale Carlo Maria Martini in un incontro allo stadio Meazza di Milano nel 1994 – Fotogramma

C’è bisogno di una «Chiesa sinodale» dove le domande intorno a cui ci si interroga sono: «Come si cerca Dio insieme? Come se ne distingue la voce? Come gli si obbedisce? Come si organizza, con quali ruoli e in che tempi, una comunità che fa discernimento e arriva a decisioni?». Serve una «leadership» ecclesiale dove il pastore esercita l’autorità «guidando il gregge non solo davanti, ma anche dentro o dietro le pecore». Occorre declinare nell’oggi la parabola del Buon Samaritano ripartendo dalla domanda: «Ma chi è il mio prossimo?». E ancora. La carità «sa dare forma associativa, istituzionale e persino politica alle dimensioni della giustizia, della cura, dello sviluppo, della pace». E la fraternità è un «segno dei tempi» che chiama la comunità ecclesiale a un nuovo impegno. Intuizioni di papa Francesco? Sì. Ma anche di Carlo Maria Martini, il cardinale arcivescovo di Milano di cui ricorrono i dieci anni dalla morte. Il parallelo fra l’attuale Pontefice e l’amato porporato, entrambi gesuiti, arriva da un altro gesuita, Michael Czerny, nato in Cecoslovacchia ed emigrato con i genitori in Canada, che Francesco ha creato cardinale nel 2019 e che ha voluto come prefetto del dicastero per il Servizio dello sviluppo umano integrale.

Ospite nel Centro San Fedele a Milano, è uno dei relatori invitati a presentare il sesto volume dell’opera omnia di Martini voluta della Fondazione che porta il nome del biblista alla guida della Chiesa ambrosiana per ventidue anni, fino al 2002. Titolo della nuova pubblicazione edita da Bompiani: Farsi prossimo. Come il grande convegno ecclesiale degli anni Ottanta che è stato un «vero laboratorio della Chiesa sinodale», chiarisce Czerny. E come la Lettera pastorale datata 1985 che è un manifesto della carità «attualizzata, resa presente, intelligente, capace di avvicinarsi a tutti» superando «la paura del diverso», diceva Martini.

A portare il saluto dell’arcivescovo di Milano, Mario Delpini, è il vicario generale, il vescovo Franco Agnesi, che definisce il convegno di 35 anni fa «il punto di inizio di una nuova Chiesa che viene dalla carità» e un «esempio di sinodalità» che aveva coinvolto i mille volti della diocesi. È quello che suor Nathalie Becquart, sottosegretaria del Sinodo dei vescovi, chiama «il metodo Martini che ha al centro l’ascolto della realtà sociale alla luce della Parola di Dio». Un approccio che per certi versi ha anticipato l’attuale percorso del Sinodo dei vescovi con la consultazione dal basso. «È la prima volta che tutta la Chiesa viene coinvolta per un Sinodo che ha come obiettivo la conversione sinodale della comunità ecclesiale», sottolinea la religiosa dialogando con padre Carlo Casalone, presidente della Fondazione Martini, e con Lucia Capuzzi, che modera il dibattito.

Per il cardinale Czerny, l’arcivescovo scomparso il 31 agosto 2012 ha «con le sue visioni e il suo stile di ascolto, di preghiera e di vita anticipato cammini che finalmente coinvolgono la Chiesa universale». Come testimonia la sfida della «fraternità che nella Lettera Farsi prossimo Martini ha posto a pilastro della sua azione pastorale» e che Czerny analizza nel volume Fraternità segno dei tempi. Il magistero sociale di papa Francesco scritto con Christian Barone. Di fatto, sostiene il prefetto vaticano, «Martini ha fatto ciò che gli chiedeva il Concilio, un evento che nella sua giovinezza, come in quella di papa Francesco, rappresentò una primavera evangelica».

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