Dal dicastero per i migranti le linee guida per una pastorale di accoglienza: priorità della persona umana

I cristiani “non possono rimanere indifferenti” con “lo straniero che attraversa le frontiere”. Ma una pastorale di questa portata e urgenza non s’improvvisa e va impostata su alcuni capisaldi propri della missione e della natura stessa della Chiesa. A suggerire gli “orientamenti pastorali per l’attuale realtà migratoria” è il religioso scalabriniano Gabriele Ferdinando Bentoglio, sotto-segretario del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti, intervenuto a Fatima, il 21 e 22 febbraio, alle celebrazioni del cinquantesimo di fondazione dell’Opera cattolica portoghese per le migrazioni.
Nel quadro internazionale le ombre non mancano. A partire dai costi “che sono generalmente sostenuti dagli Stati, dalle comunità, dalle famiglie e dagli individui, soprattutto da parte delle società d’origine dei migranti”. Tenendo conto della situazione mondiale con il suo carico di problematiche economiche, sociali e politiche, senza dimenticare però le trasformazioni positive, Bentoglio ha indicato le linee guida per una pastorale incisiva. Chiaro il punto di partenza: “la priorità alla persona umana nella sua dimensione integrale”. Insomma far sì che l’emigrazione sia “una scelta e non una costrizione; un incontro di popoli e culture, e non uno scontro di civiltà; una forza positiva per lo sviluppo e la partecipazione, e non l’esclusione”.
“La promozione della dimensione interculturale – ha affermato – esige l’accettazione di valori e di principi fondamentali, che sono alla base dell’autentica costruzione dell’unica famiglia dei popoli, per usare un’espressione del messaggio di Benedetto XVI per la Giornata mondiale del migrante e del rifugiato dello scorso anno. Fra questi vi sono i principi della democrazia, la parità dei diritti e la libertà religiosa”.
Va curata, a questo proposito, la formazione “del personale e delle strutture di pastorale migratoria”. Infatti “le nostre strutture pastorali, evitando forme di ghettizzazione e d’isolamento, possono favorire l’apertura verso le società di accoglienza nella misura in cui sono disponibili al dialogo con il tessuto sociale in cui si trovano, stabilendo relazioni di interscambio, incoraggiando progetti di collaborazione e facilitando la reciprocità a tutti i livelli, tanto con le altre religioni che con le associazioni civili e le istituzioni governative”. Ma “il tema legato alle migrazioni che sentiamo più bruciante è quello dell’incontro tra il cristianesimo e le altre grandi religioni e culture del pianeta”. Infatti “l’aumento della popolazione musulmana è considerevole, proprio grazie alle ondate migratorie, ma anche per un certo numero di conversioni. Il dialogo è spesso difficile perché termini come giustizia, verità, dignità e diritti della persona umana, laicità, democrazia e reciprocità hanno significati differenti nel mondo islamico rispetto a quelli ad essi attribuiti nella cultura europea, di profonde radici cristiane”.
Bentoglio ha, in sintesi, proposto un vademecum concreto che ipotizza “forme nuove di pastorale intercomunitaria, dove le minoranze siano rispettate e non ci si limiti a favorire soltanto un po’ di folklore etnico nelle periodiche feste dei popoli e nelle iniziative, pur lodevoli, che qualche volta nell’arco dell’anno danno spazio e visibilità anche ai gruppi di immigrati”. Di fatto “il migrante obbliga ciascuno di noi a emigrare da noi stessi verso la comunione e l’universalità”.
Per il religioso “nel campo missionario delle migrazioni, l’operatore pastorale si muove tra l’azione di guida nella maturazione della propria gente e quella di animazione della Chiesa di arrivo, assumendo anche la funzione di ponte e raccordo tra la Chiesa di origine e quella di accoglienza”. Pertanto “oggi avvertiamo l’urgenza di una pastorale di formazione-promozione che si proponga di instaurare un effettivo senso di uguaglianza e di dialogo tra culture ed espressioni religiose, possibile solo quando ognuno è consapevole della sua identità specifica”. Così può avvenire “il passaggio del migrante da oggetto di assistenza e protezione a soggetto di cultura e protagonista, capace di essere se stesso senza assimilarsi mimeticamente con la cultura maggioritaria della popolazione locale”.
Il sotto-segretario ha quindi rilevato come “oggi la domanda di fondo della nostra sollecitudine pastorale non è più quale pastorale e quale missione, ma verso quale ecclesiologia ci stiamo incamminando, assumendo come banco di prova proprio la pastorale dell’accoglienza”. Guardando, in particolare, al rapporto tra fenomeno migratorio e crisi economica, Bertoglio ha spazzato via alcuni luoghi comuni. Un recente studio della Commissione economica delle Nazioni Unite per l’America Latina e i Caraibi sull’impatto della crisi sulle migrazioni internazionali, ha mostrato che “il paventato rientro in massa dei migranti nei loro Paesi d’origine non è avvenuto affatto e le loro rimesse non si sono azzerate, sebbene abbiano subito una certa diminuzione.
Invece, il fenomeno che continua a destare seria preoccupazione è l’aumento della pressione sul lavoro e sulla vita quotidiana dei migranti, non di rado criminalizzati come uno dei capri espiatori della crisi economica globale”. In verità, “l’acutizzarsi della crisi ha reso più evidente la vulnerabilità dei migranti. Da una parte, il numero relativamente basso dei rientri in patria dimostra che i migranti utilizzano con estrema parsimonia i loro guadagni e si adattano alle mutate situazioni: accettano impieghi di scarsa qualificazione, più precari, talvolta nel sommerso, trascurando anche i fondamentali diritti di cui sono titolari. L’impegno di fedeltà alla famiglia è un rilevatore interessante, dato che molti continuano a inviare parte degli introiti ai luoghi d’origine”. Dall’altra parte, “sono sempre più vistose le violazioni dei diritti dei migranti, con preoccupante aumento di comportamenti xenofobi, sia da parte di gruppi spontanei della società civile che nelle restrittive disposizioni legislative nazionali. L’Europa si trova oggi di fronte al delicato compito di raggiungere il difficile equilibrio tra l’apertura alle migrazioni internazionali, la fermezza nella gestione dei flussi regolari e irregolari e l’intelligenza nel progettare itinerari di integrazione”.
(©L’Osservatore Romano 29 gennaio 2012)