Dal confronto con la sorprendente ricchezza della natura all’itinerario della fede

di Gerhard Ludwig Müller

Per uno straniero che apre la prima volta la pagina iniziale de I promessi sposi, le parole di Alessandro Manzoni che descrivono quei luoghi del lago di Como rappresentano un autentico invito per la ragione, quasi un contagio. Aprendo al lettore, in modo così rapido eppure efficace, quel panorama di golfi, promontori, torrenti, valli, paesi e profili di montagne, Manzoni muove lo sguardo alla meraviglia. Il genio di questo scrittore milanese dell’Ottocento, con poche ed incisive parole, riesce a far trasparire quella positività che — ai nostri occhi solo in certe giornate — la natura è capace di dischiudere.
Solo una grande positività è in grado di attirare il nostro sguardo — gli orizzonti della nostra ragione, direbbe Papa Benedetto xvi — e di ampliare le sue capacità conoscitive. Infatti, di fronte a certi spettacoli della natura, e a certi eventi, ci sentiamo colpiti e mossi fin nel profondo di noi stessi, al punto che tutta la nostra persona, tutta la nostra libertà si sente trasportata in essi ed interpellata.
È questo un trasporto che ci trascina fin nel cuore della realtà che abbiamo davanti agli occhi e mai come in queste occasioni ci sentiamo una cosa sola con ciò che conosciamo. Simile esperienza accade anche nell’amore. E, infatti, la prima forma di amore, cioè di attaccamento, di cui è capace la nostra ragione, si sperimenta e si documenta proprio di fronte alla realtà, incontrando brani di realtà così positivi.
A parte la mia personale ammirazione per il talento di Alessandro Manzoni, ho voluto iniziare facendo cenno a tali esperienze perché ciò che accade nell’uomo attraverso quel fenomeno che si chiama “fede” — almeno nella sua accezione cristiana e cattolica — possiede molte analogie con quanto ho sopra descritto.
Nulla come la bellezza, il bene, la verità, l’amore, intravisti nella realtà, sono in grado di afferrare la nostra ragione e di lanciarla nell’avventura conoscitiva, coinvolgendo tutta la nostra persona, affettività compresa, e di donarci certezze fondamentali per l’esistenza. La fede riconosce la realtà del mondo come un segno, come un fenomeno che rinvia a una profondità a cui esso è, in qualche modo, ancorato e da cui dipende “in radice”. Del resto, tutte volte che riconosciamo un significato oggettivo passiamo dalla dispersione e dalla superficie degli elementi alla loro connessione intrinseca e quindi, in un certo senso, cominciamo ad attingere alla loro realtà profonda ed al loro fondamento.
Ecco perché non è sostenibile in modo assoluto la recisione kantiana del percorso dal fenomeno al fondamento. Lo iato fra fenomeno e fondamento della realtà, così come l’inaccessibilità del “noumeno”, sono in verità affermabili solo relativamente, poiché già a livello conoscitivo la nostra ragione, attraverso il mondo dei significati, si trova proiettata in un itinerario che la muove verso il fondo della realtà, passando dai significati minori fino a quelli più grandi ed ultimi.

(©L’Osservatore Romano 27 febbraio 2013)