Crisi mondiale / Evoluzione: peserà il possibile sussulto di un Paese, la Russia, che tra il desiderio di potenza pagato a caro prezzo e le sirene democratiche dell’Europa, non necessariamente sceglierà il primo

Putin al Cremlino

In molti si erano illusi che 190mila uomini e migliaia di mezzi blindati schierati su tre lati di un Paese nel bel mezzo dell’inverno servissero soltanto a dettare le condizioni della Russia all’Ucraina e alla Nato. Il diktat di Mosca è stato esplicito fin dall’inizio: nessun ingresso di Kiev nell’Alleanza; concordare un’intesa (a loro favore) con le autoproclamate Repubbliche di Donetsk e Lugansk; demilitarizzare e rendere neutrale l’Ucraina (fornendole in cambio protezione ed energia a buon mercato). La trattativa così posta non aveva margini di compromesso.

I l fronte occidentale non era (e non è) entusiasta di ‘morire per il Donbass’ e alcune concessioni erano già implicite, come il rinvio sine die dell’ammissione nel dispositivo militare atlantico e ulteriori concessioni all’autonomia delle regioni separatiste. Ma uno degli ostacoli che la diplomazia si è trovata subito di fronte poteva (e lo ha fatto per qualcuno) indicare lo sbocco inevitabile della crisi. Mosca, infatti, voleva nero su bianco tutti i punti elencati. Anche ammettendo la disponibilità a un cedimento ‘coperto’ per non fare precipitare la situazione, nessuna democrazia liberale e nessuna opinione pubblica può accettare un ricatto simile a spese di un intero popolo. Le forme vanno salvate. Non così, però, nella democrazia autoritaria russa, in cui si vota e tutti i diritti sono formalmente tutelati, ma chiunque protesti ordinatamente contro la guerra, come è successo ieri mattina, viene arrestato. E ogni manifestazione viene proibita.

Dove il dissenso non è ammesso, dove gli oppositori politici più scomodi come Aleksei Navalny sono rinchiusi in carcere, non ci si può affidare alle dinamiche del controllo dal basso del potere. Bisogna confrontarsi con i leader che hanno mano libera e possono perseguire i sogni di grandezza per la propria nazione, sia la maggioranza di essa più o meno consenziente. In questo senso, la retorica dell’impero nascondeva soltanto l’imperialismo. I richiami alla storia, alla cultura e alla religione erano un machiavellico abbellimento delle intenzioni brutali di un’invasione. Due giorni dopo avere ipnotizzato il mondo con un discorso che è stato analizzato nei minimi dettagli, il presidente Vladimir Putin è riapparso in tv alle 6 del mattino di ieri in Russia (con un messaggio forse già registrato nei giorni precedenti) per lanciare l’aggressione militare all’Ucraina che stava attentamente pianificando da mesi. Assente una vera intenzione di trovare una composizione, vi era soltanto una serie di false rassicurazioni sulla volontà di non colpire e la determinazione a non cedere a nessuna pressione diplomatica.


Il disegno imperialista non vuole ai propri confini la Nato e il ‘contagio’ democratico della Ue. Un progetto che apre a ulteriori allargamenti di influenza verso Occidente Il rifiuto della trattativa e l’azione programmata e non dissimulata indicano la scelta di una politica di potenza giocata con le armi Il presidente russo Vladimir

L’attacco è su larga scala. Nella notte appena passata si attendeva un’ulteriore escalation. Nelle intenzioni degli invasori la frontiera tra i due Paesi dovrà diventare soltanto un mero segno sul terreno. Non ci sarà un’annessione dell’Ucraina, ma una sua “finlandizzazione” imposta con le armi. Un governo filo-russo dovrà garantire la neutralità forzata, con un allontanamento dalla Nato e dall’Unione Europea. Putin vuole uno “Stato cuscinetto”, come l’antica logica tra Stati non vincolati dal diritto internazionale permetteva e addirittura suggeriva. Ma si tratta di un enorme cuscinetto di 600mila chi- lometri quadrati, il doppio dell’Italia, con 44 milioni di persone del tutto riluttanti a fare da “barriera” umana per l’autocrate del Cremlino, spaventato dal contagio di entità che valutano le scelte dei cittadini più del dominio e degli interessi di pochi. Portare la guerra aperta in Europa, come non avveniva dal Secondo conflitto mondiale, non significa avanzare una legittima pretesa di sicurezza. La violazione della sovranità e dell’integrità territoriale di un Paese indipendente che non rappresenta una minaccia sono strumenti che la comunità delle Nazioni Unite ripudia totalmente.

Un elemento deve infatti essere ribadito: la Nato nasce con natura difensiva: non aveva né ha alcuna intenzione di sparare il primo colpo. Anzi, aveva aperto un percorso di collaborazione con la Russia che avrebbe potuto continuare se il revanscismo slavista di Pu- tin e i ritornanti sogni di controllare tutto l’Est come ai tempi dell’Urss non avessero ripreso forza sulle rive della Moscova. Qui sta probabilmente la chiave di comprensione del progetto espansionista di Mosca: ridisegnare gli equilibri in Europa a favore della ‘terza Roma’ in una narrazione quasi messianica del ruolo russo nella storia. Si possono valutare queste motivazioni come irrazionali o fuori del tempo, ma non si devono sottovalutare quando esse danno luogo a una reale e drammatica azione militare. I bombardamenti sulla capitale Kiev e su Odessa, nell’estremo occidente ucraino, dimostrano che i piani erano chiari da tempo. Le previsioni diffuse dagli Usa si sono confermate reali e non hanno scoraggiato l’intervento russo.

Davanti alla pioggia di bombe sulle città ucraine, alle lunghe file di un esodo di massa, alle prime immagini di distruzioni e vittime, si rischia di sottovalutare un passaggio fondamentale contenuto nella dichiarazione di guerra pronunciata da Putin. Egli ha minacciato reazioni senza precedenti in caso di interferenze straniere. Il leader del Cremlino è davvero disposto a usare l’arma nucleare? O si riferiva a una reazione con mezzi convenzionali e innovativi contro nazioni che volessero sostenere militarmente l’Ucraina? Fino a che punto è disposto a spingersi insieme al suo Paese? Sappiamo che le tecniche belliche sviluppate dai suoi strateghi comprendono anche gli attacchi informatici, potenzialmente devastanti se mirati a infrastrutture vitali, la disinformazione sistematica e le interferenze nei processi politici ed elettorali. In ogni caso – l’ha detto esplicitamente il presidente americano Joe Biden – uno scontro tra Russia e Stati Uniti (o Nato) equivarrebbe a una terza guerra mondiale. Che nessuno in Occidente vuole, comprensibilmente, combattere e sopportare.

Ma se l’Ucraina diventa un’emanazione di Mosca, ci sarà ancora la Nato ai suoi confini. E se Putin volesse estendere la sua sfera di sicurezza e di influenza anche ad altri ex membri del Patto di Varsavia ora inseriti nell’Alleanza atlantica? Se invadesse la Moldova, che potrebbe opporre una ben minima resistenza? Il ricatto di una ritorsione esiziale contro chi accorresse in loro aiuto ci costringerebbe a rimanere a guardare ulteriormente? E nel caso fossero messe nel mirino le piccole Repubbliche baltiche, membri della Nato e perciò titolate a essere difese? La minaccia evocata ieri può costringere all’impotenza di fronte all’ingiustizia e all’inerzia davanti alla violenza e alla repressione della libertà e dell’autonomia di intere popolazioni? Sono interrogativi dolorosi che dobbiamo porci mentre Unione Europea, Gran Bretagna e Stati Uniti varano le loro dure sanzioni, che saranno costose per entrambe le parti e dovranno essere davvero ben centrate. Forse c’è ancora uno spazio negoziale con la Russia prima di tornare alla contrapposizione totale dei due blocchi in stile Guerra Fredda.

Resta tuttavia quel tarlo. Se una parte muove e avanza, annettendosi uno spicchio alla volta, sotto la minaccia di reazioni senza precedenti per chi si intromette, come si potrà anche provare a fermarla? Ritorsioni economiche e altre forme di isolamento della Russia saranno esperite nelle prossime settimane e nei prossimi mesi. È difficile prevedere il loro esito. Molti fattori peseranno sull’evoluzione degli avvenimenti. Non ultimo il possibile sussulto di un Paese, la Russia, che tra il desiderio di potenza pagato a caro prezzo e le sirene democratiche dell’Europa, non necessariamente sceglierà il primo.

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