Crisi economica e nascite. Se la crisi lascia in eredità la «paura» del secondo figlio

Se la crisi lascia in eredità la «paura» del secondo figlio

La crisi economica ha giocato un ruolo determinante nel crollo delle nascite che interessa l’Italia. Per intuirlo non sono necessarie ricerche particolari. Tuttavia indagare a fondo come e perché le difficoltà hanno trasformato la composizione delle famiglie e le attese delle coppie può fornire indicazioni molto importanti. Un contributo in questo senso arriva da un ricerca fresca di pubblicazione che ha cercato di capire come mai tra il 2002 e il 2012, cioè nel decennio che va dal periodo precedente la crisi del 2007-2008 alle prime tre recessioni successive, molte madri hanno deciso di non avere un secondo figlio. Quello che emerge è abbastanza sorprendente: la crisi non ha aumentato le disuguaglianze, al contrario ha avvicinato le donne di diverse condizioni sociali nella rinuncia ad avere una famiglia numerosa.

L’insicurezza e la sfiducia, insomma, hanno livellato verso il basso l’universo delle madri, contagiando anche chi non ha sperimentato direttamente problemi economici.

La prospettiva del secondo figlio, come angolatura di analisi, ha un forte valore. Il calo delle nascite che affligge il nostro Paese quasi alla stregua di una malattia cronica si deve da un lato all’aumento del numero di donne in età riproduttiva che non diventano madri, percentuale che ha ormai superato il 20%, ma in parte maggiore è dovuto alla rinuncia ad avere il secondo e soprattutto il terzo figlio e oltre. Il calo della natalità è in sostanza un problema di fratelli che mancano, non solo di donne e uomini che non diventano genitori, anche se questo aspetto si sta comunque affermando sempre di più. La ricerca a cura di Francesca Fiori ed Elspeth Graham, dell’Università di St Andrews nel Regno Unito, e di Francesca Rinesi dell’Istat (goo.gl/eKyk4z) rivela proprio che in un decennio la percentuale di madri che esprimono l’intenzione di fermarsi al figlio unico è salita dal 21% al 25%.

Ma che cosa è cambiato negli anni della Grande Crisi? L’aspetto forse più importante da rilevare è il fatto che la rinuncia al secondo figlio non riguarda più solo una categoria specifica di donne che sperimenta una condizione particolare, si tratti di una difficoltà economica ovvero della decisione di puntare a una carriera importante: la percezione di insicurezza diffusa, di paura di andare incontro a problemi in futuro, ha come cancellato le differenze. Prima della crisi la ‘rinuncia’ a una famiglia numerosa, in termini di intenzioni, riguardava più le donne con bassa istruzione o chi aveva contratti a termine, o ancora le disoccupate; durante la crisi la probabilità di non volere un secondo figlio ha interessato sempre di più anche le donne con media o alta istruzione, con contratti di lavoro stabili, le casalinghe, e in particolar modo le ragazze più giovani. La motivazione economica è diventata rapidamente la ragione principale per dire no al secondo figlio (dal 16,7% al 25,8% dei casi), seguita dal fatto che si è raggiunto il limite di età (dal 14,1% al 18,8%), mentre l’idea di aver già soddisfatto i propri desideri riproduttivi è crollata significativamente di 7 punti (al 16%).

«Il risultato ci ha sorprese – spiega una delle ricercatrici, Francesca Fiori –. La rinuncia al secondo figlio per ragioni economiche non ha riguardato solo le madri in situazioni di disagio, ma anche quelle in condizioni migliori. Da un lato la situazione economica è peggiorata per tutte le famiglie giovani, dall’altro l’aumento della disoccupazione maschile ha probabilmente lasciato molte donne occupate nella condizione di unico percettore di reddito. Ma di sicuro la crisi ha agito anche a livello più intimo, aumentando l’incertezza e la sfiducia nel futuro. Spesso di fronte alle difficoltà la rinuncia a un figlio interessa proprio chi ha più da perdere, mentre chi è in condizione di svantaggio trova nella maternità un valore in più».

Le ragioni per essere ottimisti ci sono, soprattutto in una fase di ripresa. Se i problemi economici impattano sulla natalità, l’uscita dalla crisi può favorire una ripartenza delle nascite. La ricerca in effetti rileva un aumento delle madri di due o più bambini che esprimono il desiderio di avere altri figli, anche se questo sembra riguardare più le straniere. E in ogni caso il rischio può essere anche un altro: che l’abitudine all’insicurezza si sia sedimentata in maniera così forte da avere rivoluzionato comportamenti storici. Il tema dell’insicurezza come ragione della denatalità è più vischioso dei semplici motivi economici e più difficile da aggredire. La crisi della fiducia incide sui desideri e sulla progettualità, e questo aspetto, spiegano le ricercatrici, è più preoccupante di altri fattori legati alla rinuncia ad avere figli.

Le persone, soprattutto le generazioni più giovani, in questi anni hanno conosciuto un aumento significativo della disoccupazione e della precarietà del lavoro, oltre a un calo delle retribuzioni. L’insicurezza tuttavia è un concetto molto ampio, che non riguarda solo i più fragili. Una recente ricerca a cura di Chiara Ludovica Comolli (goo.gl/SkLrUQ), dell’Università di Stoccolma ha dimostrato come la tensione sugli spread vissuta dall’Italia tra il 2011 e il 2012 ha contribuito in modo importante a limare i tassi di natalità. D’altra parte si potrebbe pensare che in un Paese con un elevato debito pubblico come l’Italia, oggi al 130% del Pil, in mancanza di una seria strategia di stabilizzazione dei conti le famiglie possano avere atteggiamenti più prudenti in diversi ambiti, dai consumi alla famiglia.

Negli ultimi 40 anni l’Italia non ha mai conosciuto tassi di fecondità particolarmente alti, tuttavia le coppie hanno storicamente manifestato una preferenza netta per la famiglia con due figli. Ancora nel 2012 il 75% delle neo madri con un figlio esprimeva la volontà di avere almeno un altro bambino. Ma se il persistere dell’incertezza trasformasse in breve tempo la ‘regola dei due figli’ in una regola del figlio unico più subìta che voluta? Al momento non sembra essere così. «Non abbiamo indicazioni in questa direzione – spiega Francesca Fiori – in Italia la preferenza per la famiglia con due figli è dura da sovvertire. A differenza di altri Paesi da noi c’è una fetta ampia di desiderio non soddisfatto in fatto di dimensione della famiglia. Perché si mantenga vivo servono soprattutto misure di ampio respiro capaci di creare un contesto favorevole in tutto alle famiglie, dalle politiche per il lavoro ai servizi che favoriscono la conciliazione, dalle misure per ridurre le disuguaglianze a un welfare in grado di rispondere veramente ai bisogni dei genitori».

da Avvenire