Commento alle letture per la liturgia della Domenica di Pasqua

Santa Maria Maddalena al sepolcro

At 10,34a.37-43; Sal 117 (118); Col 3,1-4; Gv 20,1-9

dalla Rubrica de Il Regno La Parola in cammino

Nel Vangelo di questa domenica di Risurrezione l’azione del «vedere» rappresenta un itinerario su cui siamo invitati a riflettere. L’evangelista descrive la scena del sepolcro vuoto utilizzando diversi verbi in greco, che sottolineano diverse sfumature del «vedere».

Si parte da Maria Maddalena, la prima che corre al sepolcro e la prima che incontrerà il Risorto, nel seguito del racconto Giovanneo. Maria, probabilmente originaria di Migdal (Magdala), compare sempre, nei testi evangelici, con l’appellativo «maddalena», anche se poi nella traduzione in italiano a volte si trova tradotto «di Magdala».

Questo piccolo, ma significativo, particolare non era sfuggito ai primi esegeti come Girolamo o Origene, che avevano compreso come questo appellativo «magdalena» non era tanto riferito al luogo di provenienza, ma alla figura stessa di questa donna. Il termine «migdal» significa torre, fortezza, ma, come faceva notare la biblista Maria Luisa Rigato, la radice della parola deriva dall’ebraico gadol, che significa grande. Dunque Maria la «turrita» (da torre, fortezza) come la chiamava Girolamo, o, come suggeriva la Rigato in continuità con Origene, «colei che è stata resa grande».

Ritorniamo al racconto giovanneo: Maria arriva al sepolcro e «vede», anche se è ancora buio, che «la pietra era stata tolta». Il suo vedere è oggettivo e allo stesso tempo confuso: ciò che «vede», anche se reale – un sepolcro aperto – non è comprensibile di per sé. Il testo non ci dice che Maria vede che il sepolcro è vuoto, il suo «vedere» si ferma prima, alla pietra che è stata tolta. Che spiegazione dare?

Corre quindi da Pietro e «dall’altro discepolo che Gesù amava» (non possiamo non notare che quest’ultimo nel racconto non ha un nome proprio) e comunica loro non solo il dato oggettivo, cosa ha visto, ma l’elaborazione del dato: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto».

I due discepoli, a loro volta, corrono verso il sepolcro, «l’altro discepolo» arriva per primo e «vede» (è lo stesso verbo usato per Maria). Anche qui si tratta di un vedere oggettivo: «i teli posati là». Di fronte a tale dato però non viene espressa alcuna elaborazione, anzi l’incapacità di comprendere il dato è sottolineata dal fatto che il discepolo rimane quasi impietrito, non entra nel sepolcro.

Subito dopo arriva anche Pietro che, prima di vedere, entra. Il suo potrebbe essere un agire d’impulso, anziché fermarsi a guardare la realtà che gli sta davanti vi entra dentro, vi si «immerge». E solo dal di dentro di questa realtà il suo «vedere» questa volta è diverso: è un vedere analitico. Nel testo infatti viene utilizzato un altro verbo che sottolinea l’azione del vedere in quanto osservazione, attenzione ai dati, ai dettagli. Pietro vede, osserva, «i teli», «il sudario» posto non nello stesso luogo dove sono i teli, ma «avvolto» da un’altra parte».

Anche questo tipo di vedere, però, non produce una comprensione più profonda o complessiva della realtà, che non solo gli è di fronte, ma in cui è anche immerso, dato che «è» dentro al sepolcro. Un’ulteriore tappa di questo itinerario di visione è segnata dal movimento dell’«altro discepolo», il quale a sua volta entra nel sepolcro e «vede». Il suo, però, è un «vedere» diverso, contrassegnato in greco da un altro verbo, dalla cui stessa radice deriva il verbo «comprendere, conoscere».

Il vedere a cui «l’altro discepolo» giunge non è solo oggettivo, analitico, ma «relazionale», affettivo (che non significa sentimentale). È un vedere che produce quella conoscenza che si raggiunge quando si ama, quando cioè la relazione tra il sé e l’alterità diventa pienezza, intimità, desiderio, presenza; in altre parole, come il testo stesso dice, «fede»: «vide e credette». Ma questa è solo la penultima tappa, di per sé indispensabile per il passo successivo, che è «comprendere la Scrittura».

Dietro a questi personaggi, e al loro modo di porsi e di agire nei confronti di ciò che sta loro davanti, possiamo infatti individuare diversi atteggiamenti o tappe di un modo di porci di fronte alla Parola e di vivere la nostra «fede». C’è chi «vede» e corre subito a delle conclusioni; c’è chi «corre» per arrivare a «vedere», ma si affaccia solo a guardare, chi, invece, pensa che il «capire» analitico, «teoretico» (termine che deriva proprio dal verbo utilizzato per descrivere il vedere di Pietro) sia sufficiente per comprendere la realtà in cui ha scelto di immergersi.

E c’è il vedere «relazionale», la ricerca dell’«altro» in cui tutto è messo in gioco, perché la relazione dell’amore è nuda, totale, coinvolgente, e allo stesso tempo distante; dove non è importante «cum-prehendere» (prendere con sé, possedere), quanto cercare, desiderare, accogliere. Solo con quest’ultima «visione» la Scrittura può svelarsi ai nostri occhi e parlare al nostro cuore, essere «lampada che illumina i nostri passi» (cf. Sal 119,105). Solo così è possibile «vedere» il Risorto, ieri come oggi, ed è così che Maria magdalena, «colei che è stata resa grande», prima fra tutti e tutte, «vedrà» il Risorto nel seguito del racconto evangelico.
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