Commento alle letture del 14 Febbraio 2010

a cura di don Gerardo Antonazzo

Il ricco patrimonio spirituale ebraico, concentrato soprattutto nella raccolta sapienziale dei Salmi (Sal 1), inizia con una "beatitudine": è la prospettiva di una piena felicità, riservata all’uomo veramente "religioso", che sa orientare la sua vita verso la Legge di Dio e trova in essa il suo compiacimento attraverso gli strumenti della lettura e della meditazione diuturna.
Il Salmo 1, che oggi la preghiera della Comunità cristiana utilizza per rispondere alla pro-vocazione della Parola, non ha la funzione soltanto di "primo" salmo rispetto alla lunga e complessa raccolta, ma disegna l’ "ingresso" dell’orante nella logica di Dio, introduce l’anima dell’orante nell’anelito della gioia vera: qualunque sia la sua situazione di vita, povertà o ricchezza, salute o malattia, amicizia o tradimento, non dovrà mai dubitare di Dio, certo che soltanto grazie a Lui ritroverà luce e salvezza.
La Parola di questa Domenica vuole rigenerare la vita del discepolo intorno alla vera Beatitudine: "Beato l’uomo che confida nel Signore". Ma questa verità è grandemente illuminata dal suo opposto, che non è pleonastico: "Maledetto l’uomo che confida nell’uomo" (I Lett.).
E’ questo il vero problema, è questo il dramma della fragilità umana: la presunzione, alimentata dalla pretesa che si possa, o si debba, fare a meno di Dio per essere pienamente felici. "Dio ti limita!":è tutto qui l’inganno del serpente su Eva e Adamo, come su ciascuno di noi.
Il "grande peccato" che spesso la parola profetica condanna è l’idolatria; ma questa, a sua volta, è generata dalla sfiducia in Dio.
E’ la pretesa di autosufficienza che sta a fondamento anche della grande Torre che anche ai nostri tempi in tanti concorrono a costruire nella Babele delle nostre confusioni.
E’, insomma, la rivolta dell’uomo contro le "pretese di Dio", contro le sue "restrizioni", vincoli e proibizioni. I suoi comandamenti soffocano la libertà dell’uomo. Meglio liberarsi dalle catene imposte da un Dio che, malato di gelosia, schiavizza e soggioga l’esistenza umana.
L’annuncio dato da Gesù nella pagina programmatica della nuova realtà del Regno, rivela il volto di un Dio liberatore dell’uomo. Dio vuole bene alla sua creatura: "Ed egli, alzati gli occhi verso i suoi discepoli diceva…". Sono gli occhi della tenerezza con cui Gesù posa la sua attenzione sulle nostre condizioni di vita: prima di parlare, guarda, con tutta la sua compassione, la nostra reale esistenza impantanata nelle diverse forme di miseria che ci rendono miserabili. Il suo insegnamento non passa sopra le nostre teste: la sua parola penetra, e perciò illumina dal di dentro, e ci orienta verso ciò che fa la nostra vera felicità. Senza costrizioni, né illusioni, né inganni.
Il Maestro vuole bene alla nostra storia, e quindi la riscatta dalle falsità su Dio e dal pensare male di Lui. Restituisce così a ciascuno la possibilità di recuperare una "vita beata". E dopo aver dato inizio alla comunità dei Dodici ("disceso con i Dodici"), germe del nuovo popolo di Dio, Gesù, alla pari di ogni buon legislatore, detta la nuova "legge" che regola l’appartenenza a questa realtà di uomini e donne da lui chiamati a costituire la sua "nuova famiglia", primizia del "regno dei cieli" ("vostro è il Regno di Dio").

L’insegnamento di Gesù inaugura le esigenze della signoria di Dio.
Gesù mentre insegna traduce nella vita le sue stesse parole. "Le Beatitudini sono promesse nelle quali risplende la nuova immagine del mondo e dell’uomo che Gesù inaugura, il "rovesciamento dei valori"…Se l’uomo comincia a guardare e a vivere partendo da Dio, se cammina in compagnia di Gesù, allora vive secondo nuovi criteri e allora un po’ di èschaton, di ciò che deve viene, è già presente adesso" (Benedetto XVI, Gesù di Nazareth, pag. 95).
Beatitudine o godimento? Il testo di s. Luca, riletto con lo sguardo rivolto anche al testo di s. Matteo, mette nel cuore del discepolo un’ energica forza di rottura con la logica del mondo, che è logica di godimento.
La logica delle Beatitudini del vangelo boccia la logica del godimento del mondo, alimentato dall’egoismo: chi legge con attenzione il testo scopre che le Beatitudini sono come una nascosta biografia interiore di Gesù, un ritratto autentico della sua figura.
Di conseguenza, le Beatitudini sono dei segnali stradali che indicano la strada anche al discepolo che, riscattato dall’attrazione di ogni soddisfazione egoistica, si educa a riconoscere in Cristo il suo vero modello di vita.
"Qual è stato fino ad oggi sulla terra il più grande peccato? Non forse la parola di colui che disse: Guai a coloro che ridono? E contro le promesse di Cristo dice: Noi non vogliamo assolutamente il regno dei cieli. Siamo diventati uomini, vogliamo il regno della terra" (F. Nietzsche).
Il chiamato deve saper discernere i "luoghi" dove fare esperienza di beatitudine. Dov’è la vera gioia della vita?
Questi "dove" non sono in se stessi la beatitudine, ma ne costituiscono la condizione, cioè la via di accesso: non si è beati, dunque, perché "poveri", perché in se stessa la povertà non sarà mai beatitudine per nessuno; la condizione di beatitudine, invece, si concretizza nel "possedere il regno dei cieli", grazie alla scelta di vivere nella "povertà di spirito". E così per tutte le altre beatitudini!
L’insieme delle Beatitudini esprime il significato profondo e radicale del vero discepolato, perché ne evidenziano il carattere Cristologico, cioè il riferimento decisivo a Cristo Gesù. Ogni discepolo del regno è tale perché legato al mistero di Cristo. Ancora di più: le Beatitudini, ci ricorda ancora Benedetto XVI, sono "la trasposizione della croce e della risurrezione nell’esistenza dei discepoli. Esse, però, hanno valore per il discepolo perché prima sono state realizzate prototipicamente in Cristo stesso".
Le Beatitudini indicano i veri "luoghi della speranza" dell’uomo: gli atteggiamenti contrari, invece, tengono l’uomo legato a ciò che è apparente, provvisorio, illusorio, e facendogli perdere il senso di Dio e del prossimo, lo mandano in rovina, perché lo degradano rispetto alla elevatezza della sua vocazione.  (omelie.org)