Come accorgersi quando un blog condiziona la nostra vita di fede

da Avvenire

Con giusta ragione, la blogger Emilia Flocchini (Testimoniando) mi ha indicato, alcuni giorni fa, un post di Una penna spuntata ( tinyurl.com/y6zdffnn ) “decisamente in tema” con questa rubrica. Sono andato su tale blog e sotto il titolo «E se essere cristiani social facesse più male che bene?» (29 marzo) ho trovato descritti alcuni tipi di “pressioni” che la frequentazione «dei social network e della blogosfera» esercita su di noi, «finendo col fare più male che bene alla nostra vita di fede». Sintetizzando al massimo i punti del post, che invece argomenta in lungo e in largo le sue tesi, si tratta: 1) della frustrazione che può venirci dalle altrui vite che in Rete appaiono perfettamente armoniche, anche in riferimento alla fedeltà al Vangelo; 2) della coazione all’odio suscitata dalla frequentazione di “influencer” religiosi dalla sensibilità opposta alla nostra, ma che non sappiamo rinunciare a seguire; 3) del rischio di pensare che sia più facile “copiare” determinati modelli che si esibiscono in Rete piuttosto che sforzarci di aderire al modello del Vangelo. Temi stuzzicanti svolti da Lucia Graziano, autrice del blog, con il suo stile vivace, mai insipido (è dal 2005 che propone «agiografia, chicche di storia e di storia della Chiesa, lifestyle cristiano – tutto condito con un sorriso!», come si legge sulla pagina Facebook). Merita anche conoscere la fonte che in questo caso ha ispirato Una penna spuntata: l’ultimo libro di tale Heather Lindsay, lei stessa blogger «ossessionata da Gesù» ( tinyurl.com/y5pmm3pb ), youtuber con 157mila iscritti (su Facebook invece i seguaci della pagina sono più di 400mila), fondatrice di una sorta di movimento di donne cristiane, The Pinky Promise (60mila associate), e successivamente, insieme al marito, di una Chiesa evangelicale indipendente ad Atlanta (Georgia). Giusto per dire che la predica originaria è venuta dal pulpito di un’affermata “industria” della fede online. Alla quale preferisco le “artigiane” come Lucia Graziano ed Emilia Flocchini, povere di mezzi ma non di creatività e buona fede.