Clericalismo

di: Andrea Lebra

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«Il clericalismo è una vera perversione nella Chiesa. Il pastore ha la capacità di andare davanti al gregge per indicare la via, stare in mezzo al gregge per vedere cosa succede al suo interno, e anche stare dietro al gregge per assicurarsi che nessuno sia lasciato indietro. Il clericalismo invece pretende che il pastore stia sempre davanti, stabilisce una rotta, e punisce con la scomunica chi si allontana dal gregge. Insomma: è proprio l’opposto di quello che ha fatto Gesù. Il clericalismo condanna, separa, frusta, disprezza il popolo di Dio» (papa Francesco, dialogo del 5 settembre 2019 con i gesuiti di Mozambico e Madagascar).

Secondo Daniele Menozzi, storico delle religioni e docente di Storia contemporanea alla Scuola Normale Superiore di Pisa, nei 7 anni di pontificato di Benedetto XVI il termine clericalismo è stato usato una sola volta, il 10 giugno 2010, in occasione di un incontro internazionale di presbiteri con papa Ratzinger.

Nei sette anni di servizio petrino di papa Francesco, dal marzo 2013 al marzo 2020, il vocabolo, ben distribuito nel tempo, torna – sempre secondo il conteggio effettuato da Daniele Menozzi – 55 volte. Per questo motivo vi è chi lo considera addirittura come «termine chiave per definire la direzione principale» del cammino ecclesiale indicato dall’attuale vescovo di Roma.

L’insistenza con la quale papa Francesco denuncia la «peste» nonché la «piaga» o la «perversione» del clericalismo nella Chiesa induce, infatti, a ritenere che non siamo di fronte ad affermazioni estemporanee o ad effetto, ma ad un chiaro pensiero teologico e pastorale. Significativo quanto papa Francesco confidò a Eugenio Scalfari nell’intervista del 1° ottobre 2013: «Quando ho di fronte un clericale, divento anticlericale di botto. Il clericalismo non dovrebbe aver niente a che vedere con il cristianesimo».

Spostamento semantico del termine clericalismo: da Léon Gambetta a papa Francesco

Prima di richiamare il ricco magistero di papa Francesco sul clericalismo nella Chiesa, è utile accennare alla storia del termine, dal momento che esso, nel tempo, ha subìto un sensibile cambiamento.

Le origini risalgono alla metà del secolo XIX e alle polemiche – soprattutto in Francia – contro il potere temporale della Chiesa da parte di chi, sotto l’influsso del razionalismo illuministico, l’avversava. Celebre l’invettiva di Léon Gambetta del 4 maggio 1877 («le cléricalisme, voilà l’ennemi») che diventò il motto del separatismo repubblicano.

In passato con il vocabolo clericalismo si definiva la tendenza, da parte del potere ecclesiastico, a uscire dall’ambito religioso per intervenire in quello della società civile e dello Stato al fine di «determinarne le scelte e gli orientamenti, utilizzando come strumento di intervento il clero e le sue organizzazioni laicali, indirizzate così verso attività che esulano dai fini per i quali sono state create».

Nel linguaggio di papa Francesco, invece, assistiamo ad uno spostamento semantico del lemma. Il clericalismo non è (più) concepito come un qualcosa di esterno alla Chiesa che ha a che fare con una sua indebita ingerenza nelle questioni temporali, ma essenzialmente come qualcosa di interno alla Chiesa, che rischia di stravolgerne la natura profonda ed evangelica.

Esso è il sintomo grave della fatica che, in maniera diversa, tutti facciamo per superare la visione piramidale della Chiesa come società perfetta e diseguale che, identificando nei pastori, con al vertice il papa, la Chiesa docente e, nel resto del popolo di Dio la Chiesa discente, finisce con il produrre una «scissione» nel corpo della comunità dei credenti, sacralizzando in modo indebito il ministero presbiterale e ponendo in una posizione di sudditanza i fedeli laici.

Nonostante il concilio ecumenico Vaticano II abbia affermato chiaramente che tra i membri del popolo di Dio «vige una vera eguaglianza riguardo alla dignità e all’azione comune a tutti i fedeli nell’edificare il corpo di Cristo», da un punto di vista della prassi ecclesiale tale affermazione non ha ancora lasciato segni particolarmente evidenti e il clericalismo, nell’accezione di papa Francesco, continua a caratterizzare vasti settori del mondo ecclesiale.

Di seguito, raggruppati in sette titoli, gli interventi più rilevanti del vescovo di Roma in tema di clericalismo.

Il clericalismo è un modo anomalo di intendere l’autorità nella Chiesa

In quanto sinonimo di autoritarismo, il clericalismo è un «modo anomalo di intendere l’autorità nella Chiesa», un modo «non evangelico» di concepire il ruolo ecclesiale del presbitero, «una caricatura e una perversione del ministero» del vescovo, un pericolo dal quale devono guardarsi anche i diaconi e che può esporre altresì «le persone consacrate al rischio di perdere il rispetto per il valore sacro e inalienabile di ogni persona e della sua libertà».

Essenzialmente, il clericalismo è l’atteggiamento tipico di chi – vescovo, presbitero, diacono, religioso – concepisce «il proprio ministero come un potere da esercitare piuttosto che come un servizio gratuito e generoso da offrire» , ritenendo di avere risposte sempre pronte per tutte le domande senza avvertire il bisogno di ascoltare e imparare.

Il clericalismo è assenza di sinodalità, cioè di quel «cammino che Dio si aspetta dalla Chiesa del terzo millennio» e che può essere considerato alla stregua della «cartella clinica che descrive lo stato di salute della Chiesa». «Oggi più del 60% delle parrocchie (…) non hanno il consiglio per gli affari economici e il consiglio pastorale. Questo cosa vuol dire? Che quella parrocchia e quella diocesi è guidata con uno spirito clericale, soltanto dal prete, che non attua quella sinodalità parrocchiale, quella sinodalità diocesana, che non è una novità di questo papa».

Il clericalismo «è la ricerca personale di voler occupare, concentrare e determinare gli spazi minimizzando e annullando l’unzione del popolo di Dio. Il clericalismo, vivendo la chiamata in modo elitario, confonde l’elezione con il privilegio, il servizio con il servilismo, l’unità con l’uniformità, la discrepanza con l’opposizione, la formazione con l’indottrinamento. Il clericalismo è una perversione che, da un lato, favorisce legami funzionali, paternalistici, possessivi e perfino manipolatori con il resto delle vocazioni nella Chiesa», dall’altro, alimenta «atteggiamenti altezzosi, arroganti o prepotenti» che impediscono alla Chiesa di stare «dentro il mondo, per farlo fermentare come lievito nella pasta».

In quanto «opposto di quello che ha fatto Gesù, il clericalismo condanna, separa, frusta, disprezza il popolo di Dio», «ha come conseguenza la rigidità», codifica «la fede in regole e istruzioni, come facevano gli scribi, i farisei e i dottori della legge del tempo di Gesù».

Il clericalismo è una perversione che rinnega la promessa gratuita di Dio

Nell’atteggiamento dei vignaioli ribelli evidenziato dalla parabola evangelica (Mt 21,33-45) che, pur consapevoli di essere solo amministratori della vigna, se ne credono padroni, Francesco vede «l’inizio del clericalismo», «perversione che rinnega sempre l’elezione gratuita di Dio, l’alleanza gratuita di Dio, la promessa gratuita di Dio».

«Il clericalismo dimentica che Dio si è manifestato come dono e si è fatto dono per noi»: un dono da condividere «come dono e non come possesso nostro». Il dono divino, che «è ricchezza, apertura e benedizione», non può essere chiuso e ingabbiato in una dottrina o in tante leggi: non può neppure essere ridotto alla stregua di una «ideologia moralistica» talmente «piena di precetti» e di casistiche da risultare talvolta ridicola. La sua ricchezza non può essere ridimensionata dai «capricci ideologici della (nostra) mente».

Dimenticare che la Chiesa, popolo di Dio, è una realtà che nasce dal dono divino, che vive di esso e che ha il compito di ridonarlo all’umanità senza appropriarsene, è «il grande peccato». Bisogna, dunque, chiedere al Signore la grazia di «ricevere il dono come dono», senza accaparrarselo, e di renderlo disponibile per il popolo di Dio non in «modo settario, rigido e clericalista», ma – come si addice alla natura del dono – in modo gratuito e generoso.

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Il clericalismo è come il tango: lo si balla sempre in due

Il clericalismo «non è solo dei chierici: è un atteggiamento che tocca tutti noi». Si può affermare che sia un «peccato a due mani», perché ad una parte consistente di «clero» piace la tentazione di clericalizzare i laici, ma tanti laici, in ginocchio, chiedono di essere clericalizzati, perché è più comodo e meno responsabilizzante. Una sorta, dunque, di clericalismo attivo, voluto e alimentato dal clero, e di clericalismo passivo, accettato e subìto dal laicato.

Il clericalismo «è come il tango che si balla in due». «Non ci sarebbe il clericalismo se non ci fossero laici che vogliono essere clericalizzati».

Di qui l’esortazione rivolta ai presbiteri: «lasciate lavorare i laici in pace, non clericalizzateli». «È importante proporre sempre modelli positivi di collaborazione fra laici, sacerdoti e consacrati, fra i pastori e i fedeli, fra organismi diocesani e parrocchiali, movimenti e associazioni laicali, fra giovani e anziani, evitando contrapposizioni e antagonismi sterili e incoraggiando sempre una fraterna collaborazione in vista del bene comune dell’unica famiglia che è la Chiesa».

Il clericalismo non riconosce il sacerdozio comune dei battezzati

Il clericalismo «mantiene ai margini delle decisioni» i laici o li «richiude in sacrestia», soffocando la specificità della loro «chiamata alla santità nel mondo attuale». Ma i laici non devono avere «paura di calpestare le strade, di entrare in ogni angolo della società, di giungere fino ai limiti della città, di toccare le ferite della nostra gente».

Nella Chiesa i laici non sono chiamati a fare i replicanti, cioè a «ripetere come pappagalli» quello che dicono vescovi, presbiteri, religiosi e non possono neppure essere considerati da questi ultimi alla stregua di «servi» o di «impiegati». Il clericalismo è, pertanto, da considerare come «una delle tentazioni che arrecano maggior danno al dinamismo missionario che siamo chiamati a promuovere», in quanto «caricatura della vocazione ricevuta» e «mancanza di consapevolezza del fatto che la missione è di tutta la Chiesa e non solo del prete o del vescovo».

Il clericalismo è un «atteggiamento che non solo annulla la personalità dei cristiani, ma tende anche a sminuire e a sottovalutare la grazia battesimale che lo Spirito Santo ha posto nel cuore della nostra gente», portando «a una omologazione del laicato». Trattando quest’ultimo come mandatario, «limita le diverse iniziative e sforzi e (…) le audacie necessarie per poter portare la Buona Novella del Vangelo a tutti gli ambiti dell’attività sociale e soprattutto politica». Il «grave pericolo» del clericalismo va superato «valorizzando il sacerdozio comune dei battezzati e riscoprendo il laicato come vocazione».

Il clericalismo è «non rendersi conto che la Chiesa è tutto il santo popolo fedele di Dio, che è infallibile in credendo, tutti insieme» e questo è «il danno più grave che può subire oggi la Chiesa».

Alla fine dei conti, si ha clericalismo quando «i laici non sanno che cosa fare, se non lo domandano al prete».

Il clericalismo mortifica il discepolato missionario

Il clericalismo è soprattutto una tentazione molto attuale contro il discepolato missionario. Ad esso va attribuita in gran parte la mancanza di maturità e di libertà cristiana del laicato. «La proposta dei gruppi biblici, delle comunità ecclesiali di base e dei Consigli pastorali vanno nella linea del superamento del clericalismo e di una crescita della responsabilità laicale».

La Chiesa in uscita missionaria sognata da Francesco esce per le strade, difendendosi non solo dalla mondanità, dall’immobilismo, dalle comodità e dalle chiusure, ma anche dal clericalismo.

«Chiesa in uscita» è sinonimo di «laicato in uscita». È necessario alzare lo sguardo e guardare «fuori», guardare «ai molti lontani del nostro mondo, alle tante famiglie in difficoltà e bisognose di misericordia, ai tanti campi di apostolato ancora inesplorati, ai numerosi laici dal cuore buono e generoso che volentieri metterebbero a servizio del Vangelo le loro energie, il loro tempo, le loro capacità se fossero coinvolti, valorizzati e accompagnati con affetto e dedizione da parte dei pastori e delle istituzioni ecclesiastiche. Abbiamo bisogno di laici ben formati, animati da una fede schietta e limpida, la cui vita è stata toccata dall’incontro personale e misericordioso con l’amore di Cristo Gesù.

Abbiamo bisogno di laici che rischino, che si sporchino le mani, che non abbiano paura di sbagliare, che vadano avanti. Abbiamo bisogno di laici con visione del futuro, non chiusi nelle piccolezze della vita. E l’ho detto ai giovani: abbiamo bisogno di laici col sapore di esperienza della vita, che osano sognare. Oggi è il momento in cui i giovani hanno bisogno dei sogni degli anziani. In questa cultura dello scarto non abituiamoci a scartare gli anziani! Spingiamoli, spingiamoli affinché sognino e – come dice il profeta Gioele – abbiano sogni, quella capacità di sognare, e diano a tutti noi la forza di nuove visioni apostoliche».

Il clericalismo alimenta l’autoreferenzialità

La tentazione del clericalismo è particolarmente dannosa per la Chiesa perché «implica un atteggiamento autoreferenziale, un atteggiamento di gruppo, che impoverisce la proiezione verso l’incontro del Signore, che ci fa discepoli, e verso gli uomini che aspettano l’annuncio». Conseguentemente è «importante e urgente formare ministri capaci di prossimità, di incontro, che sappiano infiammare il cuore della gente, camminare con loro, entrare in dialogo con le sue speranze ed i suoi timori. Questo lavoro, i vescovi non lo possono delegare. Lo devono assumere come qualcosa di fondamentale per la vita della Chiesa, senza risparmiare sforzi, attenzioni e accompagnamento».

L’autoreferenzialità che sfocia in una specie di «narcisismo» il quale, a sua volta, si presenta come fertile terreno di un «sofisticato clericalismo». Ci si deve augurare che «la dolce e confortante gioia di evangelizzare» possa salvare i vescovi dall’essere «scapoloni clericali» e liberarli dalla tentazione di macchiare il loro servizio episcopale con gli orpelli, oltre che della «mondanità e del «denaro», anche del «clericalismo da mercato».

Presente ai tempi di Gesù e ancora oggi nella Chiesa, il clericalismo «è una prepotenza e tirannia» verso il popolo fedele di Dio assimilabile a quella perpetrata dai sommi sacerdoti che, dimenticando Abramo e Mosè, hanno strumentalizzato la legge di Dio creandone una «intellettualistica, sofisticata, casistica». Un atteggiamento «che toglie la libertà della fede dei credenti». «È più preoccupato a dominare spazi che a generare processi», «ha come vizi l’arrampicamento e il chiacchiericcio», «il carrierismo e il familismo», «la mondanità e il pettegolezzo».

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Il clericalismo spegne la profezia

«Il clericalismo, lungi dal dare impulso ai diversi contributi e proposte, va spegnendo poco a poco il fuoco profetico di cui l’intera Chiesa è chiamata a rendere testimonianza nel cuore dei suoi popoli».

Il concilio Vaticano II ha affidato alla Chiesa il mandato «di spingere i fedeli laici a coinvolgersi sempre più e meglio nella missione evangelizzatrice della Chiesa, non per delega della gerarchia, ma in quanto il loro apostolato è partecipazione alla missione salvifica della Chiesa, alla quale sono tutti deputati dal Signore per mezzo del battesimo e della confermazione (LG 33). E questa è la porta d’entrata! Alla Chiesa si entra per il battesimo, non per l’ordinazione sacerdotale o episcopale, si entra per il battesimo! E tutti siamo entrati attraverso la stessa porta. È il battesimo che fa di ogni fedele laico un discepolo missionario del Signore, sale della terra, luce del mondo, lievito che trasforma la realtà dal di dentro».

Quando nella Chiesa viene a mancare la profezia, manca la vita stessa di Dio e ha il sopravvento il clericalismo. Il profeta è colui che ascolta le parole di Dio, sa vedere e interpretare il momento presente e proiettarsi sul futuro. «Ha dentro di sé questi tre momenti»: il passato, il presente e il futuro. Il passato è rappresentato dalla promessa di Dio che il profeta ha in cuore, ricorda e ripete. Il presente è costituito dallo sguardo rivolto al popolo e dalla forza dello Spirito che suggerisce al profeta le parole adatte per aiutare il popolo ad alzarsi e a continuare il cammino verso il futuro.

Il clericalismo è un male che allontana dalla Chiesa il popolo e specialmente i giovani, rende infantili i fedeli laici, riduce a serve le donne le quali, nella Chiesa, vanno valorizzate e non clericalizzate.

È davvero un «brutto male che ha radici antiche» e «ha sempre come vittima il popolo povero e umile» perché, a dirla tutta, impedisce di trovare il «tempo per ascoltare i sofferenti, i poveri, gli ammalati e i carcerati» i quali «appartengono alla Chiesa per diritto evangelico e obbligano all’opzione fondamentale per loro». La Chiesa deve dimostrare di essere «capace di porsi al servizio del suo Signore nell’affamato, nel carcerato, nell’assetato, nel senzatetto, nel denudato, nel malato… (cf. Mt 25,35)», nella consapevolezza che «il problema non sta nel dar da mangiare al povero, vestire il denudato, assistere l’infermo, ma nel considerare che il povero, il denudato, il malato, il carcerato, il senzatetto hanno la dignità di sedersi alle nostre tavole, di sentirsi a casa tra noi, di sentirsi in famiglia. Quello è il segno che il regno di Dio è in mezzo a noi».

Settimananews