Chiesa & Diocesi RIFLESSIONE La musica sacra “è” liturgia

pianoforte

Sono rimasta piacevolmente sorpresa di come la lettera «Cantate, cantate al Signore!» dell’arcivescovo Delpini abbia suscitato un iniziale dibattito proprio sulla vexata quaestio della musica per la liturgia. Tutto ciò è segno della consapevolezza del valore e dell’importanza della musica nel celebrare cristiano per la partecipazione attiva dei fedeli. Desidero a tale proposito offrire ulteriori riflessioni, per mettere ancor più in luce la profondità e la complessità della questione, che non può risolversi semplicemente con l’uso di alcuni canti o strumenti al posto di altri.

Cosa dice il Concilio

Innanzitutto, è opportuno richiamare il dettato conciliare (ripreso anche dai Vescovi italiani nella Presentazione alla terza edizione italiana del Messale Romano, n. 3) sulla musica liturgica: «Il canto sacro, unito alle parole, è parte necessaria ed integrante della liturgia solenne […] Perciò la musica sacra sarà tanto più santa quanto più strettamente sarà unita all’azione liturgica» (SC 112).

La musica non è, quindi, una aggiunta alla liturgia semplicemente per renderla più festosa, gioiosa, per coinvolgere i fedeli, per risolvere il problema della eventuale “noia” causata dalla ripetitività rituale. Se la musica è parte integrante della liturgia, significa che essa stessa è liturgia, che non è qualcosa di esterno che si aggiunge al rito, ma che contribuisce alla realizzazione/manifestazione del Mistero della salvezza. La domanda che dovremmo porci è perché, a quasi 60 anni dal Concilio, consideriamo ancora la musica come qualche cosa di esterno alla liturgia, di accessorio, e quindi “meritevole” di poca attenzione.

Un’armonia fondamentale

Il Concilio mette in luce come la santità della musica dipenda dalla relazione con l’azione liturgica, cioè i canti, le melodie, ogni intervento cantato deve divenire un elemento integrante e autentico della celebrazione. Infatti, è di fondamentale importanza l’armonia tra i diversi linguaggi liturgici: musica, parola, gesto dovrebbero sostenersi a vicenda, suscitando i medesimi pensieri, sentimenti. La musica deve aderire ai testi, essere in consonanza con il tempo e il momento liturgico, corrispondere ai gesti liturgici. «I vari momenti liturgici esigono, infatti, una propria espressione musicale, atta di volta in volta a far emergere la natura propria di un determinato rito, ora proclamando le meraviglie di Dio, ora manifestando sentimenti di lode, di supplica o anche di mestizia per l’esperienza dell’umano dolore, un’esperienza tuttavia che la fede apre alla prospettiva della speranza cristiana». (Giovanni Paolo II, Chirografo per il centenario del Motu proprio “Tra le sollecitudini” sulla musica sacra (22 novembre 2003, n. 5).

Favorire e non allontanare

Per questo motivo bisogna anche guardarsi da quei canti eccessivamente “invadenti”, carichi a livello emotivo, che invece di favorire la preghiera, allontanano dal senso del gesto a cui corrispondono.

A tale proposito è di fondamentale importanza considerare come la musica porti con sé i contesti in cui viene ascoltata; le melodie utilizzate nella liturgia e soprattutto il modo con cui vengono suonate e cantate, non devono richiamare esperienze lontane dall’orizzonte liturgico. Cosa vive un giovane quando nella preghiera si utilizzano melodie e modalità esecutive molto simili a quelle di cantautori contemporanei, alla musica utilizzata in altri contesti? I canti e la musica nella liturgia, relativamente ai testi, alle melodie, alla modalità esecutiva (è molto diverso suonare la chitarra arpeggiando dal suonare “zappando” con forza sulle corde) devono mantenere una “differenza” rispetto all’utilizzo della musica in altri contesti (questo non significa che non debbano intercettare la sensibilità culturale ed ecclesiale dei fedeli). Pensiamo al modo di cantare il salmo responsoriale: la voce non deve essere impostata come nella lirica, deve essere modulata in modo da servire la Parola, per favorire la meditazione dei fedeli e non per mostrare le doti del salmista.

L’importanza della formazione

Ridare attenzione alla musica per la liturgia significa non cedere alla tentazione dei risultati immediati, scegliendo quello che piace di più o che sembra coinvolgere maggiormente al momento, ma percorrere la via lunga della formazione liturgico musicale.

L’assenza delle giovani generazioni (e non solo) alla celebrazione eucaristica domenicale è dovuta, oltre al contesto in cui viviamo, anche alla presenza troppo marginale di una solida formazione liturgica (e liturgico – musicale) nei cammini di iniziazione cristiana e nella pastorale giovanile.

Non si entra nella liturgia cambiandola a nostra “immagine e somiglianza”, lasciandoci guidare nella scelta dei canti dal criterio del “mi piace” o “non mi piace”, ma attraverso una educazione graduale e progressiva alla liturgia.

Spesso, nell’illusione di sostenere la partecipazione dei fedeli, ci siamo orientati verso musiche e testi banali; ma la liturgia richiede una musica che sia “vera arte”, perché solo così potrà esprimere il Mistero che si celebra. Questo non significa che dobbiamo assumere un repertorio complesso, difficile, che non intercetti la sensibilità culturale ed ecclesiale dei fedeli; sono molte le composizioni liturgiche contemporanee semplici, adatte alle nostre assemblee, alla capacità degli strumentisti, dei coristi, ma che allo stesso tempo possiedono il senso della preghiera, della dignità e della bellezza (Paolo VI, Discorso ai partecipanti all’assemblea generale dell’Associazione Italiana Santa Cecilia, 18 settembre 1968, in Insegnamenti VI, 1968, 479).

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