Chi è per la guerra alzi la mano. Chi la alzerebbe? Chi si sentirebbe di farlo a cuor leggero? Chi sarebbe contro la pace?

Gli appelli alla pace si moltiplicano esponenzialmente, e nel nostro paese le fonti a cui si attinge con maggior frequenza particolare sono papa Francesco e la Costituzione italiana. Il primo richiama tutti al fatto che la guerra è disumana ed è una follia; la seconda sancisce che il nostro paese ripudia la guerra.

Questi gli appelli a caldo. Ma a freddo le cose sembrano un tantino più da articolare, a motivo del fatto che una cosa sono i principi senza situazioni, e un’altra sono le situazioni che sfidano i principi.

Non confondere i principi con le norme

Chi è per la pace dia una mano. Di fronte alle situazioni i principi si spogliano del loro aureo onore e si sobbarcano dell’onere dell’agone, che consiste in un travaglio pari al bruco che diventa farfalla: il primo – tanto per parafrasare un proverbio della cultura cinese – vive la fine del mondo, ma grazie a ciò il resto del mondo vede in esso lo spiccare del volo di una farfalla.

Fuori dall’immagine: se un principio per espletare la sua funzione deve essere connotato di semplicità e generalità, e più è semplice e generale più assolve alla sua funzione di dare un’indicazione di condotta, la norma per espletare la sua funzione di difendere e realizzare dei valori in gioco dev’essere connotata di specificità.

Dunque, il principio che «la guerra non è mai giusta» è generale, mentre la norma che prescrive che «questa guerra è lecita» è specifica, ma generalità e specificità non sono dimensioni contraddittorie, ma contrarie della medesima caratteristica logica dell’universalità.

Il principio «non uccidere» non è la norma «non uccidere se non in caso di…». Entrambi possiedono la caratteristica logica dell’universalità, ma il primo è più generale, il secondo è altamente specifico, dato il suo fine che non è quello di ricordare solo il valore che si vuole difendere, ma anche il contesto a cui si fa riferimento nella difesa del valore in oggetto.

Il grado di generalità o il peso specifico dipenderà dalle circostanze, intese non come sinonimo di cose secondarie, ma al contrario come cose che rientrano nella definizione di un atto morale.

Se l’etica teologica non si riduce a fare solo da filodiffusione degli appelli e si ricorda di attingere alla sua grande e ricca tradizione, potrebbe avere modo di scoprire che il solo ma decisivo contributo che può dare alla chiarificazione delle questioni pratiche (poi le soluzioni saranno date comunque dalle politiche) è quello di fornire un metodo per affrontarle dal punto di vista etico.

E dalla correttezza del metodo dipenderà l’accettabilità delle considerazioni proposte (magari pure capaci di creare cultura e influenzare le politiche). E già il solo accenno alla non contraddittorietà tra universalità e specificità ci è offerta da una buona scorta di pratica teorica, che ci può aiutare a non cascare in una considerazione pregiudizievole di un certo modo di fare etica normativa.

A ogni parola usata una domanda posta

Nulla di ciò che una persona può fare sarebbe moralmente lecito e tutto potrebbe diventarlo se si rimane dentro la torre d’avorio dei termini valutativi «guerra» e «pace».

Fa parte di una teoria morale degna di questo nome, inoltre, la chiarezza concettuale per offrire un pensiero morale prima accettabile e in secondo luogo (se siamo anche fortunati) condivisibile.

Pertanto se formuliamo un giudizio negativo sulla guerra e lo facciamo sempre, non dobbiamo fondarlo sull’accezione valutativa del termine «guerra», perché in questa maniera l’equivalenza «guerra ingiusta» e «pace giusta» sarà inevitabile. E se è inevitabile, non sarà possibile porsi alcune domande che potrebbero farci imboccare degli svincoli. Per esempio: esiste una pace ingiusta? Quando, pur raggiungendo una pace, si fa la cosa giusta? Quanto è utile porre la domanda: siamo per la pace o per la guerra? Di quale guerra possiamo accettare il ricorso? Che differenza c’è tra la guerra-offesa e la guerra-difesa? L’uso della forza, sebbene sia sempre un dilemma, corrisponde sempre a un’aggressione? Esiste un diritto alla resistenza moralmente giustificato? L’orrore dell’aggressione e la difesa dell’aggredito: da che cosa farsi polarizzare per ragionare moralmente?

Etica teologica tra realismo e audacia

La rottura della torre d’avorio dei termini valutativi può sprigionare una serie di interrogativi come spero di aver mostrato.

Ma a questi interrogativi ne seguono altri, di carattere più profondo, che si rivolgono direttamente all’etica teologica con l’auspicio che possano servire da pungiglione.

Proviamo a formularli con un «è vero….. tuttavia»:

1) È vero che il «principio della guerra giusta» non regge più di fronte agli aspetti oggettivi dell’atto bellico contemporaneo. Ovvero la guerra, come oggi è possibile condurla, contraddice in profondità il senso stesso della convivenza umana, ponendo la questione relativa all’evidente sproporzione possibile dei mezzi rispetto al fine da raggiungere. Tuttavia può essere data per scontata la soluzione che non esiste fine che giustifichi il mezzo-guerra? L’etica teologica non può confondere il disuso di un principio con i motivi che, invece, lo hanno portato un tempo in auge.

2) È vero che la guerra non è più da considerare lo strumento di giustizia per realismo politico, ovvero si dispone – e sono sempre auspicabili oggi – di forme di mediazione (diplomazia, dichiarazioni, azioni di istituzioni internazionali, voce profetica delle Chiese ecc..). Tuttavia di quale guerra si parla? Si tratta di un escamotage per giustificare azioni contrarie a principi che la maggioranza degli uomini considera non negoziabili, oppure di un livello di ragionamento morale che si concentra non sulla bruttura della guerra ma sui valori quando – ahimè – questi entrano in conflitto? L’etica teologica non può confondere quello che è pacifico con quello che è conflittuale, senza che questo significhi per forza mostrare un animo corrotto.

3) È vero che la pace è elemento sintetico della moralità umana ovvero è un cammino della fraternità umana; tuttavia può essere escluso a priori che tutte le strutture di oppressione che tradiscono e/o non assecondano o impediscono sistematicamente la convivenza umana vadano combattute senza combattere? L’etica teologica non può confondere l’ultima ratio con l’irrazionalità.

4) È vero che la pace è segno di un’altra pace, ovvero se non è segno di quella escatologica non sarà vera pace. Tuttavia se è necessaria tale ragione ultima, può essere sufficiente per un giudizio morale a fondamento di una scelta che tenga conto della realizzazione del bene il cui generale coinvolgimento da parte di tutte le parti preveda umanamente le migliori conseguenze? L’etica teologica non può confondere il ruolo pastorale del magistero con il suo compito di ripensare e non abbandonare i principi di «legittima difesa» e di «uccisione del tiranno».

di Pietro Cognato. Insegna Teologia morale e bioetica presso la Facoltà teologica di Sicilia e l’Istituto di studi bioetici S. Privitera. Tra le sue opere Fede e morale tra tradizione e innovazione. Il rinnovamento della teologia morale (2012); Etica teologica. Persone e problemi morali nella cultura contemporanea (2015). Morale autonoma in contesto cristiano (2021). Ha curato inoltre diverse voci del Nuovo dizionario di teologia morale (2019).
Fonte: ilregno.it