Chernobyl. 36 anni dopo la catastrofe il mondo di nuovo nell’incubo atomico

Zelensky: «Per i russi l’impianto era un normale campo di battaglia» L’incontro con il capo dell’Aiea al sito per l’anniversario. Washington a Lavrov: «La retorica nucleare è pericolosa»
Il sito di Chernobyl è stato occupato dai russi dalla fine di febbraio a quella di marzo

Il sito di Chernobyl è stato occupato dai russi dalla fine di febbraio a quella di marzo – Ansa

Atrentasei anni da quando il mondo si trovò ad affrontare la prima vera catastrofe atomica, l’incubo torna. E lo fa, per tragica ironia, proprio dove, il 26 aprile 1986, la minaccia è diventata tangibile nella forma della nube tossica sprigionata da un guasto alla centrale nucleare di Chernobyl. Stavolta, però, non si tratta di un incidente. L’invasione russa dell’Ucraina ha fatto alzare la preoccupazione a livelli massimi. Gli scontri sono arrivati a ridosso dell’impianto e, alla fine di febbraio, i russi lo hanno addirittura occupato, per lasciarlo un mese dopo. «Il mondo era ancora una volta sull’orlo del disastro, perché per l’esercito russo la zona e l’impianto erano come un normale campo di battaglia», ha sottolineato ieri il presidente Volodymir Zelensky durante una conferenza stampa con il capo dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica dell’Onu Rafael Grossi, che ha parlato di un «fatto pericolosissimo».

Con l’offensiva del Donbass, scatenata nelle ultime settimane dal Cremlino, si sono intensificati gli attacchi su Zaporizhzhia, dove si trova la centrale nucleare più grande d’Europa e la quinta del pianeta. Certo, l’area è uno snodo cruciale del sud e la Russia ne ha preso il controllo il 4 marzo. Ma la presenza del maxi-impianto non è casuale. Il rischio atomico – continuamente evocato da Mosca, sia in modo diretto sia come in maniera simbolica con la conquista di Chernobyl o Zaporihzhia, ma agitato anche dall’Occidente – è un’arma cruciale del conflitto. «Terrorismo nucleare», lo ha definito il municipio di Slavutych, dove si trova Chernobyl. È la linea rossa che nessuno può permettersi di oltrepassare.

A meno di innescare una reazione uguale e contraria nella controparte. Un caso tipico di coincidenza tra l’interesse del singolo e quello collettivo, come teorizzato dal Nobel per l’Economia, John Nash. Non a caso il suo supervisore di tesi durante il dottorato, in cui sviluppò il primo abbozzo del concetto di “equilibrio” nella teoria dei giochi, era John von Neumann, collaboratore del progetto Manhattan. La storia, tuttavia, spesso, si ribella alle ragione matematica, per i fattori più disparati che, paradossalmente, a volte eccedono le stesse intenzioni dei singoli attori. Ecco perché il continuo agitare allo spettro nucleare rischia di ritorcersi contro gli stessi “agitatori”.

 

 

Appena due giorni fa, il ministro degli Esteri russo, Sergeij Lavrov, ha accusato la Nato di portare avanti un conflitto per procura. Con il «rischio reale» di causare una terza guerra mondiale dato l’arsenale di oltre 6.200 testate di Mosca, quasi la metà del totale mondiale e mille in più di quelle Usa. Una minaccia da non sottovalutare, ha detto il generale Mark Miller, capo degli Stati maggiori congiunti americani. E Lloyd Austin, capo del Pentagono, ha affermato: «Far tintinnare le spade con la retorica nucleare è qualcosa di pericoloso». La stessa Casa Bianca, tuttavia, nelle scorse settimane non ha esitato a impiegare con disinvoltura la strategia muscolare. Tanto che tutte le parti sono state sferzate da Pechino che, negli insoliti panni di pacificatore, le ha esortate alla prudenza. Proprio il dramma ucraino è la dimostrazione dell’inadeguatezza della dottrina della deterrenza a garantire la sicurezza globale.

Eppure finora nessuna delle nove potenze atomiche – Gran Bretagna, Francia, Cina, India, Pakistan, Israele e Nord Corea, oltre a Usa e Russia – l’ha messa in discussione. Tranne Kim Jong-un, ma dal versante opposto. Il leader di Pyongyan ha approfittato dell’escalation mondiale per alzare ulteriormente la posta: «Le nostre armi nucleari non possono limitarsi a una missione di prevenzione di una guerra, perché se i nostri interessi fondamentali si trovassero in condizione che non vogliamo, allora dovremmo usare l’arsenale per una missione secondaria». Lo strumento giuridico internazionale per archiviare la deterrenza, tuttavia, ora esiste: il 7 luglio 2017 l’Assemblea generale Onu ha approvato il bando all’atomica, entrato in vigore il 22 gennaio 2021.

Il trattato – promosso dall’International coalition against nuclear weapons (Ican) che, per questo, ha ottenuto il Nobel per la Pace – definisce illegale il possesso delle armi nucleari, non solo il loro impiego. Fin dal principio, gli Stati atomici hanno rifiutato l’accordo. Come i loro alleati, tra cui l’Italia, che ospita quaranta testate Usa. Da qui la forte mobilitazione della campagna “Italia, ripensaci”, portata avanti da Rete italiana pace e disarmo e Senzatomica, partner di Ican.

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