C’era una volta Timbuctù

di ANNA POZZI, foto di BRUNO ZANZOTTERA PARALLELOZERO

Moschee, mausolei, biblioteche e, soprattutto, oltre 20 mila manoscritti antichi: questo il tesoro dell’antica città maliana definita «la regina della sabbia» che è stato distrutto dagli islamisti in fuga. Tale patrimonio testimoniava la vitalità di un islam colto, aperto, ospitale. Un fantasma del passato, ormai?

Alcuni tuareg nel deserto, non lontano dalla città maliana

Alcuni tuareg nel deserto, non lontano dalla città maliana (foto BRUNO ZANZOTTERA PARALLELOZERO).

C‘è sempre voluta molta pazienza e tenacia per arrivare a Timbuctù. Sia che si viaggiasse da nord, dal deserto arido e insidioso, sia che si risalisse da sud, solcando le acque solo apparentemente indolenti del fiume Niger. Timbuctù è una città che si lasciava conquistare a fatica, per poi conquistarti con il suo fascino. Oggi la città dei 333 santi, patrimonio mondiale dell’umanità dell’Unesco, è solo una città conquistata e brutalizzata, violentata e ridotta a poco più che un ammasso di macerie.

Una carovana carica di lastre di sale (detta «azalai» in tamachek) in marcia dalle miniere di Taoudenni verso Timbuctù

Una carovana carica di lastre di sale (detta «azalai» in tamachek) in marcia dalle miniere di Taoudenni verso Timbuctù (foto BRUNO ZANZOTTERA PARALLELOZERO).

Quello che per diversi secoli è stato il centro di commerci fiorenti e di un islam illuminato e colto, è oggi il fantasma di sé stesso, vittima di predoni e terroristi, di trafficanti e islamisti oscurantisti. È città-martire, Timbuctù. La sua gente, i suoi monumenti, il suo passato glorioso sono stati spazzati via dalla furia distruttrice di manipoli di banditiribelli, che si dicono ispirati dalla religione «vera» e non sono altro che trafficanti indottrinati e ottusi, che maneggiano armi e Corano come strumenti di guerra e di morte.

La moschea di Djinguereber, una delle più antiche di Timbuctù

La moschea di Djinguereber, una delle più antiche di Timbuctù (foto BRUNO ZANZOTTERA PARALLELOZERO).

È luogo-simbolo, Timbuctù. Del declino del Mali, squassato da una guerra che è molto più che fratricida. Ma è anche emblema della decadenza di un’intera regione, quella tra Sahara e Sahel, divenuta nel tempo il crocevia di tutti i traffici: esseri umani, armi, droga, sigarette… E su cui si è inserito l’elemento funesto del terrorismo islamista, che negli spazi desertici ha trovato terreno fertile per alimentare la propria follia mortifera, creando reti che attraversano tutta l’Africa, dal Maghreb alla Nigeria, dalla Mauritania alla Somalia.

Una giovane tuareg di un accampamento a nord della città

Una giovane tuareg di un accampamento a nord della città (foto BRUNO ZANZOTTERA PARALLELOZERO).

Alla fine, la soluzione appare, per certi versi, peggiore del problema: l’ennesimo intervento esterno, specificamente quello della Francia, ex potenza coloniale, che non rinuncia a farsi gendarme della «sua» parte di Africa. Ma questo intervento non fa che mettere in evidenza un triplice fallimento: quello di uno Stato, il Mali, con un Governo golpista e un esercito allo sbando; quello di un’intera regione, l’Africa occidentale, che non ha saputo o voluto intervenire tempestivamente; quello dell’Unione Africana che non ci ha neppure provato. Ma anche quello della comunità internazionale che ha guardato inerte e per troppo tempo il proliferare di traffici e terrorismo islamico in una vasta regione, per poi intervenire – o, meglio, lasciar intervenire la Francia – quando era già troppo tardi.

Cavatore di sale nelle miniere di Taoudenni, nel deserto a 800 chilometri a nord di Timbuctù

Cavatore di sale nelle miniere di Taoudenni, nel deserto a 800 chilometri a nord di Timbuctù (foto BRUNO ZANZOTTERA PARALLELOZERO)..

È una linea di frontiera, Timbuctù. Tra due mondi, due regioni. Raccoglie da nord i retaggi della guerra d’Algeria prima e di quella libica poi, in termini di armi e terroristi, salafiti e banditi. E riceve da sud i flussi di droga provenienti dalla Colombia che transitano (soprattutto) per Guinea Bissau e Sierra Leone, per poi risalire verso il deserto, mischiati alle carovane di disperati che cercano, pure loro, una via di accesso al paradiso-fortezza Europa. Una linea di frontiera anche tra popoli, culture, tradizioni e religioni, che si portano appresso ataviche rivalità, ma anche esempi positivi di convivenza pacifica.

Ragazze tuareg di Timbuctù cantano per festeggiare la fine del Ramadan

Ragazze tuareg di Timbuctù cantano per festeggiare la fine del Ramadan (foto BRUNO ZANZOTTERA PARALLELOZERO).

Oggi, in questa terra di mezzo, si può solo cercare di intuire, tra le macerie e l’abbandono, l’eco di un passato glorioso quasi completamente cancellato e l’anelito a un futuro ancora del tutto incerto. Un futuro che, nei desideri dei pochi che vi sono rimasti, sappia almeno di pace. Ormai Timbuctù sopravvive al confine della leggenda. Le due parole che costituiscono il suo nome – Tim, pozzo, e Buctu, ombelico – evocano da sempre un luogo mitico ed epico, che ha ispirato la fantasia di esploratori, avventurieri, scrittori e turisti. Una sorta di chimera – irreale, immaginaria, fiabesca – al punto che molti dubitavano della sua reale esistenza.

Antichi manoscritti musulmani conservati nella città maliana

Antichi manoscritti musulmani conservati nella città maliana (foto BRUNO ZANZOTTERA PARALLELOZERO).

Oggi che Timbuctù è stata quasi cancellata per davvero, ritornano alla mente le parole del pastore battista Yattara, originario proprio di questa città, uno dei rarissimi cristiani presenti. Figlio di quella terra, di quella cultura e di quella tradizione, aveva deciso di lasciare la religione islamica che fa tutt’uno con la storia di questa parte del Mali. Una scelta di rottura, la sua, quand’era un adolescente, vissuta come un intollerabile affronto per la famiglia e la comunità. Una vergogna. Se n’è dovuto andare. Ma è potuto tornare. Perché in fondo, a Timbuctù, c’era ancora spazio per la tolleranza e la convivenza. Almeno sino a ora. Sul tetto della sua casa, in una notte fresca e ingombra di stelle, si lasciava voluttuosamente trasportare dal racconto dei segreti di questa città, regina decaduta ma pur sempre esigente e capricciosa. La guerra, le violenze, l’intolleranza erano pensieri che neppure sfioravano le menti sino a poco tempo fa.

Piroghe lungo il Niger tra Timbuctù e Mopti

Piroghe lungo il Niger tra Timbuctù e Mopti (foto BRUNO ZANZOTTERA PARALLELOZERO).

Secondo il pastore Yattara, Timbuctù ha continuato a esigere da chi voleva avvicinarla tre miracoli: «Innanzitutto, credere che esista», raccontava con un certo compiacimento, «perché l’esistenza di Timbuctù è qualcosa che ormai sconfina nella leggenda. Secondo: riuscire ad arrivarci, impresa ardua nel passato, ma non del tutto semplice neppure oggi. Terzo: riuscire ad andarsene, visto che la storia insegna che molti visitatori trovarono la morte sulla via del ritorno, tra le insidie del deserto». René Caillié, uno dei primissimi esploratori europei a mettervi piede nel 1828, fu anche il primo a riuscire ad andarsene, dopo un viaggio lunghissimo e pieno di insidie, che descrisse nel suo Journal d’un voyage à Temboctou et à Jenné, dans l’Afrique centrale (Diario di un viaggio a Timbuctù e Djenné, nell’Africa centrale). Altri, prima di lui, non ne tornarono vivi. Chissà se il pastore Yattara e la sua famiglia ce l’hanno fatta ad andarsene in tempo…

Una panoramica sulle case di pietra e fango del centro di Timbuctù. La città contava circa 50 mila abitanti prima dell'occupazione islamista

Una panoramica sulle case di pietra e fango del centro di Timbuctù. La città contava circa 50 mila abitanti prima dell’occupazione islamista (foto BRUNO ZANZOTTERA PARALLELOZERO).

Ituareg, che hanno fatto la fortuna loro e di questa città, alimentandone il mito, ne hanno anche decretato la distruzione. E non da oggi. Già nel 1434, approfittando della debolezza del regno malinké, si impadronirono di Timbuctù, che controllarono poi per una quarantina d’anni. E già allora si resero responsabili di razzie, abusi, esazioni e violenze sulle donne. Lo scorso aprile, approfittando questa volta della debolezza del potere centrale di Bamako, vittima di un colpo di Stato militare, gruppi di tuareg indipendentisti – appartenenti al Movimento nazionale di liberazione dell’Azawad (Mnla) – hanno nuovamente conquistato e razziato la città. Sono stati seguiti a breve distanza dai miliziani di Ansar al Dine (i Difensori della religione) che hanno introdotto un elemento di islamismo integralista e jihadista con pesanti conseguenze sulla popolazione e sui monumenti, in gran parte distrutti, perché, ai loro occhi, espressione di un islam non «puro».

Al tramonto alcuni tuareg cuociono il pane con le braci sulla sabbia del deserto

Al tramonto alcuni tuareg cuociono il pane con le braci sulla sabbia del deserto (foto BRUNO ZANZOTTERA PARALLELOZERO).

Strani paradossi: proprio i tuareg – il cui nome, affibbiatogli da altri, ha una valenza dispregiativa e significa «dimenticati da Dio» – sono diventati (non tutti ovviamente) i difensori di un islam radicale e fondamentalista. Così lontano dal loro modo di essere e di dirsi. In questa parte del Mali, infatti, preferiscono farsi chiamare Kel-tamachek, ossia «coloro che parlano il tamachek », o moseg, «gli ultimi uomini liberi ». Ma di libertà, a Timbuctù, oggi ce n’è ben poca, nonostante la “liberazione” francese dello scorso 28 gennaio.

Un tuareg davanti alla moschea-tomba degli imperatori Askia, a Gao, un'altra importante città del Mali settentrionale

Un tuareg davanti alla moschea-tomba degli imperatori Askia, a Gao, un’altra importante città del Mali settentrionale (foto BRUNO ZANZOTTERA PARALLELOZERO).

Altro paradosso: i miliziani che combattevano per l’indipendenza si sono ritrovati schiavi della sharia, per poi essere liberati dall’ex potenza coloniale. Oggi non restano che i racconti e i libri per ritrovare l’antica regina delle sabbie, città ricca di scambi e di commerci, di sale e di oro, di discussioni accademiche e di produzione letteraria. I libri sono stati una delle grandi ricchezze di Timbuctù. E l’ultimo “tesoro” distrutto dagli islamisti in fuga, lo scorso gennaio, sotto i bombardamenti francesi e l’avanzata dell’esercito maliano.

Una giovane nobile tuareg di Timbuctù si sta preparando per un matrimonio

Una giovane nobile tuareg di Timbuctù si sta preparando per un matrimonio (foto BRUNO ZANZOTTERA PARALLELOZERO).

Sin dagli inizi del secondo millennio, infatti, questa città – assediata dalle dune del Sahara e appoggiata a un’ansa del fiume Niger – è stata un importante crocevia di rotte carovaniere, che si dirigevano verso l’Africa nera attraversando il deserto, e da ovest si spingevano sino ai Paesi arabi. Ma con le merci, arrivavano a Timbuctù anche letterati e religiosi, scienziati e filosofi, che qui si incontravano e si confrontavano, in un contesto di grande apertura, vivacità e raffinatezza culturale e religiosa. Alla confluenza di mondi diversi e lontani, Timbuctù ha costruito per quasi otto secoli la sua fortuna e il suo mito, sino all’inesorabile decadenza, decretata dal dirottamento delle vie carovaniere, dall’inarrestabile avanzata del deserto e quindi dalla conquista coloniale.

Un carovaniere carica le lastre di sale sui dromedari prima di partire per il viaggio dalle miniere di Taoudenni a Timbuctù

Un carovaniere carica le lastre di sale sui dromedari prima di partire per il viaggio dalle miniere di Taoudenni a Timbuctù (foto BRUNO ZANZOTTERA PARALLELOZERO)..

Moschee, tombe, mausolei, biblioteche e oltre ventimila manoscritti antichi hanno continuato a testimoniare concretamente la grandezza di questa città. I libri, in particolare, rappresentavano un tesoro unico e preziosissimo. La maggior parte veniva conservata presso il Centre de Recherches Historiques Ahmed Baba (Cedrhab), il Centro di ricerche storiche creato nel 1973 e dato alle fiamme quarant’anni dopo. Lo avevano intitolato ad Ahmed Baba, autore di una cinquantina di opere, che coprono tutti i campi del sapere, e uno dei più importanti studiosi dell’università- moschea di Sankoré, l’unica rimasta insieme a quella di Djinguereber.

Una delle biblioteche di Timbuctù che conservavano antichi manoscritti islamici

Una delle biblioteche di Timbuctù che conservavano antichi manoscritti islamici (foto BRUNO ZANZOTTERA PARALLELOZERO)..

Erano circa 15 mila i manoscritti custoditi in questo Centro, proclamato patrimonio dell’umanità. Molti di carattere religioso: antichi Corani, commenti al libro sacro, trattati di diritto islamico o biografie del profeta con preziose miniature in oro. Opere di valore inestimabile, come pure i testi di ottica, farmacopea, fisica, o un esemplare unico del trattato di medicina in versi di Avicenna del IX secolo, praticamente mille anni fa. Averlo tra le mani pareva un miracolo, che ora non si potrà più ripetere. L’Unesco aveva lanciato un appello per salvare questi tesori unici al mondo. Il sindaco di Timbuctù ha parlato della loro distruzione come di «un vero e proprio crimine culturale». Ma per questi antichissimi manoscritti, come per Timbuctù, ormai – forse – è troppo tardi.

Donne tuareg di Timbuctù festeggiano la fine del Ramadan alla luce dei falò

Donne tuareg di Timbuctù festeggiano la fine del Ramadan alla luce dei falò (foto BRUNO ZANZOTTERA PARALLELOZERO)..

Anna Pozzi – jesus marzo 2013