MERCOLEDÌ 17 AGOSTO 2022 Messa del Giorno MERCOLEDÌ DELLA XX SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO PARI)

Colore Liturgico Verde
Antifona
O Dio, nostra difesa,
guarda il volto del tuo consacrato.
Per me un giorno nel tuo tempio
è più che mille altrove. (Cf. Sal 83,10-11)

Colletta
O Dio, che hai preparato beni invisibili
per coloro che ti amano,
infondi nei nostri cuori la dolcezza del tuo amore,
perché, amandoti in ogni cosa e sopra ogni cosa,
otteniamo i beni da te promessi,
che superano ogni desiderio.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.

Prima Lettura
Strapperò loro di bocca le mie pecore e non saranno più il loro pasto.
Dal libro del profeta Ezechièle
Ez 34,1-11

Mi fu rivolta questa parola del Signore:
«Figlio dell’uomo, profetizza contro i pastori d’Israele, profetizza e riferisci ai pastori: Così dice il Signore Dio: Guai ai pastori d’Israele, che pascono se stessi! I pastori non dovrebbero forse pascere il gregge? Vi nutrite di latte, vi rivestite di lana, ammazzate le pecore più grasse, ma non pascolate il gregge. Non avete reso forti le pecore deboli, non avete curato le inferme, non avete fasciato quelle ferite, non avete riportato le disperse. Non siete andati in cerca delle smarrite, ma le avete guidate con crudeltà e violenza. Per colpa del pastore si sono disperse e sono preda di tutte le bestie selvatiche: sono sbandate. Vanno errando le mie pecore su tutti i monti e su ogni colle elevato, le mie pecore si disperdono su tutto il territorio del paese e nessuno va in cerca di loro e se ne cura.
Perciò, pastori, ascoltate la parola del Signore: Com’è vero che io vivo – oracolo del Signore Dio –, poiché il mio gregge è diventato una preda e le mie pecore il pasto d’ogni bestia selvatica per colpa del pastore e poiché i miei pastori non sono andati in cerca del mio gregge – hanno pasciuto se stessi senza aver cura del mio gregge –, udite quindi, pastori, la parola del Signore: Così dice il Signore Dio: Eccomi contro i pastori: a loro chiederò conto del mio gregge e non li lascerò più pascolare il mio gregge, così non pasceranno più se stessi, ma strapperò loro di bocca le mie pecore e non saranno più il loro pasto. Perché così dice il Signore Dio: Ecco, io stesso cercherò le mie pecore e le passerò in rassegna».

Parola di Dio.

Salmo Responsoriale
Dal Sal 22 (23)
R. Il Signore è il mio pastore: non manco di nulla.
Il Signore è il mio pastore:
non manco di nulla.
Su pascoli erbosi mi fa riposare,
ad acque tranquille mi conduce.
Rinfranca l’anima mia. R.

Mi guida per il giusto cammino
a motivo del suo nome.
Anche se vado per una valle oscura,
non temo alcun male, perché tu sei con me.
Il tuo bastone e il tuo vincastro
mi danno sicurezza. R.

Davanti a me tu prepari una mensa
sotto gli occhi dei miei nemici.
Ungi di olio il mio capo;
il mio calice trabocca. R.

Sì, bontà e fedeltà mi saranno compagne
tutti i giorni della mia vita,
abiterò ancora nella casa del Signore
per lunghi giorni. R.

Acclamazione al Vangelo
Alleluia, alleluia.

La parola di Dio è viva, efficace;
discerne i sentimenti e i pensieri del cuore. (Eb 4,12)

Alleluia.

Vangelo
Sei invidioso perché io sono buono?
Dal Vangelo secondo Matteo
Mt 20,1-16

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola:
«Il regno dei cieli è simile a un padrone di casa che uscì all’alba per prendere a giornata lavoratori per la sua vigna. Si accordò con loro per un denaro al giorno e li mandò nella sua vigna. Uscito poi verso le nove del mattino, ne vide altri che stavano in piazza, disoccupati, e disse loro: “Andate anche voi nella vigna; quello che è giusto ve lo darò”. Ed essi andarono. Uscì di nuovo verso mezzogiorno, e verso le tre, e fece altrettanto. Uscito ancora verso le cinque, ne vide altri che se ne stavano lì e disse loro: “Perché ve ne state qui tutto il giorno senza far niente?”. Gli risposero: “Perché nessuno ci ha presi a giornata”. Ed egli disse loro: “Andate anche voi nella vigna”.
Quando fu sera, il padrone della vigna disse al suo fattore: “Chiama i lavoratori e da’ loro la paga, incominciando dagli ultimi fino ai primi”. Venuti quelli delle cinque del pomeriggio, ricevettero ciascuno un denaro. Quando arrivarono i primi, pensarono che avrebbero ricevuto di più. Ma anch’essi ricevettero ciascuno un denaro. Nel ritirarlo, però, mormoravano contro il padrone dicendo: “Questi ultimi hanno lavorato un’ora soltanto e li hai trattati come noi, che abbiamo sopportato il peso della giornata e il caldo”.
Ma il padrone, rispondendo a uno di loro, disse: “Amico, io non ti faccio torto. Non hai forse concordato con me per un denaro? Prendi il tuo e vattene. Ma io voglio dare anche a quest’ultimo quanto a te: non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure tu sei invidioso perché io sono buono?”.
Così gli ultimi saranno primi e i primi, ultimi».

Parola del Signore.

Sulle offerte
Accogli, o Signore, i nostri doni
nei quali si compie il mirabile scambio
tra la nostra povertà e la tua grandezza,
perché, offrendoti il pane e il vino che ci hai dato,
possiamo ricevere te stesso.
Per Cristo nostro Signore.

Antifona alla comunione
Con il Signore è la misericordia,
e grande è con lui la redenzione. (Sal 129,7)

Dopo la comunione
O Dio, che in questo sacramento
ci hai fatti partecipi della vita di Cristo,
ascolta la nostra umile preghiera:
trasformaci a immagine del tuo Figlio,
perché diventiamo coeredi della sua gloria nel cielo.
Egli vive e regna nei secoli dei secoli. 

Assisi. Carlo Acutis è beato: «Il ragazzo normale divenuto modello di santità»

Avvenire

Il 15enne morì nel 2006 di leucemia dopo un’infanzia e una adolescenza trasformata dalla grazia di Dio. L’omelia del cardinale Vallini nella Messa di beatificazione
La processione per le strade di Assisi

La processione per le strade di Assisi – Lapresse

Tremila pellegrini hanno partecipato sabato pomeriggio alla Messa per la beatificazione di Carlo Acutis, nella Basilica superiore di San Francesco, ad Assisi.

Il beato Carlo Acutis, nato e cresciuto a Milano, aveva 15 anni quando, il 12 ottobre 2008, fu stroncato da una leucemia fulminante all’ospedale San Gerardo di Monza.

 

 

La Messa per la beatificazione di Carlo Acutis

La Messa per la beatificazione di Carlo Acutis – Siciliani

 

 

Ma “che aveva di speciale questo ragazzo di appena quindici anni?”, si è chiesto nell’omelia il cardinale Agostino Vallini, legato pontifico per le Basiliche di San Francesco e di Santa Maria degli Angeli, che ha presieduto la Messa di beatificazione. Carlo, è la risposta, “era un ragazzo normale, semplice, spontaneo, simpatico, amava la natura e gli animali, giocava a calcio, aveva tanti amici suoi coetanei, era attratto dai mezzi moderni della comunicazione sociale, appassionato di informatica, e da autodidatta costruiva programmi per trasmettere il Vangelo, per comunicare valori e bellezza”.

 

I fedeli fuori dalla Basilica di San Francesco

I fedeli fuori dalla Basilica di San Francesco – Lapresse

 

Già da molto piccolo Carlo aveva il dono di attrarre e veniva percepito come un esempio. I suoi familiari testimoniano che “sentiva il bisogno della fede e aveva lo sguardo rivolto a Gesù. L’amore per l’Eucarestia fondava e manteneva vivo il suo rapporto con Dio”. Una delle sue frasi più celebri è “l’Eucarestia è la mia autostrada per il cielo”. Gesù era la forza della sua vita e lo scopo di tutto ciò che faceva; era ugualmente molto devoto alla Madonna.

Suo ardente desiderio inoltre era quello di attrarre quante più persone a Gesù, facendosi annunciatore del Vangelo anzitutto con l’esempio della vita. “Carlo sentiva forte il bisogno di aiutare le persone a scoprire che Dio ci è vicino e che è bello stare con Lui per godere della sua amicizia e della sua grazia. Per comunicare questo bisogno spirituale si serviva di ogni mezzo, anche dei mezzi moderni della comunicazione sociale, che sapeva usare benissimo, in particolare Internet, che considerava un dono di Dio ed uno strumento importante per incontrare le persone e diffondere i valori cristiani”, ha continuato il cardinale Vallini. Per lui “la Rete non è solo un mezzo di evasione, ma uno spazio di dialogo, di conoscenza, di condivisione, di rispetto reciproco, da usare con responsabilità, senza diventarne schiavi e rifiutando il bullismo digitale; nello sterminato mondo virtuale bisogna saper distinguere il bene dal male”.

 

Pellegrini sulla tomba di Carlo Acutis

Pellegrini sulla tomba di Carlo Acutis – Siciliani

 

Preghiera e missione sono i due tratti distintivi della fede eroica del Beato Carlo Acutis. Affidandosi alle braccia di Dio affrontò la malattia con serenità. “Il novello Beato rappresenta un modello di fortezza, alieno da ogni forma di compromesso, consapevole che per rimanere nell’amore di Gesù, è necessario vivere concretamente il Vangelo, anche a costo di andare controcorrente”.

Carlo Acutis, ricorda Vallini, aveva molta attenzione verso il prossimo, “soprattutto verso i poveri, gli anziani soli e abbandonati, i senza tetto, i disabili e le persone che la società emarginava e nascondeva. Non mancava di aiutare i compagni di classe, in particolare quelli che erano più in difficoltà. Una vita luminosa dunque tutta donata agli altri, come il Pane Eucaristico”.

 

Giovani fedeli ad Assisi

Giovani fedeli ad Assisi – Lapresse

 

Carlo ha mostrato che “il frutto della santità” è una meta raggiungibile da tutti. Il nuovo Beato è stato indicato come modello particolarmente per i giovani, “a non trovare gratificazione soltanto nei successi effimeri, ma nei valori perenni che Gesù suggerisce nel Vangelo, vale a dire: mettere Dio al primo posto, nelle grandi e nelle piccole circostanze della vita, e servire i fratelli, specialmente gli ultimi. La beatificazione di Carlo Acutis, figlio della terra lombarda, e innamorato della terra di Francesco di Assisi, è una buona notizia, un annuncio forte che un ragazzo del nostro tempo, uno come tanti, è stato conquistato da Cristo ed è diventato un faro di luce per quanti vorranno conoscerlo e seguirne l’esempio. Egli ha testimoniato che la fede non ci allontana dalla vita, ma ci immerge più profondamente in essa, indicandoci la strada concreta per vivere la gioia del Vangelo. Sta a noi percorrerla, attratti dall’esperienza affascinante del Beato Carlo, affinché anche la nostra vita possa brillare di luce e di speranza”.

Al termine della celebrazione, il saluto di ringraziamento, a tutti coloro che sono stati coinvolti nella breve e fruttuosa vita di Carlo Acutis, del vescovo di Assisi – Nocera Umbra – Gualdo Tadino, monsignor Domenico Sorrentino, il quale ha annunciato le due opere-segno: la nascita di una mensa per i poveri e un Premio internazionale Francesco di Assisi e Carlo Acutis per una economia della fraternità, destinato a un progetto per il Terzo Mondo.

Invito in S. Stefano a Reggio Emilia per la Confraternita del Santo Scapolare della Madonna del Carmine 16 Luglio 2020

Come è tradizione, Giovedì  16 luglio 2020, nella chiesa parrocchiale cittadina di Santo Stefano sarà celebrata con particolare solennità la festa della Madonna del Carmelo. Un ruolo notevole nella diffusione del culto mariano in città ebbero i Carmelitani, dapprima presenti nell’Ospedale di Santa Maria Nuova, poi nella Commenda Gerosolimitana di Santo Stefano, dove portarono nel sec. XVIII la statua lignea raffigurante la Madonna del Carmelo, ancora oggi esposta nell’abside dell’antica chiesa. In Santo Stefano è presente da secoli la “Confraternita del Santo Scapolare della B.V. del Carmine”.

Giovedì 16 Luglio, al mattino, la Santa Messa sarà celebrata alle ore 11.00 (presiede don Vasco Rosselli) e conclusa dalla recita dell’atto di consacrazione alla Madonna.

Nel pomeriggio alle 18.45 recita dell’inno “Akathistos”, a cui seguirà alle 19.00 la solenne concelebrazione eucaristica presieduta dal Vescovo emerito Mons. Adriano Caprioli.

Giovedì 16 Luglio 2020 in Santo Stefano Festa  della Madonna del Carmelo

Lo Scapolare

Segno della spiritualità Carmelitana oggi

Molti battezzati indossano – spesso con una punta di sano orgoglio – lo Scapolare della Madonna del Carmelo.
Molti altri lo conoscono per averlo visto sulle spalle di qualche persona cara o amica.
Molti, forse, si saranno chiesti il senso di quest’oggetto, che sa d’antico, sì, ma soprattutto dice convinzione, gioia di vivere gli impegni battesimali, amore verso Maria, madre di Gesù e madre nostra.
Le origini dello Scapolare affondano le radici nell’uso medievale di rivestire dell’abito religioso o di parte di esso chi desiderasse condividere i benefici spirituali di un’Ordine, seguendone la spiritualità.
Quest’uso, evidentemente legato alla mentalità medievale assai più concreta della nostra, si è diffuso in tutto il mondo cristiano, anche nei secoli successivi.
Si è arricchito di contenuti e modalità espressive, al punto che oggi in tante parti del mondo è la stessa cosa dire Madonna del Carmine o Madonna dello Scapolare.

Un po’ di storia…
Lo Scapolare, o “Abitino”, è composto da due pezzi di stoffa marrone legati da cordicelle o nastri, che poggiano sulle spalle (scapole, da cui il nome).
Nato come parte dell’abbigliamento dei contadini e poi dei religiosi, era in pratica un grembiule usato per non sporcare l’abito.
Ben presto, per i Carmelitani, diventò il simbolo della protezione materna di Maria, quasi la sintesi di tutti i benefici da lei ottenuti.
Perciò iniziarono a considerare lo Scapolare come parte essenziale dell’abito, l’abito stesso; e l’abito era segno della vita che si conduceva, espressione esterna di ciò che si è.
Inizialmente però, per affiliare i laici all’Ordine veniva concessa la cappa bianca, considerata il “segno esterno” dell’abito, ma non lo Scapolare, perché, altrimenti, un laico che avesse indossato per un intero anno l’abito-Scapolare, sarebbe stato considerato frate o monaca a tutti gli effetti. Con l’andar del tempo la proibizione cadde e lo Scapolare fu dato a tutti, soprattutto nella sua forma ridotta.
Due elementi contribuirono in modo decisivo all’affermazione dell’Abitino come segno della consacrazione a Maria e della sua protezione verso i devoti: la promessa della morte in stato di Grazia, legata alla “leggenda” della visione di S. Simone Stock, e quella della pronta liberazione dalle pene del Purgatorio, legata alla cosiddetta “Bolla sabatina”.
Al di là della storicità dei due fatti, bisogna dire che le promesse trovano conferma, non solo nel Magistero successivo dei pontefici e della Chiesa che ne ha accettato, purificandole e correggendole, le implicazioni, ma anche nel loro stesso senso teologico.
In realtà le promesse confermano e sottolineano ciò che la fede cristiana ha da sempre affermato: chi vive secondo gli impegni battesimali, morirà nella piena comunione con Dio, nella sua Grazia e giungerà presto a goderne l’eterno abbraccio.
La protezione materna di Maria non fa che rendere più sicuro il comune cammino verso la santità.
Nel ‘600 dunque l’identificazione Madonna del Carmine-Madonna dello Scapolare può dirsi conclusa: la confraternita dello Scapolare soppiantò ben presto tutte le altre variamente collegate al titolo del Carmelo; così come l’iconografia mariano-Carmelitana preferì i temi del dono dell’Abitino e della liberazione delle anime dal Purgatorio.
La stessa festa del 16 luglio, nata in Inghilterra nel XIV secolo per celebrare la protezione e i benefici di Maria, divenne ben presto la festa dell’intero Ordine e fu popolarmente conosciuta come la festa dello Scapolare.

Un segno ricco di contenuti
Tutto questo non fu un fatto di scarsa rilevanza, ma coinvolse larghissime fasce del popolo cristiano: lo Scapolare e i suoi valori vennero infatti recepiti come una naturale espressione della pietà popolare, che ne restò a sua volta influenzata.
L’Abitino fu usato infatti come veicolo di valori cristiani essenziali: chi avesse voluto entrare nella Confraternita o nel Terz’Ordine avrebbe dovuto accettare uno stile di vita veramente conforme al Vangelo.
La formazione, la vita sacramentale, la preghiera e l’ascesi, dovevano condurre la persona all’unione con Dio e trovare necessaria espressione e verifica nella concretezza della carità, sia verso i confratelli che verso gli esterni.
Non era possibile indossare l’abito di Maria solo per “garantirsi” un posto in Paradiso!
Se poi tutto ciò non ha retto all’urto delle tempeste abbattutesi sulla Chiesa e dunque anche sul Carmelo tra il ‘700 e l’800, non vuol dire che lo Scapolare fosse un segno vuoto, puramente esteriore.
Piuttosto va detto che il nostro secolo ha ereditato forme che non sempre è riuscito a tradurre in termini vitali.
Forse siamo giunti ad un punto in cui è possibile tentare un recupero, tutt’altro che sterilmente archeologico.
Non si tratta infatti di risuscitare un oggetto ormai lontano dalla sensibilità comune, ma di dare espressione e corpo ai contenuti validi e vitali della pietà popolare in modo da proporre ancor oggi, come si è fatto per secoli, un’occasione di santificazione e di vita realmente e profondamente cristiana.
Oggi vanno indubbiamente tenuti in considerazione alcuni temi centrali, legati da sempre allo Scapolare: per esempio la comunione con Dio, la consacrazione a Lui attraverso Maria, il valore “sacramentale” e quello escatologico dell’Abitino.
Lo Scapolare è infatti un “sacramentale”, cioè un segno che ricorda e attua una realtà spirituale secondo la misura di fede di chi lo indossa.
È segno di affiliazione ad un’Ordine religioso cristocentrico e mariano, dunque indica l’appartenenza alla grande famiglia Carmelitana e la condivisione della sua spiritualità.
Non ci si fa santi da soli: solo il sapersi membri di un popolo in cammino consente di incontrare e sperimentare la pienezza della comunione divina.
Così pure l’Abitino è segno di consacrazione a Maria ed esprime la nostra volontà di camminare con lei, accompagnati e sorretti dalla sua mano materna, verso la pienezza di comunione, verso la “vetta del monte, che è il Signore Gesù”.
Ma è anche il segno della protezione e della difesa che Maria opera nella vita del cristiano. Inoltre proprio perché un “sacramentale”, lo Scapolare ci ricorda e ci aiuta a crescere nel personale rapporto con Maria, madre di Gesù e della Chiesa.
La tradizione Carmelitana ha guardato Maria da diverse prospettive, a tutt’oggi ancora attuali, che possono essere comunicate, spiegate e insegnate, perché anche altri possano trarne beneficio spirituale. Maria è stata vista come Madre, Sorella, Vergine purissima, Patrona, Profeta…
Le promesse tradizionalmente legate allo Scapolare sono da considerare nel loro indubbio valore escatologico: siamo incamminati verso un futuro di comunione, di pace e di gloria, che va però costruito giorno dopo giorno nell’oggi della vita intessuto di sacrificio, preghiera continua, carità operosa e attenta.
Il Carmelitano, rivestito dell’abito di Maria, è capace come lei di “conservare tutte le cose meditandole nel suo cuore” (cfr. Lc 2, 19.51).
Il Carmelitano sa essere profeta e stando accanto ai fratelli sa indicare loro la direzione e la meta verso cui cammina la storia della Salvezza.

Quale messaggio di spiritualità
Ancor’oggi si possono vedere numerosi fedeli, talvolta un fiume, che soprattutto in certi momenti particolari, come a ridosso della festa del Carmine, chiedono di poter ricevere l’Abitino.
Talvolta, è vero che alcune persone sono motivate da ragioni superficiali e l’imposizione dello Scapolare o l’indossarlo finiscono col diventare gesti al limite della superstizione.
Ma questo è sempre stato uno dei limiti della pietà popolare, la quale perciò dev’esser continuamente aiutata a crescere, purificandosi di quanto non è autentico atto di fede.
Ricevere lo Scapolare non è un rito di ripetizione meccanica (al limite del magico), ma un momento di preghiera, di ascolto della Parola di Dio, può diventare l’occasione anche per una breve catechesi sui valori fondamentali della spiritualità Carmelitana ed espressi dallo Scapolare.
Così anche gli impegni di preghiera e ascesi personale legati al suo uso sono i mezzi di incontro con il Signore, utili a favorire quell’unione con Lui per mezzo di Maria.
Non dovrebbero mai venir disgiunti dall’impegno per una qualche forma di servizio: non si dà autentica vita cristiana senza carità fraterna!
Il passato ha formulato espressioni diverse di preghiera legate allo Scapolare a ai suoi valori. Basti ricordare i diversi momenti e forme di preghiera propri della tradizione Carmelitana: i mercoledì solenni, il sabato, le “Allegrezze”, i sette Pater-Ave-Gloria, le novene…
Sono tutti modi per favorire una preghiera comunitaria ricca di contenuti e valori essenziali per chiunque voglia vivere il Vangelo con l’aiuto della spiritualità Carmelitana.
Oggi sono state pensate forme nuove, più consone alla sensibilità e alla cultura attuali, anche se in continuità col passato.
Analogo discorso vale per le prescrizioni ascetiche: tra queste la virtù della castità secondo il proprio stato, oggi apparentemente in crisi, per sviluppare in sintonia con lo Spirito tutta la carica di amore, autenticamente umano, di cui ogni persona è capace.
Lo Scapolare, allora non è una forma di devozionismo, ma una modalità attualissima di vivere il Vangelo in ogni sua prospettiva.
Ancora una parola sulla dimensione comunitaria suscitata dallo Scapolare; se è segno di appartenenza ad una famiglia dovrà necessariamente ricondurre ad essa.
Oggi purtroppo chi riceve l’Abitino lo fa quasi sempre in modo “privato”, ma nella Chiesa non c’è proprio nulla di privato, ma “tutto era in comune fra loro” (At 2, 44).
Le antiche confraternite assolvevano bene al compito di collegamento tra gli ascritti e garantivano l’esecuzione dei diversi impegni.
Da quando furono spazzate via dalle varie soppressioni del secolo passato, non si è più stati capaci di creare strutture a misura d’uomo, capaci di far incontrare le persone e farle sentire in comunione, animate dai medesimi atteggiamenti.
Oggi viviamo in un tempo in cui i collegamenti non dovrebbero essere un problema, non mancano certo i mezzi per far giungere a distanza un messaggio.
Così pure non dovrebbe essere impossibile, e in alcune zone già si fa, creare occasioni d’incontro per persone che si rifanno alla spiritualità Carmelitana per giornate o momenti di preghiera, formazione e condivisione.
Forse è giunto il momento di riscoprire il valore della Famiglia Carmelitana, alla quale appartengono i Frati, le Monache, i Terziari, le Suore, ma specialmente tutti i battezzati che indossano lo Scapolare.
Ogni giorno la preghiera comune, gli uni per gli altri, crea un legame inscindibile e forte, che ci unisce profondamente tra noi e con Dio. I Frati Carmelitani, ogni mercoledì, celebrano la s. Messa per coloro che indossano lo Scapolare o si trovano in Cielo, sotto il manto di Maria, per contemplare il volto di Dio.
Affidano al Signore i malati, i sofferenti; lo ringraziano perché in Maria Egli compie innumerevoli miracoli di guarigione corporale e spirituale.
Ma tutto questo non basta: serve anche la tua preghiera, perché i membri della Famiglia sono uniti solo attraverso l’Amore verso Dio e si riconoscono tra loro attraverso il semplice uso di indossare un pezzetto di stoffa marrone.

fonte: https://carmelit.org/lo-scapolare/

 

Santo del Giorno 29 Gennaio

Aquilino  – Rifiutò le lusinghe e gli onori della carrieraImmagine 001
Sant’Aquilino sapeva che l’episcopato non era la sua strada e che, se avesse risposto di sì a chi lo voleva pastore prima a Colonia e poi a Parigi, avrebbe solo ceduto alla lusinga della “carriera”. Ed ecco l’attualità del suo esempio: non sempre seguire l’ascesa verso maggiori responsabilità, anche nella Chiesa, porta alla realizzazione di ciò a cui si è veramente chiamati. Il potere, spesso, fa dimenticare il cuore, l’anima e la coscienza. Così non fu per Aquilino, nato a Würzburg, in Germania, e divenuto prete a Colonia, dove rifiutò per la prima volta la proposta di diventare vescovo. Fuggito a Parigi curò i malati di colera, ma anche qui lo volevano vescovo per cui se ne andò a Pavia, dove affrontò ariani e catari. E proprio da un gruppo di eretici, nei pressi di Porta Ticinese a Milano, venne ucciso forse nell’anno 1015.
Altri santi. San Costanzo di Perugia, vescovo e martire (II sec.); san Valerio di Treviri, vescovo (III-IV sec.).
Letture. 2 Sam 11,1-4.5-10.13-17; Sal 50; Mc 4,26-34.
Ambrosiano. Sir 44,1;49,13-16; Sal 47; Mc 5,21-24a.35-43.

I santi del 03 Gennaio 2016

SANTISSIMO NOME DI GESù    – Memoria Facoltativa
Il Santissimo Nome di Gesù fu sempre onorato e venerato nella Chiesa fin dai primi tempi, ma solo nel secolo XIV cominciò ad avere culto liturgico. San Bernardino, ai…
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Santa GENOVEFFA (GENEVIEVE)   Vergine
m. 500 circa
La vita della vergine parigina Genèvieve (in italiano Genoveffa) è narrata nella «Vita Genovefae», scritta circa venti anni dopo la sua morte. Nasce a Nan…
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San FIORENZO DI VIENNE   Vescovo
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San CIRIACO ELIAS CHAVARA   Cofondatore indiano
Kainakari, India, 8 febbraio 1805 – Konammavu, India, 3 gennaio 1871
Ciriaco, cofondatore e primo Priore Generale dei Carmelitani di Maria Immacolata, nacque a Kerala, in India, il 10 febbraio 1805. Entrò in seminario nel 1818 e fu ordinato s…
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Sant’ ANTERO   Papa
m. 236
(Papa dal 21/11/235 al 03/01/236)Greco. Il suo pontificato durò appena quarantatre giorni. Fu il primo papa ad essere sepolto nelle catacombe di Callisto, nella cosiddetta Cripta d…
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San DANIELE DI PADOVA   Martire
Diacono, forse, della Chiesa padovana, fu martirizzato probabilmente durante la persecuzione di Diocleziano, al principio del sec. IV. Secondo le leggende, diffusesi in quella circ…
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Santa IMBENIA   Martire
Pia vergine Sarda, che subì il martirio per la fede in Cristo sotto l’Impero di Diocleziano. Le sue preziose Reliquie vennero scoperte nell’ anno 1628 nella chiesa di S. Lussorio, …
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Santi TEOPEMPTO E TEONAS (TEOPOMPO E SINESIO)   Martiri a Nicomedia
† Nicomedia, 304
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San GORDIO DI CESAREA DI CAPPADOCIA   Martire
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San TEOGENE   Martire
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San LUCIANO DI LENTINI   Vescovo
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San FINTAN DI DUN BLESCI   Benedettino
Scarse e di dubbio valore storico sono le notizie riguardanti questo santo. DI origine irlandese, Fintan fu discepolo di S. Comgall, l’abate di Bongar. Recatosi poi a Dun Blesci, r…
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Beato GUGLIELMO VIVES   Mercedario
Priore del convento mercedario di Barcellona, il Beato Guglielmo Vives, nonostante fosse un uomo pacifico e molto umile, dovette affrontare con energia l’intromissione abusiva e se…
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INVOCAZIONE AL NOME DI GESù
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Teologia: la fede comune

teologia.bibbia
I due non si sono mai conosciuti. Per età, condizione sociale e storica, riferimenti intellettuali e teologici erano alquanto diversi. Ma sono moltissime le affinità che accomunano Dietrich Bonhoeffer e Aleksandr Men’, il primo celebre teologo luterano tedesco, il secondo (meno noto) altrettanto brillante predicatore e pensatore ortodosso in Russia.

Di entrambi nell’anno appena concluso si sono celebrati anniversari drammatici: il settantesimo dell’uccisione di Bonhoeffer per ordine diretto di Hitler nel campo di concentramento di Flossenburg il 9 aprile 1945; di padre Men il venticinquesimo del misterioso omicidio (9 settembre 1990), avvenuto a poca distanza dalla sua parrocchia rurale di Novaïa Derevnia, non lontano da Mosca. Ora un libro, da poco disponibile in francese, mette sapientemente a confronto gli itinerari teologici di questi due protagonisti del pensiero religioso, ravvisando tra il pastore protestante e il pope ortodosso le molte e non scontate connessioni.

Tanto più che a firmare questo singolare raffronto (frutto di un corso di studi al Collège des Bernardins di Parigi) è Michel Evdokimov, figlio del compianto Paul, teologo ortodosso del Saint-Serge di Parigi, già osservatore invitato al Concilio Vaticano II. Il frutto del suo lavoro è Deux martyrs dans un monde sans Dieu (Editions Salvator, pagine 160, euro 17). Quali dunque queste affinità elettive tra i due? Secondo Evdomikov, anzitutto l’accettazione della secolarizzazione come nuova condizione in cui il cristianesimo è chiamato ad esprimersi nell’era contemporanea. Per i due «era inutile lamentarsi della secolarizzazione, meglio accettarla nella misura in cui essa allargava lo spazio del libero sviluppo dell’uomo al quale i cristiani possono imprimere i loro orientamenti». Anzi: «Bonhoeffer e Men’ erano perfettamente d’accordo nell’affermare: non abbiate paura della secolarizzazione. Non si tratta di un fenomeno transitorio. Non bisogna lamentarsi di essa, quanto invece vedervi una dimensione positiva per la libertà umana».

Ma è su un dato culturale quanto mai controverso, e cioè l’ateismo, che il teologo Dietrich e il predicatore Aleksandr trovano una singolare unione di visione: «Padre Men’ arriva a dire che l’ateismo è un’occasione per la fede», scrive Evdokimov, docente di Letteratura comparata all’università di Poitiers. Addirittura, ricorda lo studioso, Men’ non si lamentava dell’ateismo scientifico che attanagliava l’Unione sovietica nella quale gli era capitato di vivere, lui che innanzitutto era un biologo consultato da personaggi come Aleksandr Soltenicyn, la vedova di Mandel’stam, Nadezda, il teologo Antaolij Krasnov- Levitin: «La Chiesa ha ricevuto dal cielo un dono magnifico: non mettetevi a ridere, questo dono è l’ateismo, l’ateismo militante anti-cristiano», scriveva. Il motivo di tale “grazia” consisteva nel fatto che l’ateismo poteva servire a purificare sempre più il cristianesimo, ad esempio, da quella visione del Dio-tappabuchi sulla quale molto ha riflettuto Bonhoeffer. Tanto più – ricorda Evdokimov – che quest’ultimo durante la sua detenzione nel carcere di Tegel si trovò a confrontare la propria proposta cristiana con molti non credenti ed entrò così in dialogo con loro.

Guardando a una dimensione più intracristiana, c’è un forte valore comune che Evdokimov indica in questi due campioni e martiri della fede (da notare l’assonanza con quell’ecumenismo del sangue di cui parla spesso papa Francesco): la centralità della vita comune, per dirla alla protestante; il ruolo della collegialità, nel vocabolario cattolico; lasobornost, la dimensione collegiale nell’ambito ortodosso. Ovvero, l’idea che la fede non la si vive da soli. Infine. Entrambi i nostri due teologi, martiri dei totalitarismi (Evdokimov sostiene apertamente che Men’ sia caduto vittima dei colpi di coda del sistema sovietico attraverso il Kgb, che del resto teneva sotto controllo il pope), avevano una visione positiva e ricca di speranza sul futuro della fede nel XXI secolo: «Il cristianesimo non fa che cominciare », era solito ripetere l’autore di Gesù maestro di Nazareth (in catalogo da Città Nuova). E da par suo il pensatore diResistenza e resa (San Paolo) prospettava un nuovo cristianesimo per il quale – annota ancora Evdokimov – «l’incontro con il prossimo è la forma sotto la quale facciamo l’esperienza del divino». Curiosamente Evdokimov sottolinea come per padre Men’ ci siano due esempi concreti che nel Novecento parlano dell’inedita eloquenza della fede cristiana. Due esempi che sarebbero di certo piaciuti a Bonhoeffer: Martin Luther King e Nelson Mandela.

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Santo del Giorno 24 Dicembre

Odoardo Focherini – Difese il valore della dignità umana
Un apostolo della dignità umana, che morì proprio per difendere questo valore: è il profilo di Odoardo Focherini, nato a Carpi (Modena) il 6 giugno 1907. Marito e con sette figli, era assicuratore per la Società Cattolica di Assicurazioni di Verona; nel 1939 divenne amministratore de “L’Avvenire d’Italia”. Dal 1942 si attivò per salvare molti ebrei dalla deportazione, attività per cui fu arrestato l’11 marzo 1944. Rinchiuso a Fossoli, Gries (Bolzano) e infine Flossenburg in Baviera, morì il 24 dicembre 1944.
Altri santi. Sant’Adele di Pfalzel, badessa (VIII sec.); santa Paola Elisabetta Cerioli, fondatrice (1816-1865).
Letture. Messa mattutina: 2 Sam 7,1-5.8-12.14.16; Sal 88; Lc 1,67-79. Messa vigiliare vespertina: Is 62,1-5; Sal 88; At 13,16-17.22-25; Mt 1,1-25. Messa della notte: Is 9,1-6; Sal 95; Tt 2,11-14; Lc 2,1-14.
Ambrosiano. Messa mattutina: Eb 10,37-39; Sal 88; Mt 1,18-25. Messa vigiliare vespertina: Gen 15,1-7; 1 Sam 1,7c-17; Is 7,10-16; Gdc 13,2-9a; Eb 10,37-39; Mt 1,18-25. Messa della notte: Is 2,1-5; Sal 2; Gal 4,4-6; Gv 1,9-14.
avvenire

Santo del Giorno 20 Dicembre Domenico di Silos

L’impegno per i cristiani resi schiavi dai Saraceni
Un santo che tenne testa con fermezza a un sovrano, fece fiorire un monastero e si dedicò all’opera di riscatto dei cristiani ridotti in schiavitù dai Saraceni. È questo il profilo di san Domenico di Silos, abate vissuto nel VII secolo in Spagna. Nato nell’anno mille in Navarra, era di origini umili e aveva fatto il pastore prima di diventare monaco benedettino e poi abate del suo monastero. Venne cacciato dal re di Navarra, però, al quale si rifiutò di pagare un tributo ingiusto. Accolto in Castiglia da Ferdinando il Grande, gli venne assegnato il decadente monastero di Silos, che Domenico riuscì a riportare all’antico splendore. Seppe trasformare Silos in un vero centro di riferimento per i fedeli e per la vita sociale del territorio circostante. Come anche altri santi della Spagna occupata dagli arabi, inoltre, si diede da fare per la liberazione dei cristiani divenuti schiavi.
Altri santi. San Zeffirino, papa e martire (III sec.); san Liberato, martire.
Letture. Mi 5,1-4; Sal 79; Eb 10,5-10; Lc 1,39-45.
Ambrosiano. Is 62,10-63,3b; Sal 71; Fil 4,4-9; Lc 1,26-38a.

Natale. Viva è la fatica dell’attesa

Il libro di Qohelet non è un romanzo né un trattato di teologia. È più simile a un diario spirituale ed etico. I suoi diversi capitoli registrano e narrano pensieri, emozioni ed esperienze di un viaggiatore sotto il sole. Il suo sconfinato interesse e la sua forza dipendono dalla sapienza, dalla libertà teologica e dal coraggio morale del suo autore, che continua a parlarci da almeno ventitré secoli. Solo i libri grandissimi ci riescono. Così, viaggiando la vita con Qohelet, incontriamo “pagine di diario” dove siamo totalmente immersi nel fumo dellavanitas, altre dove la gioia del “cantico dei tempi” ci rapisce e conquista, per tornare subito dopo a meditare mestamente sulla morte e sulla caducità della vita. Come noi, che oggi contempliamo un bambino nascere e domani accompagniamo un amico nella sua ultima agonia. Diversi i sentimenti, diverse le lacrime, la stessa vita che scorre. Il ritmo dei tempi è anche il ritmo delle pagine di Qohelet.

«Ho anche notato che sotto il sole al posto del diritto c’è l’iniquità e al posto della giustizia c’è l’iniquità» (Qohelet 3,16). Di fronte allo spettacolo di ingiustizia della terra, dove nei tribunali che dovrebbero garantire l’equità si annida la malvagità, Qohelet ci dice che «il giusto e il malvagio Dio li giudicherà, perché c’è un tempo per ogni cosa e per ogni azione» (3,17). E così aggiunge il “tempo” di Dio ai nostri tempi troppo squilibrati e storti. Sente il dolore per un mondo ingiusto, per l’infinito numero di vittime-Abele che abitano la terra. Ma l’attesa del giudizio universale alla fine dei tempi non è la risposta di Qohelet all’iniquità, perché il mondo “sopra il sole” è, per lui, troppo lontano e inaccessibile per poter offrire una risposta convincente alle ingiustizie del mondo “sotto il sole”. Il giudizio di Dio si deve svolgere qui, sulla terra. Se il tempo della giustizia di Elohim esiste davvero, deve inserirsi dentro il nostro tempo mortale. Perché se non è dentro i nostri tempi, sarà solo fuori tempo e quindi non utile per migliorare la condizione e la giustizia della nostra vita. I tempi non-umani non interessano Qohelet, perché se non sono umani possono essere solo disumani o anti-umani.

Il discorso di Qohelet è allora un umanesimo: chiede a Dio di essere il Dio dei viventi non il Dio dei morti. Il Dio sotto il sole, non il Dio nell’alto dei cieli. Se non vogliamo trasformare Elohim in un dio inutile, dobbiamo chiedergli di darci risposte qui ed ora, di darle soprattutto alle vittime. Come Giobbe, l’amico più grande di Qohelet. Come noi, i suoi amici di oggi, che accresciamo il numero dei tanti amici che ha sempre avuto nei secoli (anche se, forse, solo il nostro tempo può iniziare a capirlo veramente). Qohelet, sorprendendoci ancora una volta, ci dice che una prima giustizia sotto il sole si trova nella morte: «Riguardo ai figli dell’uomo dico: gli mostri Elohim quel che sono, vedranno soltanto un branco di bestie. Perché l’esito è uno, figli d’uomo o di bestie, muoiono. In tutti è lo stesso soffio [ruah]. L’uomo non ha alcun vantaggio sulle bestie, perché tutto svapora [hebel]. Tutti vanno nello stesso luogo» (3,18-20). Moriamo tutti come muoiono tutte le bestie. Siamo fratelli e sorelle nella comune e universale mortalità. Sorella morte, fratello lupo, sorella colomba, fratello verme. In questa polvere di tutti e di tutto c’è una sapienza, quella infinita di Salomone: «Tutti [animali e uomini] sono venuti dalla polvere e tutti polvere ritornano» (3,20).
Da bambini impariamo a conoscere la morte vedendo gli animali morire. In quella età della vita riusciamo ancora a sentire negli animali lo stesso soffio che abita noi, i genitori, gli amici. Quei pianti disperati di fronte alla morte di un gatto o di un uccellino ci svelano un accesso più profondo alla vita che poi da adulti perdiamo. Solo i bambini riescono ad amare veramente gli animali e a soffrire per il loro dolore – e forse solo i vecchi che hanno la grazia di tornare bambini possono avvicinare quel primo amore. Qohelet ci aiuta a recuperare quello sguardo dell’infanzia, a riconoscere nel dolore della terra il nostro stesso dolore. Ci fa riascoltare il primo soffio della creazione.

L’orizzonte dentro il quale Qohelet colloca il suo discorso è quello dei primi capitoli della Genesi. Conosce bene il soffio-spirito che Elohim aveva iniettato nelle narici dell’Adam, il terreste, rendendolo vivente (Genesi 2,7). Risuona nei suoi versi «polvere sei e polvere ritornerai» (Genesi 3,19). Ma quella di Qohelet è una Genesi diversa. La terrestrità dell’Adam non lo fa dominatore degli animali e delle specie viventi: l’Adam di Qohelet è prima di tutto creatura come tutte le altre. Sapeva che l’uomo è stato ed è continuamente ricreato «a immagine e somiglianza di Dio», come cosa «molto bella e molto buona» (1,35). Non lo nega, non lo può negare, ma vuole dirci qualcos’altro: prima di essere diversi dal resto della creazione siamo uguali a tutti i viventi, perché, proprio come loro, siamo mortali e viviamo finché il dono del soffio vive. Solo Dio non muore. L’uomo non è Dio perché muore, e la sua ribellione originaria e perenne è il voler negare la propria mortalità – anche questo è Genesi (cap. 3). La natura non è Dio perché muore. Ogni serpente, ogni idolo, ci promette e cattura promettendoci di eliminare della morte.

Qohelet non solo riafferma questo messaggio profondamente e genuinamente biblico, ma vi trova anche una risposta alla sua e nostra domanda di giustizia. La giustizia inscritta nella morte di tutti gli animali diventa una giustizia universale. La vanitas del grande, del ricco, del disonesto, non sta soltanto nel loro morire come muoiono le vittime e i poveri (questo ce lo aveva detto nel capitolo 2). C’è una vanitas ancora più radicale e profonda: muoiono anche loro come muoiono i cani, gli insetti, gli uccelli. Il più potente faraone muore come il riccio e come la mosca. La diversità nel lusso delle tombe e delle piramidi è solo vanità, è effimera, non conta nulla (2,16). La morte universale è la prima giustizia universale. Di fronte a questo destino cosmico comprendiamo di nuovo perché l’unica felicità possibile e vera è quella che possiamo trovare dentro la vita finché ci abita quell’unico soffio-spirito donatoci: «E ho visto che non c’è un bene che faccia più gioioso l’Adam delle sue opere: è questo il suo profitto (3,22). Scoprire la giustizia della morte che attende tutti i viventi e tutti allo stesso modo, porta Qohelet a lodare per la seconda volta la gioia delle opere umane, la felicità del lavoro. Cresciamo e invecchiamo bene quando la compagnia del dolore e della morte ci accresce la gioia della salute e la felicità di tornare agli affari ordinari della vita.

Il canto di Qohelet è allora un canto crudo e autentico alla vita, anche quando la disprezza perché deluso dalla malvagità delle opere degli uomini sotto il sole: «Tornai poi a considerare tutte le oppressioni che si fanno sotto il sole. Ecco le lacrime degli oppressi e non c’è chi li consoli; dalla parte dei loro oppressori sta la violenza, ma non c’è per loro un consolatore. Allora ho proclamato felici i morti, ormai trapassati, più dei viventi che sono ancora in vita; ma più felice degli uni e degli altri chi ancora non esiste, e non ha visto le azioni malvagie che si fanno sotto il sole» (4.1-3). È l’assenza di consolazione degli oppressi che fa dubitare Qohelet della superiorità dell’essere al mondo rispetto al non-esserci. Non dobbiamo perdere neanche un briciolo della forza e della bellezza di questo verso di Qohelet: una vita da oppressi senza consolatori è peggiore della morte. La sua è una condanna dei troppi oppressori presenti e un appello ai consolatori assenti.

Coloro che piangono possono essere chiamati “beati” solo se sono consolati. L’inferno è il luogo delle “beatitudini a metà”: poveri senza Regno, puri che non vedono Dio, miti senza terra, afflitti sconsolati. E stando dalla parte degli oppressi resi tali dagli oppressori (l’oppressione è una costruzione tutta umana), Qohelet trova la forza di invocare un consolatore, un “paraclito”. Anche se non lo vede, né vuole inventarselo – non c’è peggiore inganno di un consolatore inventato per rispondere alla nostra domanda vera di consolatori. Forse l’avvento di consolatori non-artificiali può essere chiamato e atteso soltanto ponendo il cuore nelle discariche dove i bambini cercano gli avanzi della nostra opulenza, nelle guerre dei ragazzi-soldato, accanto alle bambine vendute per miseria disperata ai mercanti di sesso. Solo da lì lo possiamo desiderare, forse intravvedere. Qohelet non ha creduto che il riscatto di queste vittime inconsolate dovesse essere rimandato al paradiso. Ha tenuto vivo il dolore della terra per l’assenza di consolatori qui ed ora, e così ha reso non-vana l’attesa del suo avvento. Se avesse ceduto alla tentazione delle consolazioni apocalittiche e idolatriche, la Bibbia tutta avrebbe perso capacità di avvento. E invece ha continuato a porre domande, resistendo nell’assenza delle risposte. La bontà delle domande esistenziali si misura con la loro capacità di resilienza nei tempi della carestia di risposte vere e dell’opulenza di risposte false.

Senza rinnovare questa resistenza e questa attesa, anche il Natale finisce per svaporare nella vanitas dei centri commerciali e del sentimentalismo delle atmosfere artificiali create a scopo di lucro. La stella del Natale per essere nuovamente vista nel nostro cielo inquinato ha bisogno di essere attesa, mettendosi accanto alle vittime, agli oppressi delle terra e con loro guardare nella lunga notte ancora verso oriente. Il Natale più bello è quello atteso insieme a Qohelet. Buon Natale a tutti.

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I santi del 18 Dicembre 2015

San MALACHIA   Profeta
Sofa, Palestina, ca. 519 al 425 a.C.
Il libro del profeta Malachia chiude, nell’Antico Testamento, la serie dei profeti minori. Emblematico il fatto che gli ultimi versetti parlino di un messaggero del Signore inviato…
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San GRAZIANO (GAZIANO) DI TOURS   Vescovo
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Santi QUINTO, SIMPLICIO E COMPAGNI   Martiri in Africa
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San FLAVITO   Eremita
Italia VI sec. – Marcilly-le-Hayer (Francia), 18 dicembre 618?
Venerato a Marcilly-Le-Hayer e a Villemaur-sur-Vanne.
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San WUNIBALD DI HEIDENHEIM (VUNIBALDO)   Abate
Wessex (Gran Bretagna), 701 – Heidenheim (Germania), 18 dicembre 761
Vunibaldo nacque nel 701 nel Wessex (Inghilterra) da una famiglia importante per la Chiesa: il fratello fu il grande vescovo di Eichstätt (Baviera) Villibaldo, lo zio Bonifacio, l’…
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Santi NAMFAMONE E COMPAGNI   Martiri in Africa
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San FLAMIANO (FLANNANO) DI KILLALOE   Vescovo
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Santi PAOLO NGUYEN VAN MY, PIETRO TRUONG VAN DUONG E PIETRO VU VAN TRUAT   Martiri
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Beata NEMESIA (GIULIA) VALLE   Vergine
Aosta, 26 giugno 1847 – Borgaro Torinese, Torino, 18 dicembre 1916
Giulia (1847-1916), in gioventù entrò nella Congregazione delle Suore della Carità di S. Giovanna Antida Thouret. Trascorse molti anni a Tortona come insegnant…
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Beati 6 REDENTORI MERCEDARI
Mercedari redentori i Beati: Giacomo de Lara, Ludovico Gascò, Bernardo de Pratis, Pietro da Barcellona, Pietro de Quesada e Guglielmo de Quadres, sotto il generalato di San Pietro …
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I santi del 17 Dicembre 2015

San GIOVANNI DE MATHA   Sacerdote
Faucon (Alpes-de-Haute-Provence, Francia), 23 giugno 1154 – Roma, 17 dicembre 1213
Provenzale, docente di teologia a Parigi, prete a 40 anni, Giovanni de Matha lasciò la cattedra, divenendo sacerdote. Durante la sua prima messa, il 28 febbraio 1193, gli ac…
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Sant’ OLIMPIA   Vedova
Nacque verso il 361 da un’agiata famiglia di Costantinopoli. Divenuta orfana in giovane età, fu affidata per l’educazione a Teodosia, sorella del vescovo di Iconio, sant’Anfilochio…
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San FLORIANO   Venerato a Bologna
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San JOSè MANYANET Y VIVES   Sacerdote
Tremp (Lleida, Spagna) 7 gennaio 1833 – Barcelona (Spagna) 17 dicembre 1901
“Dio ha chiamato i fedeli a contemplare ed imitare la Santa Famiglia per mezzo del Beato José Manyanet, sacerdote” (Mess. Romano), è quindi l’aposto…
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Santa BEGGA   Badessa di Andenne
Nata nel VII secolo da nobile famiglia carolingia, Begga si sposò e rimase vedova. Allora – sull’esempio della madre, santa Itta, che alla morte del marito, il beato Pipino di Land…
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Santi ANANIA, MISAELE E AZARIA (ABDENAGO, MISACH E SIDRACH)   Martiri
Abdenago, Misach e Sidrach, chiamati anche Anania, Misaele e Azaria, sono personaggi biblici. Il libro del profeta Daniele, nei primi tre capitoli, espone la vicenda di questi tre …
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Santa WIVINE (VIVINA)   Badessa benedettina
Brabante, Belgio, 1103 – Grand-Bigard (Brabante), 17 dicembre 1170
È considerata come la fondatrice e la prima superiora dell’abbazia benedettina di Grand-Bigard, nella provincia del Brabante in Belgio, dove nel 1126, a 23 anni, fondò un eremo, ad…
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San GIUDICAELE (JUDICAëL)   Re di Bretagna
590 circa – 658 circa
San Giudicaèle (Judicaël), fratello di San Giudoco, in un primo tempo entrò in monastero sotto la guida di San Mavenno (Mèen), ma poi rivendicò i suoi diritti al trono di Bretagna….
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San MODESTO   Patriarca di Gerusalemme
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Santi MARTIRI DI ELEUTEROPOLI
Si tratta di cinquanta soldati, che al tempo dell’imperatore Eraclio furono martirizzati dai Saraceni.
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Santo STURMIO DI FULDA   Abate
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San CRISTOFORO DI COLLESANO   Monaco
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Beato GIACINTO MARIA CORMIER   Domenicano
Orleans, 1832 – Roma, 1916
Avvertendo già da seminarista il richiamo alla vita religiosa, professò in privato i voti ed entrò nel Terz’Ordine. Nel 1856, il giorno dopo la sua ordinazione sacerdotale, entrò n…
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Beata MATILDE DEL SAGRADO CORAZON TELLEZ ROBLES   Fondatrice
Robledillo de la Vera, Spagna, 30 maggio 1841 – 17 dicembre 1902
Fondò la Congregazione delle Figlie di Maria Madre della Chiesa. Educata fin da piccola nella fede cristiana, molto giovane decise di dedicarsi totalmente al Signore, nonostante il…
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Beato PIETRO DI SPAGNA   Martire mercedario
† 1418
Famoso per la propagazione della fede cattolica, il Beato Pietro di Spagna, cavaliere laico dell’Ordine Mercedario, fu uomo di grande dottrina e santità della vita.Trovandosi ad Al…
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I santi del 05 Dicembre 2015

 

San SABA ARCHIMANDRITA   Abate
Mutalasca, Cesarea di Cappadocia, 439 – Mar Saba, Palestina, 5 dicembre 532
Nasce nel 439 a Cesarea di Cappadocia. La sua famiglia, cristiana, lo indirizza verso gli studi presso il vicino monastero di Flavianae. Ne esce con un’istruzione e con il desideri…
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San LUCIDO DI AQUARA   Monaco
n. Aquara, 960 circa
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San DALMAZIO (DALMAZZO) DI PAVIA   Martire
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Santa CRISPINA   Martire a Tebessa
Sec. IV
Crispina, martire. Nata a Tagora, in Numidia, nel 304, durante la persecuzione di Diocleziano e Massimiano, venne arrestata e processata a Tebessa, nell’Africa Proconsolare.
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San PELINO   Vescovo di Brindisi
Sec. VII
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San BASSO DI NIZZA   Vescovo e martire
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Santa CONSOLATA DI GENOVA   Monaca
Epoca incerta
Secondo una leggenda Consolata sarebbe nata nei pressi del lago di Tiberiade durante un pellegrinaggio dei suoi genitori genovesi. Educata sull’esempio di Giovanni Battista, sarebb…
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San GIOVANNI ALMOND   Sacerdote e martire
Allerton, Inghilterra, 1576 – Londra, Inghilterra, 5 dicembre 1612
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San GUGLIELMO SAGGIANO   Mercedario, martire
Di origine italiana, San Guglielmo Saggiano, proveniva da una delle case più nobili di Ancona nelle Marche, quando la sua famiglia si stabilì in Linguadoca (Francia). Alla morte de…
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San GERALDO (GERARDO) DI BRAGA   Vescovo
m. 1108
Monaco del monastero cluniacense di Moissac, Francia, eletto Arcivescovo di Braga, Portogallo. Rinnovò il culto divino, restaurò chiese e promosse la disciplina ecclesiastica.
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Beato BARTOLOMEO FANTI   Carmelitano
Mantova, 1428 circa – Mantova, 5 dicembre1495
Nato a Mantova attorno al 1428, Bartolomeo Fanti nel 1452, era già sacerdote carmelitano ed entrò a far parte della Confraternita della Madonna, esistente nel chiesa …
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Beato FILIPPO RINALDI   Sacerdote
Lu Monferrato, Alessandria, 28 Maggio 1856 – Torino, 5 dicembre 1931
Nato nel 1856 a Lu Monferrato nell’Alessandrino, Filippo Rinaldi a 21 anni conobbe don Bosco. Divenuto prete nel 1882 e maestro dei novizi, fu inviato in Spagna dove divenne Ispett…
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Beato NICOLA (NICCOLò) STENONE
Copenaghen (Danimarca), 11 gennaio 1638 – Schwerin (Meclenburgo, Germania), 5 dicembre 1686
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Beato GIOVANNI GRADENIGO   Monaco
Sec. X-XI
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Beato NARCISO (NARCYZ) PUTZ   Sacerdote e martire
Sierakow, Polonia, 28 ottobre 1877 – Dachau, Germania, 5 dicembre 1942
Narcyz Putz, sacerdote dell’arcidiocesi di Poznan, cadde vittima dei nazisti nel celebre campo di concentramento tedesco di Dachau. Papa Giovanni Paolo II il 13 giugno 1999 lo elev…
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Beata AGUSTINA (MARíA ANUNCIACIóN) PEñA RODRíGUEZ   Religiosa e martire
Ruanales, Cantabria, Spagna, 23 marzo 1900 – Aravaca, Madrid, 5 dicembre 1936
Suor Agustina Peña Rodríguez, al secolo María Anunciación, era una religiosa delle Suore Serve di Maria Ministre degli Infermi, fondate da santa Maria S…
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La riflessione… Natale per ritrovare una meta comune

Il cuore del Natale è la nascita del Figlio di Dio. Non altro. Anche i regali, che di solito ci si scambia, sono il segno del vero regalo, Gesù. Lui è la festa dei cristiani e il dono che Dio fa al mondo. Le altre cose belle sono conseguenza: ritrovarsi in famiglia e tra amici, il riposo dal lavoro, le luci e le tradizioni che il nostro splendido Paese ha messo insieme nei millenni, non sono il cuore ma il frutto di quanto è accaduto a Betlemme in quella notte d’inverno. Per gli uomini di altre culture, credenze e religioni, tutto ciò può essere tradizione e folclore, ma la domanda sorge ovunque: perché tanta festa, tanti regali, tante luci? E perché quell’aria diffusa e avvolgente di tenerezza e di bontà? Dio non è solo risposta, ma è anche domanda. Quanto è accaduto allora, continua ad accadere oggi nei cuori che si aprono. Allora Lui viene, nasce in ognuno che lo invoca, lo cerca senza conoscerlo, forse lo bestemmia o lo combatte. Lui è sempre pronto, perché Dio è Amore. Quale altra ragione Lo avrebbe spinto se non la follia per gli uomini, per entrare nelle nostre oscurità, per accendere la speranza, per incoraggiare i deboli, per sostenere i poveri e gli oppressi?

La questione è che Gesù è lì, ma noi dove siamo? Forse siamo agli inizi della vita, o a metà o verso il termine… ma dove siamo nella strada del nostro mondo interiore? Per che cosa spendiamo energie e tempo? Per andare dove? Quale lo scopo? Le società e le culture possono anche ostacolare la presenza della fede, possono perseguitare e uccidere i cristiani, ma niente e nessuno potrà uccidere la nostalgia di un Oltre, di un Un di Più, che per noi ha il volto di Cristo. I tempi cambiano, ma il cuore resta assetato di felicità, mendicante di assoluto, cercatore di Dio. Ecco perché il migliore alleato del Vangelo resta l’uomo nella verità della sua anima. Basta lasciarla parlare. Sono le domande del Natale di sempre, ma direi in modo particolare del Natale di quest’anno, che protrae una crisi che tutti si sperava fosse molto più breve e meno pesante. E invece è lunga e drammatica per giovani e anziani, singoli e famiglie. La famiglia ancora si rivela la migliore scialuppa di salvataggio, dove i risparmi si dividono con oculatezza, dove si vince la solitudine e la paura del futuro, dove si ritrova il coraggio di lottare.

Al problema del lavoro e dell’occupazione, si aggiunge anche il malcostume che sembra diventare costume generale. Ma così non è! Il rischio più grave è quello dell’avvilimento diffuso, della demoralizzazione globale, della depressione paralizzante. Se gli altri sono disonesti perché io devo essere onesto e sacrificarmi? È la domanda subdola che si può insinuare fino a deprimere o a contagiare. Ma così non dev’essere! L’Italia è un popolo laborioso e onesto, geniale e buono. Se ci sono esempi o sistemi di malaffare, i responsabili devono essere rapidamente accertati e puniti con rigore, ma il popolo degli onesti, cioè degli “uomini”,  deve reagire alla disonestà con una onestà ancora più limpida e con una operosità ancora più convinta. Il Natale del Signore ci ricorda che al male non ci si deve arrendere, e che si vince con un bene forte, serio e giusto. I responsabili della cosa pubblica lo sanno.

Ma dovrebbe anche crescere la capacità di stare insieme in modo costruttivo, di fare rete, di integrarsi non solo tra i membri di una famiglia o di un’azienda, ma tra realtà lavorative e tra istituzioni. Non si tratta di confondere ruoli o di uniformare la società, ma di camminare insieme non in modo astratto e retorico, ma concreto, come sono concreti obiettivi e programmi comuni, energie e risorse, sostegno nazionale e internazionale.

Nessuno, sullo scenario del mondo, dovrebbe sentirsi solo a lottare per cercare, procurare e costruire lavoro e occupazione: il “noi tutti” traduce in modo incisivo il “bene comune”. Ma quel “noi tutti” deve poter diventare visibile, pratico, fruttuoso. Le figure del presepe fanno mestieri diversi, ma vanno tutte verso la grotta: hanno lo stesso scopo pur nelle loro diversità. Il messaggio è preciso: quando si ha veramente una meta comune, e non è ciascuno – singoli o gruppi – meta a se stesso, allora l’ingegno trova le strade per camminare insieme senza sbarrare i sentieri agli altri, senza che nessuno rimanga indietro, senza che i doni che si portano al Bambino si lascino o si vendano lungo la strada perché si è affaticati. Davanti al presepe, chi ha il dono della fede sosti pregando, chi non l’ha sosti pensando. Qualcosa di bello accadrà. Auguri sinceri.

avvenire.it

Sant’Agostino Vescovo e dottore della Chiesa 28 agosto


Tagaste (Numidia), 13 novembre 354 – Ippona (Africa), 28 agosto 430

Sant’Agostino nasce in Africa a Tagaste, nella Numidia – attualmente Souk-Ahras in Algeria – il 13 novembre 354 da una famiglia di piccoli proprietari terrieri. Dalla madre riceve un’educazione cristiana, ma dopo aver letto l’Ortensio di Cicerone abbraccia la filosofia aderendo al manicheismo. Risale al 387 il viaggio a Milano, città in cui conosce sant’Ambrogio. L’incontro si rivela importante per il cammino di fede di Agostino: è da Ambrogio che riceve il battesimo. Successivamente ritorna in Africa con il desiderio di creare una comunità di monaci; dopo la morte della madre si reca a Ippona, dove viene ordinato sacerdote e vescovo. Le sue opere teologiche, mistiche, filosofiche e polemiche – quest’ultime riflettono l’intensa lotta che Agostino intraprende contro le eresie, a cui dedica parte della sua vita – sono tutt’ora studiate. Agostino per il suo pensiero, racchiuso in testi come «Confessioni» o «Città di Dio», ha meritato il titolo di Dottore della Chiesa. Mentre Ippona è assediata dai Vandali, nel 429 il santo si ammala gravemente. Muore il 28 agosto del 430 all’età di 76 anni. (Avvenire)

Patronato: Teologi, Stampatori

Etimologia: Agostino = piccolo venerabile, dal latino

Emblema: Bastone pastorale, Libro, Cuore di fuoco
Martirologio Romano: Memoria di sant’Agostino, vescovo e insigne dottore della Chiesa: convertito alla fede cattolica dopo una adolescenza inquieta nei princípi e nei costumi, fu battezzato a Milano da sant’Ambrogio e, tornato in patria, condusse con alcuni amici vita ascetica, dedita a Dio e allo studio delle Scritture. Eletto poi vescovo di Ippona in Africa, nell’odierna Algeria, fu per trentaquattro anni maestro del suo gregge, che istruì con sermoni e numerosi scritti, con i quali combatté anche strenuamente contro gli errori del suo tempo o espose con sapienza la retta fede.

santodelgiorno

Pietro da Morrone, infatti, ricorda che è il segreto sta tutto nel vivere il Vangelo, nella Chiesa e come Chiesa, seguendo il faro-guida che è Gesù

Un’onda avversa nella navigazione della vita non è di per sé causa di annegamento, probabilmente se «capovolge la nostra imbarcazione esistenziale è perché l’abbiamo presa male». Usa metafore marinare l’arcivescovo dell’Aquila Giuseppe Petrocchi nel suo consueto messaggio alla città per la 720ª edizione della Perdonanza celestiniana, che si apre stasera in piazza Duomo con l’accensione del tripode della pace.
gesu.salva

Il terremoto del 2009 è sempre sullo sfondo con le sue difficoltà, le prove a cui sta sottoponendo il capoluogo abruzzese; un calvario però che può aiutare a sperimentare la forza di aprire il cuore alla riconciliazione. Così la prontezza a perdonare come insegna il Signore, ricorda il pastore, «ci consente di alleggerire la nostra barca interiore, scaricandola da pesi che ci impedirebbero di manovrarla adeguatamente quando incappiamo in qualche burrasca».

Perché si dovrebbe perdonare? Soprattutto, perché perdonare quando si pensa di aver ragione? Domande che solcano la mente di ognuno, ma l’insegnamento che il Signore ha dato spalancando le porte del Suo perdono, ancora una volta indica la via. Lo ripete più volte, l’arcivescovo Petrocchi, «il perdono che abbiamo ricevuto è infinitamente più grande di quello che possiamo dare». Ecco perché bisogna imparare ad essere misericordiosi, che non significa certo dimenticare, bensì «purificare la memoria, per evitare che il rancore ci impedisca di accogliere e di donare amore». Navigando, insomma, in modo virtuoso.

Il mare, come la vita, è pieno di insidie e di eventi improvvisi che solo attraverso la fede si riescono a comprendere; tuttavia i risentimenti covati dentro, le inimicizie militanti, le aggressività graffianti costituiscono «una pericolosa zavorra che ci spinge in basso» e porta ad affrontare in modo errato le prove di ogni giorno. «Perdonare conviene – dice perciò Petrocchi agli aquilani – anche perché le prime vittime del non-perdono siamo noi stessi».

Pietro da Morrone, infatti, ricorda che è il segreto sta tutto nel vivere il Vangelo, nella Chiesa e come Chiesa, seguendo il faro-guida che è Gesù, verità, vita e via. Forse in questo modo non si eviteranno i problemi, continua l’arcivescovo, ma certamente «ci consente di trasformare ogni evento in benedizione, diventando dispensatori di letizia e costruttori di pace».

Il suo simbolo, il ramoscello d’ulivo con cui bussando per tre volte verrà aperta la Porta Santa, quest’anno verrà tenuto in mano dal cardinale Ennio Antonelli. Sarà dunque affidato al presidente emerito del Pontificio Consiglio per la famiglia il compito di spalancare, giovedì a l’Aquila, l’imponente uscio di legno attraversato da migliaia di persone in meno di un giorno. Ma le celebrazioni cominceranno ufficialmente questa sera, alle 20.30 con l’accensione del fuoco del Morrone. Sarà Fadi Obeid, un giovane arabo-palestinese di religione cattolica di rito orientale a consegnare la fiaccola del Perdono, partita il 16 agosto dall’eremo di Sant’Onofrio, nelle mani del primo cittadino.

Fadi dormiva nella Casa dello studente la notte del 6 aprile 2009, ma la sua camera era nell’ala dell’edificio miracolosamente rimasta in piedi. Comunque gli eventi clou saranno tutti concentrati nelle giornate del 28 e 29 agosto, con inizio alle 16 del Corteo della Bolla e arrivo in Basilica alle 18 con successivo rito di apertura della Porta Santa. Fino alle 18.30 del giorno successivo, quando la celebrazione presieduta dell’arcivescovo dell’Aquila darà avvio al rito di chiusura del portone, si susseguiranno la Perdonanza dei giovani, degli scout, delle aggregazioni laicali, dei lavoratori, dei malati, dei religiosi e delle Forze armate.

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